La chiesetta della Madonna della Cona
di Monia Orazi
Non tutto il patrimonio artistico è stato salvato dalle scosse del terremoto, restano a prendere pioggia paramenti sacri di fattura secolare, piccoli oggetti liturgici abbandonati in sagrestie alla portata di chiunque, mentre quelle salvate si trovano in una serie di depositi in gran parte inaccessibili. Non sono mai stati messi in sicurezza la chiesa millenaria di San Marco in Colpolina a Fiastra, l’affresco quattrocentesco della Maestà di Panicali a San Severino, mentre grazie alla solidarietà tornerà presto all’antico splendore, la chiesa della Madonna della Cona.
Luca Maria Cristini
A tracciare un quadro della situazione delle opere d’arte a quattro anni dal terremoto è l’architetto Luca Maria Cristini. Nel 2016 era il responsabile dell’ufficio Beni culturali della diocesi di Camerino. Faceva parte della squadra composta da vigili del fuoco, carabinieri Nucleo tutela patrimonio culturale, volontari Legambiente, personale dell’unità di crisi sisma del ministero dei beni culturali e personale della diocesi Camerino, che ha girato in lungo ed in largo dieci mesi tutto il territorio, entrando in musei e chiese inagibili, per salvare le opere d’arte a beneficio delle generazioni future. «Abbiamo perso l’80 per cento dei paramenti sacri, rimasti alle intemperie nelle chiese inagibili, perché non c’erano luoghi dove conservarli, tutte le minuterie dentro mobili che non si è riusciti a recuperare – spiega Cristini – eppure i fondi c’erano. Da noi è mancata la fase di prevenzione, dall’esperienza del 1997 non abbiamo imparato nulla. L’Umbria invece sì, realizzando il ricovero dei beni culturali a Santo Chiodo di Spoleto. Un edificio di elevatissima sicurezza antisismica, realizzato su isolatori sismici, con dentro le attrezzature necessarie ad accogliere le opere, una vera e propria “sala triage”, dove sono spolverate e analizzate, disinfestate dai tarli. Ci sono rastrelliere, scaffali e cassettiere per opere tissutali, che noi non abbiamo».
Una delle opere danneggiate dal sisma
Aggiunge Cristini: «Quando le opere sono depositate, sono accompagnate da un verbale ufficiale, fotografate e documentate, nessuno prende nulla a nessuno. In un deposito ad hoc, con le caratteristiche giuste, non si sarebbero rovinate. Se invece, come accaduto a volte le si sposta tre volte, oltre al costo, si corre il rischio di danneggiarle. La seconda sfida è dove staranno le opere sino a quando non riapriranno le chiese dove si trovavano? Fatta eccezione per Camerino che ha un proprio deposito attrezzato, sarà probabilmente il futuro museo diocesano di San Severino, da poco finanziato, ad accogliere le opere d’arte dell’entroterra ferito». Delle oltre 13mila opere d’arte salvata in tutte le Marche, secondo il report di Legambiente sul dopo terremoto basato su dati Mibact, 1.423 quelle in condizioni più critiche sono alla Mole Vanvitelliana di Ancona, e 140 a Forte Malatesta di Ascoli Piceno gestiti entrambi dal ministero per i Beni culturali. Le altre 11.648 sono in tre diversi depositi nella diocesi di Camerino, due nella diocesi di Ascoli Piceno, uno della diocesi di Fermo, un altro del comune di Amandola, istituto Campana di Osimo e luoghi temporanei sparsi in diversi comuni, non lontano dalle chiese danneggiate. A Camerino ci sono le opere del museo diocesano nei sotterranei della curia arcivescovile, a San Severino pure sono ricoverate nell’ex palazzo vescovile, che diventerà un museo. La favola bella che ama sempre raccontare il colonnello Carmelo Grasso dei carabinieri Ntpc è il recupero della Madonna delle Rose a San Placido di Ussita.
La scultura del San Sebastiano che si trovava all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta a Castel Santa Maria di Castelraimondo (foto di Luca Cristini)
Ricorda Cristini: «Qualcuno ha voluto tenacemente recuperarla. La sua foto scelta per una locandina ha fatto il giro dei social e grazie alla solidarietà, è stata recuperata in un laboratorio a Roma, dove ne è stato verificato il valore. Contrariamente al parere di qualcuno, è una scultura cinquecentesca realizzata in modo molto accurato, oltre che oggetto devozionale di grande venerazione. E’ realizzata in terracotta a secco e dipinta ad olio». Conclude l’architetto, annunciando il via ai lavori di recupero della chiesetta della Madonna della Cona, a ricordare la battaglia tra Visso e Norcia: «La Madonna della Cona è un simbolo che si trova in una posizione dove si uniscono due diocesi che per secoli si sono fatte la guerra, ricorda la fine del conflitto. E’ un simbolo perché dimostra che quando i cittadini si rimboccano le maniche, a questo si unisce l’azione di sensibilizzazione, l’azione volontaristica senza fini di lucro, si riesce a portare a termine, qualcosa che altrove non si riesce a fare. Grazie al Cai, Cosmari, Macerata opera festival, si è riusciti a dare un segnale, il primo solco tracciato dall’aratro, altre spighe che nasceranno. Se si crede al valore della civiltà delle nostre terre, il patrimonio artistico va tutelato. Occorre capire cosa si farà, c’è farraginosità nelle procedure, non è chiaro dove si vuole arrivare».
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