«Meno medici, niente primari
e nessun macchinario nuovo:
così si fa morire un ospedale»

SANITA' - L'ex sindaco di Pioraco, Luisella Tamagnini, sull'ospedale di Camerino. Per tanti anni è stata impegnata al reparto di Cardiologia, quello che oggi soffre di carenza di medici. «Dal 2005 al 2010 esami ambulatoriali passati da 18mila e 1.500. Senza i servizi essenziali nessuno vorrà vivere nell'entroterra»

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Luisella-Tamagnini

Luisa Tamagnini

 

«Non occorre chiudere un ospedale in modo eclatante, si può benissimo farlo morire di morte “naturale”. Ci vorrà più tempo, ma il risultato è assicurato», così Luisella Tamagnini, ex sindaco di Pioraco e per tanti anni impegnata nel reparto di Cardiologia dell’ospedale di Camerino, sul nosocomio della città ducale. Nei giorni scorsi la struttura è stata oggetto di incontri tra il sindaco Sandro Sborgia, e il direttore dell’Asur Nadia Storti, per parlare della carenza di personale, in particolare per il reparto di Cardiologia. Secondo Tamagnini «si comincia col creare difficoltà non sostituendo i medici che vanno in pensione e questo genera subito invariabilmente un blocco dell’attività ambulatoriale, le liste di attesa si allungano, si fa avanti il privato che offre un servizio “facile” e la colpa di ciò ricade sul personale medico che agli occhi di tutti viene fatto risultare incapace ed inadeguato. Parlo ora nello specifico della Cardiologia di Camerino, nella quale ho lavorato per quarant’anni, ma molti potranno riconoscersi nelle mie parole perché il modus operandi è diffusamente lo stesso. Non tutti sanno che lavorare per turni di 24 ore – continua Tamagnini -, senza riposo, senza ferie e con una reperibilità anch’essa di 24 ore, logora la resistenza di chiunque. Ciononostante, per anni, la Cardiologia di Camerino ha resistito con tenacia fornendo un servizio di tutto rispetto alla popolazione. Forse sarà stato per futili motivi tipo l’attaccamento al lavoro, il senso di responsabilità, la dignità professionale… Non certo per guadagno perché chi è andato in pensione aveva un credito stratosferico di ore in più non pagate e di ferie non godute, tanto per chiarire eventuali dubbi che potrebbero sorgere. Per migliorare l’effetto si procede poi a non nominare i primari per molto tempo, in modo da fiaccare lo spirito e la resistenza di chi è costretto a lavorare con un carico di responsabilità a volte soverchiante e non riconosciuto (il facente funzione deve solo obbedire, non creare problemi e non superare il budget assegnato). Inoltre si evita di riparare ciò che è rotto, non si acquistano strumenti nuovi, salvo quelli oggetto di donazioni, dimenticando che per utilizzarli e refertare gli esami è necessario il medico, perché gli strumenti da soli non si accendono nemmeno. Tutto ciò contribuisce a far circolare la voce che la struttura non è adeguata. Si passa perciò per esempio per la Cardiologia – continua Tamagnini -, da un volume di esami ambulatoriali di 18mila l’anno nel 2005 a 1.500 l’anno nel 2010, anno di entrata in funzione del Cup regionale. Non si ascoltano i consigli e le proposte di chi da anni è abituato a gestire in prima persona la sanità pubblica, tanto ci sono i privati che reggono botta». Secondo Tamagnini «La politica ha in tutto questo la sua grossa fetta di responsabilità perché i dirigenti Asur da quella sono nominati, da quella dipendono e su indicazione di quella nominano molti primari, così, senza tanto lambiccarsi il cervello confessano “addolorati” di non aver saputo in tempo di certi problemi (come se fosse una scusante), proferiscono promesse grondanti miele, trattano i sindaci ed i loro cittadini da incapaci marionette e la popolazione, oltretutto terremotata, vede tutti giochi passare sulla sua testa , convinta di non poter fare nulla. La rassegnazione, il disinteresse, sono quindi sovrani, salvo mettere insieme battaglie inutili e stupide sui social convogliando energie nel nulla. Gli indiani d’America sono stati portati a morire nelle riserve dopo lotte sanguinose e per loro soverchianti. Noi moriremo invece nelle nostre terre, senza colpo ferire, convinti che nulla ci spetta. Se si tolgono i servizi essenziali, e la sanità è il primo di questi, chi vorrà restare in questi luoghi? Ed ecco che le nostre zone potranno essere libere come praterie, dove sono già passati i bisonti e non ci sarà nemmeno la consolazione che tra i monti ci sia l’oro o il petrolio nel sottosuolo».

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