Rosina uccisa perché non parlasse,
il delitto “rivelato” in un’intercettazione
Le 400 pagine della sentenza d’appello

OMICIDIO DI MONTECASSIANO – In secondo grado è stata riscritta la sentenza del tribunale di Macerata. Sono stati riconosciuti i maltrattamenti in famiglia come movente e la figlia della vittima, Arianna (condannata all’ergastolo), come la mente di quello che accadde il 24 dicembre del 2020. A uccidere materialmente è stato il nipote Enea (pena di 27 anni). I dialoghi in caserma tra madre e figlio per i giudici fanno luce su quanto accadde nella villetta

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Il processo in Corte d’appello. Nei riquadri: a sinistra Enea Simonetti e Arianna Orazi, a destra Rosina Carsetti

di Gianluca Ginella

La conversazione tra Arianna Orazi e il figlio Enea Simonetti in caserma la mattina del giorno di Natale a poche ore dalla scoperta dell’omicidio di Rosina Carsetti, quel messaggio su Instagram in cui Arianna scrive «Sto studiando il piano», e ancora il movente «formidabile» della coppia madre (la mente) – figlio (l’esecutore materiale).

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Lo schema del delitto

Questo in estrema sintesi quello che emerge dalle 434 pagine di una articolata sentenza della Corte d’appello di Ancona che ha modificato molto il giudizio di primo grado del tribunale di Macerata riconoscendo la premeditazione e il movente dei maltrattamenti in famiglia. Se Arianna, difesa dall’avvocato Olindo Dionisi, era stata assolta dall’accusa di omicidio volontario a Macerata, in appello i giudici l’hanno condannata all’ergastolo. Per il figlio Enea Simonetti, nipote della vittima (assistito dagli avvocati Andrea Netti e Valentina Romagnoli), la pena è scesa a 27 anni mentre in primo grado era stato condannato all’ergastolo. I giudici gli hanno concesso le attenuanti generiche e le hanno riconosciute equivalenti alle aggravanti. Mentre il terzo imputato, Enrico Orazi, marito di Rosina, è stato condannato a 4 anni e sei mesi per maltrattamenti in famiglia e simulazione di reato (la messinscena della rapina). Enrico, difeso dall’avvocato Barbara Vecchioli, in primo grado era stato condannato a due anni e solo per simulazione di reato. L’uomo in Corte d’appello aveva anche confessato di essere stato lui a uccidere la moglie ma i giudici hanno ritenuto per quella confessione «l’assoluta mancanza di valore probatorio». L’udienza in corte d’appello si è chiusa lo scorso 10 luglio e ora è uscita la sentenza. I giudici hanno ricostruito le indagini che erano state condotte dai carabinieri del Reparto operativo di Macerata e coordinate dal sostituto Vincenzo Carusi.

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NON PENSAVANO DI ESSERE ASCOLTATI – La Corte d’assise d’appello legge il delitto in una conversazione. Quella avvenuta dalle 11,41 del 25 dicembre 2020 nella caserma dei carabinieri di Macerata tra Arianna ed Enea che non pensavano, secondo i giudici, di essere già intercettati. Poche ore prima, verso le 20 del 24 dicembre di 4 anni fa, Arianna aveva chiamato il 118 dicendo che la madre, Rosina Carsetti, 78 anni, era stata uccisa da un ladro entrato in casa, nella loro villetta di via Pertini, 31 a Montecassiano. Ladro che poi avrebbe legato Arianna e Enrico poi liberati da Enea che si era allontanato per raggiungere il supermercato. «L’intero colloquio chiarisce, in maniera inequivoca (nonostante i tentativi della difesa di dare un significato “lecito” alle espressioni confessorie o più significative), quanto avvenuto poche ore prima nella loro abitazione e la responsabilità concorsuale degli imputati Arianna Orazi ed Enea Simonetti in ordine l’omicidio di Rosina Carsetti». Arianna Orazi, scrivono i giudici nella sentenza «nel ribadire al figlio l’importanza di insistere nella versione che a uccidere la Carsetti fosse “issu”, e cioè il fantomatico rapinatore, diceva, tra l’altro, “… Quello quanno je fa l’autopsia e vede che è stata strozzata, chi l’ha strozzata??!…”, nonché “….Qua jimo in galera eh!!”. Al riguardo, si evidenzia come Arianna e figlio mostrassero di essere consapevoli che Rosina era stata strozzata, nonostante tale dato, a quel momento, non fosse ancora noto».

