dall’inviato Maurizio Verdenelli (foto di Fabio Falcioni)
Tagliatelle al ragù. Grigliata mista con verdure. Macedonia. Gelato. Servizio accurato grazie ad un cuoco forse non stellato ma certo di ottima buona volontà coadiuvato da cinque mamme ‘cuciniere’. E 13 camerieri 13 messi a disposizione da un’agenzia fortemente speciale: la ‘Pastorale’ dell’arcidiocesi. Chez Centro della Comunità di San Paolo. Una mensa affollata attorno ad un super ospite: papa Francesco. Poi un ‘finale di partita’ degno di Lui: l’incontro al palasport con i ragazzini della Prima comunione che da questa mattina, proprio là, hanno atteso ardentemente di abbracciare quel papà (accento sulla a finale, proto) venuto da Roma in elicottero bianco, in abito bianco impegnato per l’intera mattinata per le ‘piaghe’ di Camerino: Sae, piazza Cavour, zona rossa e via elencando.
Alle 14,28 (in anticipo di 32’ sul programma) Bergoglio è ripartito prendendo il volo da quello stesso spiazzo erboso del complesso sportivo delle Calvie dove nell’estate del 90 si allenarono, alla guida di Carlos ‘el nason’ Bilardo, i campioni del mondo dell’Argentina -con un assente al solito giustificato: Diego Armando Maradona – di cui il pontefice è notoriamente tifoso. Chissà se qualcuno del seguito o camerinese, avrà ricordato a Francesco questo pezzo di storia patria pedatoria in terra altomaceratese che vide l’Albiceleste perdere il titolo in finale con la Germania, a Roma. Forse no, forse nessuno l’ha ricordato al pontefice che in volo (con accanto un emozionato e strafelice vescovo Massara: «La mattinata è andata benissimo, ho potuto mostrare al santo padre le piaghe della nostra città») ha benedetto solennemente San Severino Marche ed ha annunciato un dono per Ussita: un centro di comunità».
E se al ‘tifoso Bergoglio’ forse nessuno ha ricordato la presenza della sua amatissima Argentina alle Calvie, Lui ha fatto memoria e luce su ‘qualcosa’ di infinitamente più importante all’Italia e al mondo lo stato di drammatica ‘dimenticanza’ di “un territorio, prima del dramma, luogo di luce e di colore ricco di storia bella ed antica, spazio di accoglienza e di libertà capace di far vedere gli autentici valori della vita”, avrebbe detto a sua volta l’altro Francesco, monsignor Massara. «E’ stato meraviglioso sentire il papa e l’arcivescovo prendere così a cuore le nostri sorti. Chirurgico l’intervento di mons. Massara». Parole, a caldo (ed oggi a Camerino è stata una giornata torrida in relazione al suo clima abituale) del professor Claudio Pettinari, rettore di Unicam in piazza Cavour, di fronte al palco papale appena abbandonato e all’ombra, si fa per dire, delle torri di San Venanzo dove cecchini controllavano l’intera piazza. «No, la partita non può dirsi a questo punto conclusa. La battaglia contro la strisciante strategia dell’abbandono continua. Siamo in pochi, d’accordo, duemila/tremila persone e i soldi lo sono altrettanto: limitati. Allora la tentazione di chiudere è forte, e la tentazione di gettare sulle nostre spalle il fallimento di un operazione di soccorso già difficile. Non è forse del luogo il commissario, e che c’entra dunque il Palazzo? Sono d’accordo, a pensarci si fa peccato, ma sarebbe ancora peggio averci azzeccato. Io so solo che ogni mese l’Ateneo deve ‘tirar su’ almeno 6 milioni di euro per tirare avanti, per non spegnere la speranza che vede un migliaio di docenti a vario titolo ed ottomila discenti, da tutt’Italia. Bisogna tenere giorno per giorno, la diga in una fase ancora più difficile di quella dell’emergenza . Ed allora dico, grazie Santità, grazie monsignore».
