di Marco Ricci
Investire nell’impresa per tornare a crescere, questo il tema dell’annuale assemblea di Confindustria Macerata che si è tenuta oggi all’Abbadia di Fiastra, proprio nel giorno in cui la Banca d’Italia ha pubblicato il suo Rapporto sulle economie regionali, rapporto dai cui dati è difficile stabilire se per molti versi le Marche siano ormai la penultima regione del centro-nord o la seconda, dopo l’Abruzzo, del meridione. Dopo i saluti del sindaco di Tolentino, Giuseppe Pezzanesi, del sindaco di Macerata, Romano Carancini, e della vice presidente della Regione Marche, Anna Casini, l’intervento del presidente di Confindustria Macerata, Giovanni Clementoni, ha preceduto il confronto tra Luca Silla, direttore dei Rapporti con il territorio della Cassa Depositi e Prestiti, Vincenzo Boccia, presidente del Comitato tecnico credito e finanza di Confindustria, e Raffaele Oriani, docente di Finanza Aziendale alla Luiss di Roma. Un tema, quello degli investimenti, definito solo pochi giorni fa dal direttore della filiale anconetana di Banca d’Italia, Gabriele Magrini Alunno, come centrale e imprescindibile per un ritorno alla crescita, in particolare in una regione che in pochi anni ha visto crollare di quasi il 15% il suo prodotto interno lordo, con una famiglia su quattro oramai sotto la soglia di povertà (leggi l’articolo). Ma se gli investimenti, sia pubblici che privati, vengono continuamente invocati come la panacea di ogni male, nelle Marche diminuiscono ancora senza alcuna previsione confortante neppure per il 2015. A rischio il treno della ripresa economica ormai consolidatasi anche in Europa e, per la regione, la condanna alla stagnazione o a una crescita annuale di pochi decimali di Pil. Da qui dunque, il tema dell’assemblea e l’invito di Confindustria Macerata ad investire, ma ad investire nell’impresa e negli imprenditori da parte della politica e delle istituzioni, un investimento non solo economico ma anche politico, con la scelta di porre il lavoro e le imprese al centro dell’attività delle istituzioni.
E di “impatto nefasto della crisi” anche in provincia di Macerata ha parlato durante il suo intervento di presentazione della giornata Giovanni Clementoni, partendo dalla “drammatica situazione dei giovani”, dai 6400 posti di lavoro persi nel Maceratese in cinque anni e da quel “segnale preoccupante” espresso dal calo del peso dell’industria manifatturiera nella produzione complessiva della provincia. Il presidente di Confindustria Macerata ha centrato il suo intervento sul modello di sviluppo marchigiano, parlando di un sistema da sempre “improntato alla piena coesione sociale” che vede l’azienda al centro della vita sociale, un modello però “male interpretato”. Se da una parte Clementoni riconosce i limiti strutturali dovuti alla scarsa dimensione delle imprese locali, dall’altra punta infatti il dito contro la burocrazia e la politica, contro quei modi di pensare che spesso hanno contrapposto impresa e lavoratori, relegando l’industria e la manifattura ad un ruolo di “contorno”. E se per Clementoni è stato il connubio tra “politica miope e un ferraginoso sistema burocratico” a tarpare le ali alle imprese e agli investimenti, i destinatari del suo appello sono state proprio la politica e le istituzioni, con il perentorio invito a sostenere la piccola e media impresa per creare non solo ricchezza ma anche lavoro e potere di acquisto per le famiglie.”Le imprese sono ancora uno dei pochi esempi di aggregazione sociale – ha spiegato Clementoni – e questa idea deve essere metabolizzata immediatamente dalla classe politica, ponendo le aziende al centro delle politiche di governo”. Non solo dunque meno burocrazia ma anche necessità di una vera politica industriale e di maggiori risorse dirette all’imprenditoria, magari attingendo a quei risparmi che si potrebbero ottenere dal recupero di produttività della pubblica amministrazione. Un invito quindi a ripartire dal modello marchigiano agevolandolo nel superamento della crisi e “ponendo le aziende e la manifattura al centro della politica di governo.” Il rischio, al contrario, “la perdita di quel know-how e di quelle conoscenze che solo i distretti manifatturieri sono stati in grado di creare”.
Di centralità della manifattura per lo sviluppo del paese ha parlato anche Vincenzo Boccia. Il responsabile del Comitato credito e finanza di Confindustria ha sottolineato il “deficit di competitività” che le imprese pagano in termini di costi e di inefficienze, auspicando una politica di medio termine in grado di rilanciare l’industria e di fare dell’Italia un paese industriale. Ma attraverso quali riforme? “Continuare ad andare avanti con la deroga fiscale per favorire l’impresa di quello che è il secondo paese industriale d’Europa – ha spiegato Boccia – poi completamento del Jobs Act e reperimento di risorse attraverso i Fondi Europei, investimenti pubblici e relazioni industriali moderne con lo scambio salario-produttività.”
Al dibattito non poteva mancare il passaggio su banche e finanza, con molti imprenditori che a margine dell’assemblea hanno spesso imputato agli istituti di credito ritardi ed inefficienze nei finanziamenti. Un punto di vista, questo, che forse le banche non sposerebbero in pieno se gli istituti di credito lamentano ancora la scarsa qualità del credito richiesto dalle imprese. In ogni caso è stato il professor Raffaele Oriani, docente della Luiss, a sottolineare la necessità di un nuovo clima di fiducia tra banche e imprese anche se le aziende, sempre secondo Oriani, dovrebbero ridurre la dipendenza dal credito bancario, sia attraverso un maggior capitale di rischio, sia ricorrendo a minibond o a fondi di private equity, prima di immaginare la possibilità di quotazione in borsa per le piccole e medie imprese.
Immancabile, sull’argomento, il riferimento a Banca Marche che è venuto da Romano Carancini. Il sindaco di Macerata ha puntato il dito contro la gestione commissariale dell’istituto, rea di aver offerto negli ultimi periodi scarso appoggio agli imprenditori locali.
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Ahoo, stamattina non c’è niente da commentare. Questi qua sopra non capisco che vogliono e né che dicono. Li sordi? E ne vorrei tanti anch’io. Non ho ben capito se il discorso di Carancini c’entrava qualcosa con il tutto? Ah Carancì, non te sò ancora fatto l’auguri. Che possi passà nantri cinquanni senza fa un cactus, solo a discorre e ambriacatte con spumante e campari. Meglio un sindaco allegro che un musò castrò come Corvatta.
Fa bene sentire che c’e’ qualcuno che preferisce crescere piuttosto che decrescere felice ma forse la strada delle politiche industriali, delle risorse alle imprese, degli investimenti pubblici non sembra cosi’ innovativa e piu’ che alla coesione sociale e a un modello marchigiano bene interpretato rischia di riproporre gli echi di quello Stato interventista e assistenzialista da cui pure si prendono le distanze. La costruzione culturale e strutturale di un’economia di mercato regolata ed efficiente spetta tanto alla politica, se ci crede naturalmente, quanto agli imprenditori.
La burocrazia tarpa le ali all’industria e, poiché i soldi ci sono, le accresce al terziario.
Non ci vuole un guru dell’ economia mondiale x capire che il manifatturiero è il volano della ns società economica e…politica !!!!