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E ancora scrivono che Arianna, dopo che Enea ai carabinieri poco prima aveva parlato di un incidente: «al fine di far riflettere il figlio sul fatto che tale dichiarazione era assurda e che la sua falsità sarebbe presto emersa, per ben due volte, (Arianna, ndr) pronunciava espressioni che lo indicavano in modo incontrovertibile come colui che aveva ucciso la nonna: “Quelli, quando gli fa’ l’autopsia, vede che è stata strozzata… chi l’ha strozzata?! Io!? …Il problema è che, finché loro non c’ha l’autopsia pronta e non sanno de che è morta…Non sanno un cazzo! Perché per loro può esse’ solo un malore… Una volta che c’ha l’autopsia… perché…l’ha strozzata… chi cazzo l’ha strozzata, Enea?! Uno che pesa 70 chili! lo?! Enea, non dire mai quello che hai fatto… mai, ad un’anima!… Non può esse’ un incidente. Un incidente è se casca dalle scale, ma se la strozzi, che incidente è?!».

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Secondo i giudici «l’omicidio già deciso e pianificato dagli imputati veniva commesso da Enea Simonetti – che ne era l’autore materiale – con il pieno concorso della madre effettiva mente del piano omicidiario la quale garantiva e forniva al figlio aiuto, assistenza e collaborazione e se non presente all’omicidio interveniva nell’immediatezza a supporto del figlio».

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«Altri importantissimi elementi che concorrono ad attestare la colpevolezza di Enea per l’omicidio della nonna e la cui valenza non risulta inficiata dalle deduzioni difensive, sono costituiti: dall’orario della morte della Carsetti (da collocare in un lasso temporale in cui Simonetti Enea era in casa), dalle modalità di consumazione del delitto, dall’alibi costruito e falso del Simonetti, dall’esistenza di un fortissimo movente in capo all’imputato e dai rapporti tra i familiari. Per completezza si osserva che la versione di Enea, secondo cui la madre e il nonno avrebbero ucciso la Carsetti con una coperta, risulta in contrasto, oltre che con le varie e diverse ricostruzioni del delitto effettuate dallo stesso imputato nel corso del tempo, con le sicure emergenze istruttorie (tra cui, in primo luogo, la conversazione tra Arianna ed Enea della mattina del 25 dicembre 2020) e con gli accertamenti medico legali da cui emerge in maniera indubbia che Rosina era stata “strozzata”».

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I carabinieri nella villetta di via Pertini

IL MOVENTE – «I due, invero, avevano un formidabile movente – ravvisabile proprio nelle pregresse condotte maltrattanti degli imputati verso la congiunta, nel loro timore che la Carsetti potesse “denunciare” alle forze dell’ordine o notiziare un avvocato dei maltrattamenti da lei subiti, nella volontà degli stessi di non subirne le conseguenze penali e nella stringente necessità che la Carsetti “morisse” prima dell’incontro con il legale, che gli imputati sapevano prossimo – per volere la morte di Carsetti Rosina».

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ORARIO – Secondo i giudici «è possibile stabilire che l’omicidio è avvenuto in un arco temporale compreso tra le ore 17,15 e le ore 17,46. Tale arco temporale è pienamente compatibile con quello indicato dal medico legale Roberto Scendoni e trova come limite iniziale le 17,15, cioè l’ora dell’ultimo utilizzo del cellulare nell’abitazione da parte di Simonetti Enea, prima del “blackout” dell’uso di telefoni e smartphone dagli abitanti della villetta, e le 17,47, ossia l’ora in cui il cellulare del Simonetti si scollegava dal Wi-Fi di casa, a seguito dell’allontanamento dello stesso in direzione del supermercato, e in cui l’omicidio era sicuramente già avvenuto».

