Lucrezia Ercoli, Cinzia Maroni e Giulia Caminito
Giulia Caminito
di Marco Ribechi
(foto di Fabio Falcioni)
Dall’opera alla letteratura il passo è breve. Soprattutto quando, in attesa dell’Aida allo Sferisterio di Macerata, si parla di colonialismo e postcolonialismo italiano nel Corno d’Africa. L’occasione dell’Aperitivo Culturale viene questa volta da una giovane scrittrice romana: Giulia Caminito. Suo è il romanzo “La grande A” introdotto da Cinzia Maroni agli Antichi forni e presentato da Lucrezia Ercoli, curatrice di Popsophia. «E’ un racconto biografico – spiega la scrittrice – che cerca di analizzare una storia di vita vissuta durante l’impero fascista, quella di mia nonna e di sua madre che realmente vissero in Africa tra sogni e delusioni. Inizia tra il ’46 e il ’47 a Legnano in provincia di Milano. Adele, madre di famiglia abbandona tutto per cercare fortuna in Etiopia. Finita la guerra e caduto il regime invita i suoi figli a raggiungerla in Africa. All’appello risponderà solo Gemma, la figlia più piccola che aveva già creato nella sua fantasia un’Africa fatta di immagini stereotipate e di desideri per la vita futura. Ben presto dovrà però scontrarsi con la realtà dell’Africa reale il cui primo approccio è assolutamente traumatico. Adele e Gemma resteranno in Etiopia fino al primo colpo di stato etiope quando le due abbandonano il paese per tornare in Italia e stabilirsi nella provincia di Ravenna. Di nuovo Gemma si sente straniera nella sua terra poichè, mentre prima era abituata a comunicare con Etiopi, Armeni, Greci e altri ancora, nella provincia dove si parla solo il dialetto, nessuno comprende il suo italiano ed è destinata alla solitudine».
Lucrezia Ercoli
La grande Africa, fatta di sogni, è quindi destinata a sfumare per essere sostituita dalla figura di un’altra A, quella della madre Adele, il personaggio più complesso e meno inventato del romanzo. «Il libro di Caminito è fatto di un linguaggio evocativo – dice Lucrezia Ercoli – un reticolo di immagini che danno un’idea di oriente complessa e sfaccettata. Non l’Oriente stereotipato, fatto delle idee che l’Occidente crea su di esso, ma quello che scaturisce dagli occhi di una persona reale, di una storia di vita, capace di restituire quell’unicità che viene dalla conoscenza di se stessi. Rende giustizia alla storia poiché il periodo coloniale è una serie di eventi assurdi e ingiustificabili ancora poco elaborato dagli italiani. Raccontarlo invece partendo da un’esperienza permette di comprenderne in parte il senso perduto creato dalle vite che hanno agito in quell’epoca storica». Al termine del dibattito, anticipato da una lettura di Gabriela Lampa, l’aperitivo offerto dal ristorante “Da Silvano” a base di affettati fatti in casa e accompagnati dall’immancabile Verdicchio del cinquantenario.
Alice e Silvano Ferri
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