L’allestimento del Don Giovanni con le proiezioni sul muro del palco
di Marco Ribechi
A chi si aspettava un’opera di serie B a causa delle misure anti-Coronavirus rispondono gli applausi scroscianti di uno Sferisterio trionfale da vera prima. 850 spettatori le cui mani hanno battuto come 3mila per celebrare un Don Giovanni che senza dubbio resterà nella storia di Macerata, non solo per le condizioni straordinarie in cui è stato proposto ma anche per l’eccellente risultato raggiunto. Praticamente unanime il giudizio positivo sul valore di uno spettacolo che “non s’aveva da fare” ma che, come nei più bei romanzi della letteratura, fa superare ai suoi protagonisti mille difficoltà per poi chiudersi in uno sperato lieto fine. Sfida vinta sul versante biancocoraggio, il tema scelto in maniera purtroppo preveggente per quella che è diventata la stagione post quarantena. Non era facile.
Senza dilungarsi troppo in particolari già scritti, il Don Giovanni allestito da Davide Livermore e diretto da Francesco Lanzillotta fa di necessità virtù brillando proprio in quelli che, alla vigilia, sarebbero dovuti essere i suoi deficit. Non pochi se si pensa all’assenza praticamente totale di scenografia a causa della mancanza del personale di palco; ad un’orchestra ridotta e con addirittura gli ottoni fuori buca per mantenere più distanziati i musicisti; alla necessità degli attori di tenersi ad un metro e cantare quasi sempre rivolti verso il pubblico per rispettare il distanziamento; all’obbligo delle mascherine per i mimi fino addirittura alla necessità di ridurre il numero di truccatori per non affollare i camerini. Di fronte al palco invece una platea a gruviera con il pubblico distanziato, intere file di sedie eliminate per evitare il rischio contaminazione, l’assenza del servizio bar e l’obbligo persino di chiedere il permesso per andare in bagno, come a scuola.
Tutte queste difficoltà in un qualsiasi altro luogo sarebbero state sufficienti a gettare la spugna ma lo Sferisterio, si sa, non è un luogo qualsiasi e la magia che regna tra le sue magnificenti colonne è stata capace di rendere impercettibili gli ostacoli sopracitati, grazie ad una prova corale di altissima qualità. Sarebbe quindi ingiusto celebrare qualcuno più degli altri poiché tutti sono stati perfetti allo stesso modo. Il Don Giovanni proposto appare quasi cosmico e senza tempo come suggeriscono gli elementi scenici appartenenti a differenti epoche (abiti, parrucche, oggetti, automobili e persino un cavallo con carrozza) che si stagliano su un video mapping onirico che nella scena finale trasporta i protagonisti nello spazio infinito. Le immagini proiettate sul muraglione dell’arena colorano la scena di viola, di verde, di blu, di rosso, ora creano architetture classiche, ora catturano placidi mari sormontati da una falce di luna o cieli nuvolosi. Siamo in ogni luogo e in ogni tempo, a restare quasi monolitica è solo la statua del Commentatore al centro della scena, simbolo dei crimini di Don Giovanni e forse degli uomini in generale.
L’intera scenografia è costituita solamente da due automobili, un suv e un taxi giallo che entrando in scena di continuo e in maniera roboante contribuiscono a dare movimento a un palco praticamente vuoto. Questa è forse la meraviglia più grande di questo Don Giovanni: nonostante l’assenza di elementi scenici appare sempre vivace, frizzante, vitale. La rappresentazione si apre con un Leporello (Tommaso Barea) che irrompe a tutta velocità sul palco a bordo del suo veicolo per poi piantare una sgommata e aprirsi spavaldo una lattina di birra. E’ il preludio alla sfrontatezza del suo padrone Don Giovanni (Mattia Olivieri) che stile gangster noir fa fuori senza pensarci il Commendatore (Antonio Di Matteo) accorso con i suoi scagnozzi in soccorso di Donna Anna (Karen Gardeazabal). Lo scontro però sancisce in un certo senso anche la morte spirituale di Don Giovanni di cui un alter ego resterà disteso morto sul palco per tutta la durata del primo atto, come a raffigurare la sua coscienza perduta (ammirevole la prova della comparsa, immobile per lunghissimo tempo nonostante il freddo quasi glaciale). Proprio la vista di questo corpo disteso provocherà in più occasioni a Don Giovanni dei rapidi stati allucinatori (i suoi flebili rimorsi) che però, fermo nei suoi propositi di malaffare, riuscirà ogni volta a scacciare in pochi istanti.