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L’avvocato Olindo Dionisi

PREMEDITAZIONE – «La Corte di Assise di Macerata ha sostanzialmente ritenuto che l’unico indizio a carico di Arianna fosse lo scambio di messaggi con il figlio Enea tramite Instagram del 16 dicembre 2020, che il messaggio – “sto studiando il piano” – scritto dall’imputata fosse suscettibile di plurime interpretazioni e che, in ogni caso, tale elemento indiziario, da solo, era inidoneo a fondare una pronuncia di colpevolezza dell’imputata. Osserva questa Corte di Assise come, oltre a tale indizio che, sebbene significativo, non sarebbe sufficiente – se unico (come lo ha ritenuto la Corte di Assise di Macerata) – per la condanna, dagli atti siano emersi ulteriori, plurimi e rilevanti elementi, sintomatici e dimostrativi, all’esito di una valutazione complessiva e unitaria, del pieno coinvolgimento e del concorso dell’imputata nell’omicidio della madre». Secondo la Corte d’appello a testimoniare la premeditazione c’era il messaggio scritto su Instagram che Enea avendone compreso la gravità provvedeva ad eliminare. Arianna invece non lo aveva cancellato.

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Gli avvocati Valentina Romagnoli e Andrea Netti

«La mancata cancellazione dei messaggi sullo smartphone della Orazi non appare significativa, ben potendo essere ricondotta alla sua inesperienza nell’uso di Instagram o a una dimenticanza. Peraltro, mentre sul telefono della Orazi era rimasta traccia scritta del fatto che stava studiando “il piano”, in quello del figlio Enea non venivano trovati i relativi messaggi in entrata e in uscita, segno che il Simonetti, il quale era già a conoscenza della “progettazione” (quando la madre gli aveva scritto “sto studiando il piano”, Enea non aveva espresso osservazioni o dubbi), aveva compreso e seguito l’invito della madre a cancellare la conversazione. Il fatto che Arianna non avesse poi cancellato i messaggi risulta, pertanto inidoneo a svalutare la rilevanza di detti messaggi, anche in considerazione del comportamento del figlio, il quale li aveva eliminati sul proprio cellulare». Quindi per i giudici «la mancata cancellazione del testo dei messaggi da parte dell’imputata può essere riconducibile a una dimenticanza o a un “errore” (“errori” erano commessi da Arianna Orazi anche nella predisposizione delle tracce della simulata rapina)».

Rosina, continuano i giudici «veniva uccisa solo 8 giorni dopo l’invio di detti messaggi» e aggiungono che anche in base ad altri elementi emersi nel processo «Deve ritenersi che, stante il messaggio scritto dalla Orazi (“sto studiando il piano”), alla data del 16 dicembre 2020, Arianna avesse iniziato a progettare “il piano criminoso” per l’omicidio della madre, piano di cui il figlio era partecipe. La comunicazione della Orazi al figlio di stare studiando il piano, nonché l’apprezzamento della possibilità di cancellare i messaggi e l’effettiva eliminazione del messaggio da parte del Simonetti sul suo telefono, non hanno una possibile spiegazione logica, credibile e alternativa» rispetto al fatto che stessero parlando dell’omicidio.

