Iginia e Letizia Carducci, Osteria dei fiori, Macerata
di Ugo Bellesi
Nel mondo della ristorazione c’è molta preoccupazione per il fatto che c’è troppa incertezza sul futuro di questa attività per le conseguenze della pandemia che tra l’altro farà cambiare anche le più consolidate abitudini della gente. Tutti hanno voglia di ripartire ma i ristoratori vogliono sapere in anticipo come dovranno attrezzarsi per essere preparati al meglio il giorno che si darà il via libera alla ripresa della loro attività. Inoltre c’è il timore che molti, avendo i locali piccoli mentre le regole imporranno di tenere la clientela a rispettose distanze, preferiranno non riaprire affatto i loro ristoranti. Parliamo di queste problematiche con Iginia Carducci, presidente dell’Associazione provinciale cuochi “Antonio Nebbia”, con una preziosa esperienza maturata nel ristorante di famiglia, giunto a 40 anni di attività, nel centro storico di Macerata.
Quale era la situazione del mondo della ristorazione prima del coronavirus?
«Si assisteva a colazioni e aperitivi a tutte le ore, brunch, pranzi aziendali, tè con gli amici, gelato in piazza, cene gourmet, pizze per tutti i gusti, ricette della tradizione e cibi etnici, ovunque, e da anni, i consumi fuori casa sono cresciti in modo esponenziale e di conseguenza si sono moltiplicati i locali dedicati al food and beverage, un comparto considerevole in termini di fatturato e occupati. Erano croce e delizia dei centri storici, mentre le istituzioni, dopo la liberalizzazione delle licenze, hanno cercato invano di far convivere le attività commerciali con la residenza. Intorno alla convivialità e alle tantissime attività culturali, che si sono consolidate anche nella nostra città, spesso solo per il piacere di incontrarsi, un’offerta di cibo così ampia e variegata, ha occupato lo spazio delle piccole botteghe artigiane e di tanti negozi di abbigliamento, supportando in cambio le iniziative e l’attrattività turistica e non solo».
Per il mondo della ristorazione non erano però tutte rose. C’era sempre un turn over vertiginoso perché molti, infatuati anche dalle trasmissioni televisive dove tutto era facile, anche preparare un piatto impegnativo in venti minuti, avevano pensato che la strada della ristorazione fosse la più redditizia.
«Alcune delle gestioni infatti soffrivano già da mesi, causa canoni di locazione elevati, a causa della concorrenza che spesso ha giocato al ribasso. Inoltre alcuni, nonostante le piccole dimensioni e tutti i reality tramessi in televisione, non si sono mai resi conto appieno della complessità dell’impresa alimentare. E questo oltre ai costi fissi e alla burocrazia. Se il turn over per questo settore è generalmente di tre anni, la fase storica che ricorderemo come “ai tempi di corona virus” pone grandi interrogativi sulle riaperture possibili».
Quale la problematica che più preoccupa la categoria?
«Oltre alla data, che gli addetti aspettano per tornare al lavoro, i pubblici esercenti si ritrovano smarriti e impegnati nella ricerca di nuove modalità per una gestione sostenibile, tra sicurezza, qualità dell’offerta, costi/ricavi e umanità. Forse come nelle grandi città la gente si abituerà ad aspettare il cibo ordinato in casa, ma per il momento la consegna a domicilio e l’asporto non risolvono molto. Protocolli di sicurezza e sanificazione, controllo dei dipendenti, incertezza sulle richieste quotidiane rendono l’operazione piuttosto complicata».
Ma non dimentichiamo che il piacere della convivialità e del mangiare fuori casa è molto forte.