Se Donna Anna e Don Ottavio (Giovanni Sala) sono vestiti con abiti neri, a rappresentare la passione è Donna Elvira (Valentina Mastrangelo) che indossa quasi sempre una seducente vestaglia di seta rossa. A lei durante l’aria “Madamina, il catalogo è questo” Leporello mostra tutte le amanti di Don Giovanni che compaiono sotto forma di selfie sul grande muro dell’arena, come in un moderno social network con donne di tutti i tipi: giovani, anziane, magre, grassottelle, e di ogni nazionalità. Forse è proprio qui che si nasconde il moderno Don Giovanni che dell’oggetto del desiderio brama all’infinito solo l’immagine, non la sostanza. Una realtà molto comune nell’epoca contemporanea. Le nozze tra Zerlina (Lavinia Bini) e Masetto (Davide Giangregorio) sono invece celebrate in un palazzo completamente ricoperto di graffiti che reca addirittura impresse, sopra all’ingresso, le date di nascita e di morte di Mozart. Nei due atti più volte intervengono nere figure seminude dal volto coperto (geniale inglobamento delle mascherine nei costumi di scena), uomini e donne fatti quasi d’ombra a rappresentare il desiderio malsano di Don Giovanni: malsano perché fine a sé stesso e ottenuto prevaricando su tutto e su tutti. Una sessualità quasi vampiresca mostrata attraverso tutte le forme di erotismo che pervadono alcuni dei protagonisti: baci saffici, abbracci omosessuali, autoerotismo, gruppi orgiastici tutti spersonalizzati e legati solo alla corporeità (e, da sottolineare, mai volgari). Tra queste figure, tentato dal suo padrone, quasi si perde anche Leporello che però mantiene sempre almeno un briciolo di coscienza.
Solo Donna Elvira, animata da vero amore, tinge di colore rosso la scena pervadendo con la forza della passione tutto lo spazio. Il susseguirsi delle varie arie si accompagna ad applausi decisi e sinceri del pubblico, sempre partecipe ma allo stesso tempo gelato dal “generale inverno” dello Sferisterio, capace di costringere alcuni spettatori addirittura all’abbandono e altri a tirare fuori le coperte, nel senso letterario del termine. Da rimarcare la divertente complicità tra Don Giovanni e Leporello, che raggiunge il suo apice nell’apertura del secondo atto, quando Leporello in una splendida plasticità tira delle rose al balcone di Donna Elvira mentre Don Giovanni, perfido, si nasconde dietro l’automobile pronunciando parole di adulazione verso la donna innamorata e ingannata. Alla morte del protagonista, che sancisce la punizione senza redenzione e il ritorno alla normalità, seguono applausi a scena aperta che sarebbero stati molti di più se il pubblico non fosse ridotto a un terzo circa della normale capienza dell’arena. Emblematiche le parole a fine spettacolo del regista che, con una nota di polemica ha affermato: «Se avessimo indossato le maglie della Juve o del Milan oggi avremmo potuto recitare abbracciandoci», riferendosi al fatto che, come direbbe Orwell, siamo tutti uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. La speranza, come ha espresso nei saluti finali il direttore Lanzillotta, è che a guidare il ritorno alla normalità possa essere la cultura a cui però deve essere concessa la possibilità di esprimersi. Il Don Giovanni dello Sferisterio ha senza dubbio contribuito a questo obiettivo coraggioso, regalando l’ennesimo successo da passare agli annali del tempio della lirica maceratese.
(foto Tabocchini)
Il regista Davide Livermore
Il direttore musicale Francesco Lanzillotta
Spettacolo veramente bello! Avvincente e mai noioso. Veramente bravi gli interpreti. Certamente non in tono minore nonostante le varie problematiche legate al Covid!
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Non vedo l’ora di andarlo a vedere, perché Mozart non è rappresentato abbastanza spesso, e il DONGIOVANNI è la più grande opera di tutti i tempi e di tutte le epoca. La parabola della esistenza di ognuno di noi. Tuttavia trovo veramente assurdo e addirittura ignobile che vengano imposte certe regole ridicole senza fondamento scientifico, all’arte, anche se I capolavori di Mozart sono in grado di sopravvivere a qualsiasi cosa e in qualsiasi tempo!
Là ci daremo il gomito
là mi darai il gel…