«Oltre a tale indizio che, seppure significativo, non sarebbe sufficiente a dimostrare la premeditazione, l’esame completo delle risultanze e degli atti evidenzia ulteriori indizi sintomatici della ricorrenza dell’aggravante. Ulteriore elemento indicativo del fatto che i due avessero premeditato l’omicidio e, in particolare, che Arianna avesse ideato e programmato l’uccisione della madre, coinvolgendo il figlio Enea, è costituito dai rimproveri della Orazi al figlio per non essersi attenuto a quanto concordato, dalle espressioni “di durata” proferite ripetutamente dalla Orazi e dalle ripetute “conferme” del figlio, captate nelle conversazioni intercettate». Enea era stato rimproverato dalla madre per aver parlato di un incidente e ritrattando la versione della rapina che era stata data all’inizio dai tre imputati. «Arianna richiamava duramente il figlio, reo della “ritrattazione”, dicendogli: “Ma perché non hai mantenuto quillu che ho dittu? Dije che..ritratta!! Dije che ci avutu paura, che incidente po”?…. che incidente è??! lo ho detto quello??”. Enea: “M’ha detto che se sennò potevano anche non vinì…”. E Arianna: “Che me frega! No, guarda io… Qua jimo in galera eh!!”. La Orazi rimproverava al figlio di non aver continuato a proporre agli inquirenti la versione dei fatti che gli aveva precedentemente suggerito, sottolineando che, a causa delle sue dichiarazioni, sarebbero potuti andare tutti – non solo Enea – in carcere, per concorso in omicidio».

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Enea Simonetti in Corte d’appello

I MALTRATTAMENTI – Punto centrale della sentenza di secondo grado sono i comportamenti dei familiari di Rosina che strutturano il movente. I giudici scrivono che nella sentenza di primo grado la paura manifestata da Rosina veniva ricondotta «a “suggestioni” da programmi e notizie televisive» e si «affermava che la “reciproca tensione familiare (era) da ricondurre nell’ambito di una sostanziale normalità, considerato che i due nuclei familiari, da poco riunitisi nella stessa abitazione, stavano cercando un nuovo equilibrio per proseguire serenamente al loro convivenza”».

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Arianna Orazi

Secondo i giudici dell’Appello «Sarebbe sin troppo facile osservare che la situazione era normale e la Carsetti era autosuggestionata a tal punto da essere poi uccisa all’interno dell’abitazione dal nipote Enea con il concorso della figlia Arianna (secondo la Corte d’assise per un movente economico, che la stessa difesa dell’imputato Simonetti asserisce che “non sta né in cielo né in terra” e che in effetti non costituisce il vero movente dell’omicidio, ravvisabile, invero, nella necessità di sopprimere la Carsetti prima che “denunciasse” i maltrattamenti ed evitare le gravi conseguenze penali che ne sarebbero derivate per loro».

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Enrico Orazi con il suo legale, l’avvocato Barbara Vecchioli

E ancora, secondo i giudici «non sussiste alcun dubbio circa la sussistenza del reato di maltrattamenti – consistenti in vessazioni di vario genere (tra cui: denigrazione, svalutazione, isolamento, limitazioni, privazioni, offese, “dispetti”, atti di “controllo”, violenza fisica, minacce) – nei confronti di Rosina, la quale, in conseguenza dei maltrattamenti, era ridotta in uno stato di sofferenza e paura, tale da rendere intollerabile le relazioni familiari. Le condotte degli imputati, invero, per il loro carattere abituale e la consapevole volontà degli agenti di determinare nella vittima una condizione di prostrazione e sofferenza, cosi da causare l’intollerabilità della convivenza, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia».

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Il pm Vincenzo Carusi

Per i giudici di maltrattamenti sono responsabili «tutti gli imputati», e risulta, scrivono «in modo inequivocabile dai racconti effettuati dalla vittima a più soggetti (e da questi riferiti, nonché registrati dagli stessi imputati e rinvenuti nei loro smartphone), dalle dichiarazioni effettuate da amici e conoscenti della Carsetti, con cui la stessa si era confidata, dall’addetta al Centro Antiviolenza di Macerata, dai militari a cui si era rivolta la persona offesa e intervenuti presso l’abitazione della famiglia Orazi il 27 novembre 2020 (nonché dalle relative annotazioni di P.G.), dalle registrazioni effettuate da Arianna Orazi, Enea Simonetti, di “liti” familiari e conversazioni intrattenute dalla Carsetti con soggetti esterni alla famiglia; nonché da ulteriori elementi che saranno poi indicati. La Corte reputa pienamente attendibili, stanti il tenore, la genuinità e la coerenza nonché i plurimi elementi di riscontro in atti i racconti della Carsetti».

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