«E’ possibile che le occasioni per mangiare fuori casa torneranno in un attimo, ma il piacere di condividere cibo e bevande per ritrovarsi e confrontarsi, costume storicamente consolidato, si scontrerà per mesi con il timore diffuso di contagio mentre molti dei ristoratori si chiederanno se riaprire o meno, perché è sicuramente indispensabile un reinvestimento in termini di denaro ed energie. Infatti per mettere a punto nuove soluzioni, non solo in questo settore, occorre, oltre alla fiducia nel futuro, una buona dose di fantasia e solidarietà. Ciascuno è in grado di contribuire con idee e buone pratiche, ma anche la professionalità è più che mai indispensabile. Tutto sembra a portata di mano e con un telefono qualsiasi: basta scegliere tra gli strumenti di web marketing, social media, programmi di grafica, tutorial intelligenti. Ma neppure il digitale potrà essere protagonista del cambiamento. Infatti in questa parte del mondo il cibo non è quasi mai esclusivo nutrimento, ma attiene alla cultura e al sentimento e nutre la memoria condivisa».
E allora quali sono le prospettive?
«Il settore della ristorazione, per sua natura individuale, dovrà far gruppo di fronte ai temi condivisi, per non scomparire. E’ difficile che un ristoratore, da solo, possa reinventare offerta, logistica e strategia d’imprese e, contemporaneamente, contribuire al rafforzamento della comunità. Ma è proprio sulla clientela locale che nell’immediato occorre investire per favorire una ripresa oggettivamente difficile, prima che si perda il ‘vizio della gola’ e, soprattutto, quello delle relazioni di qualità».
Avete in mente qualche idea?
«Negli ultimi giorni ci sono stati vari incontri sia a Macerata che a Civitanova e la voglia di tutti è quella di ripartire puntando innanzitutto sugli spazi fuori dei ristoranti. C’è una volontà diffusa di puntare soprattutto sui prodotti del territorio. Non è facile però mettere in contatto i produttori con i ristoratori per gli opportuni rifornimenti. Ecco allora la necessità di avere delle piattaforme che facciano da punto di riferimento per i produttori. Saranno poi i ristoratori a rivolgersi a queste piattaforme per scegliere i prodotti che preferiscono o di cui hanno bisogno. E’ una delle tante idee emerse in questi incontri ma ce ne sono anche altre».
Al ristorante “Di Gusto”, in piazza Cesare Battisti a Macerata, hanno deciso di potenziare in proprio il trasporto dei pasti a domicilio estendendo il servizio a tutta la provincia. «Il nostro staff – ci dice il titolare Marco Guzzini – si è adattato molto bene alla situazione di emergenza per cui riusciamo a soddisfare la nostra clientela sia in città che in altri comuni utilizzando le scatole termiche e altri accorgimenti. Siamo favoriti anche per il fatto che noi serviamo pure il sushi». Altro locale del centro storico di Macerata, il “Caffè Centrale”, è molto attivo nel servire pasti a domicilio richiesti soprattutto da famiglie ma anche da universitari. Il titolare Aldo Zeppilli precisa che può essere ordinato tutto quanto è presente nel menù del locale. In questo periodo si sarebbero dovuti svolgere gli “Aperitivi europei” ma essendo l’iniziativa sospesa per il virus, nel menù sono stati inseriti piatti di altri paesi europei. Dal canto suo l’”Osteria dei fiori” fin dal mese di aprile ha messo a punto un’offerta (in costante aggiornamento) che aggiunge, alle produzioni artigianali, una lista di piatti pronti. Con un semplice click si può ordinare, pagare on line e concordare la consegna a domicilio (oppure, da pochi giorni, si può effettuare anche l’asporto). Dietro però c’è la collaborazione con il negozio Mymarca, che è una piattaforma informatica con e-commerce attiva da 13 anni che vende e spedisce ovunque i migliori prodotti di enogastronomia del territorio. Da ciò appare evidente che se si trova la giusta collaborazione, tutto il settore della ristorazione potrebbe trainare anche i produttori locali che sono egualmente in sofferenza.
Il “Moma food” di via Cassiano da Fabriano anche prima dell’arrivo della pandemia effettuava il servizio di portare i pasti a domicilio. Così è successo che con la pandemia la clientela è un po’ diminuita. Il servizio più richiesto è per la cena. Comunque si sono scoperti anche nuovi clienti. In potendo fare la manifestazione degli “Aperitivi europei” il locale ha trovato la collaborazione di due bar della zona e quindi li serviamo a domicilio a qualcuno viene anche a ritirare quanto richiesto.
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