Lì a pochi metri, in quell’alloggio dove nessuno avrebbe più abitato, un papa santo, Giovanni Paolo II avrebbe trascorso la notte dal 25 al 26 marzo 1991 celebrando un’altra importante data con Camerino (e Fabriano) nel nome di San Venanzio e di San Giuseppe: il Lavoro e la Cultura. Una scelta che si è voluto imporre anche Bergoglio che il 26 è stato a Loreto per riaffermare la centralità della Famiglia all’interno del Sinodo dei Giovani, e oggi a Camerino – sulle orme di papa Mastai Ferretti che 162 anni fa fece lo stesso percorso seppure in un giorno solo – reclamando con forza la soluzione di un dramma ancora aperto: la ricostruzione post sisma mancata. «Quaggiù troppe cose si dimenticano in fretta, Dio non ci lascia nel dimenticatoio» sottolinea il pontefice. Il sipario ducale vuoto e stracciato prese a simbolo dell’intero cratere sismico, come quel caschetto bianco indossato prima per entrare in Duomo poi, a messa conclusa, nella zona rossa che appare a distanza di quasi tre anni come un luogo al centro di un dramma terribile e misterioso: alla maniera di Edgard Allan Poe o dello stesso Jack London (La Peste scarlatta). “Ma un brutto giorno la cecità, ossia il terremoto ha deturpato questo territorio e lo sconforto ha intaccato il cuore dei suoi abitanti privandoli della serenità e costringendoli ‘ai bordi della strada’. Negli sguardi delle persone e nei loro dolorosi racconti ho potuto scorgere storie di cecità indotta dagli eventi, uomini e donne segnati dalla dolorosa perdita di ciò che è più caro, desiderosi di rialzarsi ma incapaci di riprendere il cammino” ha detto mmonsignor Massara con un piazza che si lasciava scaldare il cuore e le mani con applausi ‘a omelia aperta’ subito frenati.
«Il terremoto ha avuto un triplice effetto: ha sventrato in un attimo le case; ha strappato dal cuore della gente con un lento ed amaro stillicidio, ogni speranza; infine, purtroppo, ha dato vita ad un ulteriore terremoto, quello delle promesse poiché dopo il tempestivo intervento per la messa in sicurezza delle strutture danneggiate, la ricostruzione si è lasciata ingabbiare dai lacci della burocrazia generando sentimenti di sconforto e delusione sopratutto tra le nuove generazioni che si vedono inesorabilmente derubate del loro futuro». Parole forti, senza infingimenti, come quelle del papa: un’onda di energia nuovo allora ha percorso la piazza intorno alla statua di Sisto V. No, ancora niente è perduto, si può, noi possiamo: ‘Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Intorno al richiamo forte del suo pastore, la città fantasmatica vista dietro le trincee di un servizio di sicurezza senza precedenti (1.500 uomini tra forze dell’Ordine, Vigili urbani e Protezione civile), si è unita nella speranza, seppure nella sintesi di un attimo, questa mattina sotto il cielo azzurro e trionfante dell’estate camerinese.
“Francesco, Francesco!” hanno ritmato i giovani e gli anziani della città al passaggio del papa, al centro della piazza. Poi, ‘tirandolo letteralmente giù’ dalla modesta auto al centro del corteo in partenza per la ‘terra di nessuno’, la zona interdetta. E Bergoglio si è donato con tutto il cuore, come al villaggio Sae, salutando uno per uno i malati, accarezzando affettuosamente un bambino simbolo concreto di una città che vuole tornare a vivere, ad essere giovane e con il diritto di invecchiare tra le proprie antiche mura. Non ce n’erano stranamente di piccoli tra la gente che aveva posto in piazza, ma che praticamente (ad eccezione del periodo della celebrazione eucaristica) è stata sempre in piedi, sospingendosi ordinatamente sulle transenne per salutare religiosi, sindaci e sopratutto Lui: Francesco.
E’ terra antica di papi, Camerino, capitale papalina che fu dei Varano e di una santa cara al cuore di tutti. Camilla Battista, beatificata nel 1843. Meritava il titolo di santa, ma essendo figlia illegittima non sembrò allora paradossalmente commendevole per gli altari. Per promuovere la ‘causa’ della beatificazione, arrivò anche Gregorio XVI, due anni prima. Bussò piamente alla porta della cucina del convento delle Domenicane intente alla preparazione del pranzo. Quale sbalordimento! Esiste ancor una cronaca dettagliata di una delle suore. Si dice che il papa e la stessa Congregazione avessero ‘raccomandato’ per un futuro prossimo la futura Beata per il titolo di santa. Ci furono intralci burocratici, come detto: di anni ne trascorsero 150 fino alla proclamazione del 2010. La gente di Camerino, come il cieco Bartimeo evocato da mons. Massara per esemplificare la ‘lunga notte’ post sisma, sa attendere come la figlia illegittima del Duca, prima di veder affermato il proprio buon diritto alla vita (e pure ad una santità laicissima). E’ già accaduto nel ‘97 ed oggi prova a rialzarsi di nuovo con l’animo piena di angosce vecchie e nuove e i volti che hanno perduto il tradizionale sorriso. Tuttavia non perdiamo più tempo. Nelle intenzioni di preghiera, succedute all’omelia del papa e ad un lungo silenzio volto alla meditazione, c’è stato spazio pure per gli uomini delle ‘decisioni che contano’ per il futuro di queste terre così sfortunate. Forse non gli amministratori pubblici in prima fila alla sinistra di Francesco.
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In questo contesto a pensare
male non si sbaglia, la sensazione di queste lungaggini
spingono x sfinimento a delocarsi famiglie e aziende ….