di Alessandra Pierini
Senza filtri, senza inganni. Così Gino Paoli e Danilo Rea si sono presentati ieri sera sul palco di uno Sferisterio, raffreddato dalle temperature gelide ma riscaldato dalla potenza della musica. In scena un pianoforte, sgabello, microfono e due casse. Niente più. Niente effetti speciali, né balletti, nè cotillon. L’essenziale nella sua purezza. Un mix di voce, note e poesia travolgente e capace di emozionare senza fronzoli.
Gino Paoli non fa fatica a rivelare la sua età: «A 85-86 anni, quanti sono, ormai sono anziano» ha detto confessando di avere però ancora voglia di sperimentare. E la sperimentazione ha invaso la prima parte del concerto: canzoni non canzoni, “fotografie” come le ha definite il cantautore spezzino, da ascoltare attentamente per cogliere la profondità delle parole. L’artista si è esibito come se fosse con qualche amico nel salotto di casa sua, bevendo acqua e fumando sigarette, una dietro l’altra e svelandosi pezzo pezzo con la serenità coinvolgente di chi non deve dimostrare nulla e per questo si dona con ancor più completezza.
E’ un crescendo di pathos che passa attraverso le sue canzoni più famose: da “Sapore di sale” a “Che cosa c’è”, da “Senza fine” a “La gatta” e l’immancabile “Cielo in una stanza”. Commovente l’interpretazione di Paoli dell’”Albergo a ore” preceduta da una introduzione sulla poesia “buffa signora” che appare nei momenti più inattesi. Al fianco di Paoli, Danilo Rea, capace di rendersi protagonista con il suo piano e grazie a un’intesa invidiabile. I due si confrontano tra una canzone e l’altra e si suggeriscono il brano successivo quasi come se non ci fosse una scaletta definita. Ed è magia infinita.
(Foto Tabocchini/Zanconi)
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