Americo Sbriccoli, storico presidente dell’Ordine dei medici di Macerata
di Americo Sbriccoli*
Addio Giancarlo,
la morte trasferisce la nostra esistenza dall’area tangibile della convivenza a quella astratta e immaginifica del ricordo, fino a credere che si possa continuare a vivere nella mente e nel cuore di chi ci ha conosciuto. Ma del ricordo, che può essere differente per intensità e durata, esistono tre diversi livelli. Quello affettivo, che appartiene a famigliari ed amici per tutto il tempo della loro vita. Quello sociale, che resta nella gente che ti ha conosciuto e potuto apprezzare. Quello universale, che, al contrario, non ha interesse per le qualità della persona, ma la esalta solo per il valore sublime ed immortale delle sue opere.
Venendo alla morte del mio carissimo e fraterno amico Giancarlo Liuti, fuori dalla scontata retorica di circostanza, posso affermare che il suo ricordo appartiene alla sfera sociale della nostra città, della quale egli, pur se nato altrove, ha sempre gelosamente avuto cura fin dalla prima adolescenza. Ci siamo conosciuti sui banchi del Ginnasio al Liceo classico Giacomo Leopardi, determinati fin da allora a costruirci una carriera, io di chirurgo e lui di giornalista e, sul piano affettivo, pur percorrendo strade differenti e lontane, non ci siamo mai lasciati. Tuttavia, oggi, per l’esperienza dei miei ottantasette anni, nel modo di affrontare la vita, rilevo tra noi una differenza sostanziale, che posso esprimere in due motti: il mio, che viene da un ex-libris di Piero Gobetti, è “fa ciò che devi accada che può”; il suo, di autore ignoto, “astieniti se non ne sei sicuro”.
Giancarlo Liuti
E’ questa la chiave di lettura che rende comprensibile il ruolo centrale che Liuti ha avuto nella storia della nostra città. L’appellativo di provinciale, che generalmente ha un valore negativo, come di persona dalle vedute limitate e retrive, nel nostro caso assume tutto un altro senso. Giancarlo, nella dimensione locale ha trovato la sua vera ragione di vita, e mi piace credere che sia stato per saggezza e amore che egli, in più di un’occasione, scelse di rifiutare vantaggiosissime offerte di trasferimento e carriera, d’accordo col detto di Cicerone: “Meglio essere il primo cittadino ad Irpino che il secondo a Roma”.
Lord Percival (grande medico e storico inglese vissuto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo), riassume in tre precetti le prerogative del vero gentiluomo: Honeste vivere, Alteruni non ledere, suurn cuique tribuere. (Sii sempre onesto, non fare mai del male, dà sempre il tuo sostegno a chiunque lo chieda ). Essi corrispondono perfettamente al nostro caso, soprattutto per la terza regola, che Giancarlo ha puntualmente onorato con garbo e sollecitudine, mai invadente o polemico ma sempre amichevole e incoraggiante.
Forte del ruolo centrale del suo mestiere di cronista attento alle cose locali, è sempre stato un punto di riferimento, promozione, conciliazione e sostegno nelle questioni locali. Ci s’incontrava di giorno presso la redazione del giornale e, dopo cena, presso i luoghi delle chiacchiere, come il bar dello sport, e soprattutto all’aperto, nelle interminabili passeggiate notturne lungo le mura secondo un rituale che Fellini ha magistralmente illustrato nella Rimini de “I Vitelloni”. E’ così che ha preso forma il ruolo di Giancarlo: suggeritore di buoni consigli, risoluzioni e giusti comportamenti, messi lì come per caso, ma in modo che l’interessato potesse servirsene. Un benefattore ermetico come la Sibilla dei nostri monti. E che dire di lui come persona? Sempre estraneo a politica, gioco, donne e denaro, amava la buona cucina, ma mangiava poco, apprezzava il buon vino, ma non beveva, conosceva i trucchi ma non era un furbo, sapeva riconoscere intelligenza e talento, ma non era invidioso, soffriva per le offese, ma non portava rancore. Non conosceva l’ipocrisia, ma, al contrario, aveva un rispetto ossessivo per la verità e fu sempre acerrimo nemico del pressappochismo e delle mezze misure.
Si fa un gran dire della Macerata Grande che non c’è più, ma in verità quella città non è mai stata grande di per sé. Essa è esistita solo perché c’erano i bravi maceratesi come Giancarlo a sostenerla. Spero di cuore che la nobilissima semenza di chi tanto ha saputo fare dia presto il frutto di adeguati rimpiazzi .
*Presidente emerito dell’Ordine dei medici di Macerata
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In realtà Lord Percival ha scritto:
“Honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”, ossia
“Vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo”.
(bastava copiare bene la frase, che sta su Internet, per non parlare in ‘latinorum’ trascrivendo male un testo scritto a mano da qualcuno).
La frase, nella forma:
“Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”,
si trova anche sulla facciata del palazzo di giustizia di Milano.
Vedi, Iacobini, a che punto di tecnolatria, di anglofilia e di tafazzismo siamo arrivati? si arriva a pensare che un medico inglese di due secoli fa, la cui nomina a lord è peraltro sfuggita a wikipedia, sia l’ideatore delle regole del diritto che Ulpiano avrebbe poi copiaincollato sedici secoli prima… questa ormai è la normalità…
Per Pavoni. In teoria il tempo potrebbe anche scorrere al contrario (secondo il fisico Carlo Rovelli addirittura il tempo non esisterebbe, forse non è sposato), con grande scorno per Ulpiano, che da ideatore si trova ad essere un mero copiatore di testi al pari dei monaci di Montecassino.
Veramente secondo i più arguti teologi D.io ha la facoltà di cancellare il passato e di ricrearlo a suo piacimento, come dimostrano le contraddizioni tra i vangeli, dove da una parte si dice che un ladrone ha chiesto pietà a Gesù dall’altra si sostiene che l’hanno ingiuriato in due. Più curioso ancora è il caso della strage degli innocenti e della fuga in Egitto raccontato da Matteo, mentre secondo Luca dopo la circoncisione al tempio la Sacra Famiglia è ritornata nella massima tranquillità a Nazaret.