In alto la galleria fotografica di Alfredo Tabocchini
di Maria Stefania Gelsomini
Seconda marcia trionfale per l’Aida formato touch-screen di Francesco Micheli, che nel debutto di ieri sera allo Sferisterio ha replicato il successo ottenuto tre anni fa. In una serata caldissima e sotto gli occhi entusiasti dei divi di Hollywood John Savage e Blanca Blanco, impegnati in questi giorni a Tolentino nelle riprese della commedia “The mission possible”, invitati speciali nel palchetto del sindaco. Questa Aida, terzo titolo in cartellone della cinquantatreesima stagione del Macerata Opera Festival, realizzata in coproduzione col Teatro Comunale di Bologna, è come tutti sanno la ripresa dello spettacolo che inaugurò nel 2014 il Cinquantenario. L’impatto visivo si compenetra con il pathos della partitura musicale, la forza drammatica dei personaggi avvolti da colori fosforescenti, guidati da un destino inesorabile che li governa e che si manifesta sotto forma di frecce luminose disegnate a terra, investe e colpisce lo spettatore, la cura millimetrica degli spostamenti sul palco inclinato (la tastiera del gigantesco pc portatile su cui la vicenda si iscrive e si inscrive), che fa muovere i cantanti come pedine su una scacchiera, dà il senso dell’interattività fra i personaggi e il pavimento voluta dal regista e ne spiega le dinamiche interiori.
Gli spettacoli naturalmente evolvono nel tempo, e anche in questa Aida, rispetto alla prima edizione, qualcosa è cambiato. C’è più Etiopia laddove c’era più Egitto, e c’è anche, per un omaggio voluto da Micheli alle terre e ai paesaggi colpiti dal terremoto, un richiamo visivo ai Sibillini e alle verdi colline dell’entroterra maceratese. Un richiamo, che è anche simbolico, all’esodo delle tante persone che hanno perso tutto, costrette a sfollare in questi ultimi mesi verso luoghi non propri e verso località di mare, così come gli Etiopi di Aida e di Amonasro dovettero abbandonare la patria rigogliosa per le lande sabbiose e desolate dell’Egitto. Restano i colori forti dello schermo cangiante, il giallo del sole, il rosso dell’amore e del sangue versato in guerra, l’azzurro del cielo stellato, il verde evidenziatore, il fucsia, il viola. Colori che si annullano nel finale in un bianco totale che li ingoia tutti, un bianco irreale dell’aldilà che circonda Aida e Radamés, avviati insieme alla morte, con Amneris sconfitta, in piedi sul bordo del computer, con l’intero Egitto vestito di tuniche candide. In Aida si combattono due conflitti intrecciati fra loro, la guerra fra due popoli e la guerra d’amore in un triangolo di morte, e a volte le proiezioni stilizzate che le raccontano escono fuori dallo schermo del notebook e si riflettono sul muro dello Sferisterio: sono le stelle del cielo, è la rappresentazione dell’universo con le sue costellazioni, sono parole chiave come Nume, Custode, Vindice, o Fortuna, Gloria, Sole, o Trionfo, sono le onde del fiume, le colline etiopi e marchigiane insieme, sono i prigionieri di guerra.
Nella cornice raffinata e già consolidata di una scenografia e di un’idea registica vincenti, si inserisce un cast all’altezza. Una bella sorpresa la soprano armena Liana Aleksanyan, chiamata all’ultimo momento a sostituire Maria Pia Piscitelli (già Maria Stuarda con Pizzi allo Sferisterio dieci anni fa, diretta dal maestro Frizza), che ha saputo tratteggiare, prima di tutto con la voce (e con un’ottima dizione), un’Aida dolente e sopraffatta da un destino infausto. Un compito non facile, anche dal punto di vista registico, ma superato senza incertezze e con personalità. Ma la vera protagonista di questa Aida sembra essere in realtà la sua antagonista, Amneris. È lei che domina il palco, lei la figlia del re, lei la donna potente e capricciosa che innesca i meccanismi di ogni azione. Senza il suo amore per Radamés, i suoi sospetti gelosi nei confronti dalla schiava-amica Aida, le minacce (“Guai se”, la accompagna come un mantra), le sue reazioni di donna infelice e ferita, la tragedia non si compirebbe. Anna Maria Chiuri, mezzosoprano dal timbro brunito, caldo e potente ma dagli acuti che ricordano i suoi esordi da soprano, ama questo ruolo (lo ha appena cantato all’Arena di Verona e lo ricanterà a Shanghai dopo Macerata) e si vede. La sua Amneris s’impone con autorevolezza dall’inizio alla fine, seguendo un’evoluzione psicologica che dalle altezze del trono d’Egitto la farà cadere nel baratro della disperazione per aver mandato a morte l’uomo di cui è follemente innamorata.
Attacca molto bene anche Stefano La Colla, e non è una battuta. Il giovane tenore torinese è al debutto nell’arena maceratese ma vanta già un’avviata carriera a livello internazionale. L’ingresso in scena (“Se quel guerrier io fossi”) è spavaldo e convincente seppure concluda la romanza “Celeste Aida” con una strana mezza voce, e sempre più lo diventa nel corso della recita, quando prende fiducia e spiega una voce cristallina e ricca di squillo, che tiene senza difficoltà gli acuti più ostici. Unico superstite del cast originale è il basso Giacomo Prestia, voce importante che calca ormai da diversi anni i palcoscenici di tutto il mondo: il suo Gran Sacerdote Ramfis è molto presente in scena, e svolge alla perfezione il suo doppio ruolo di lettore e di scriba della storia sul grande libro dei morti. Ottima prestazione anche del basso Cristian Saitta come Re d’Egitto (è anche lo zio bonzo della Madama Butterfly) e del baritono Stefano Meo, che anche grazie a una voce dal timbro scuro e a una presenza scenica imponente, nonostante la giovane età riesce a delineare un Amonasro (il vecchio re degli Etiopi, padre di Aida) molto convincente. Tra i comprimari anche Enrico Cossutta (un messaggero) e Federica Vitali (una sacerdotessa).
Bello vocalmente lo straziante duetto fra le due rivali nel primo atto, ognuna rigorosamente bloccata nella propria metà dello schermo, con Amneris che alla fine al suo passaggio cancella via la metà di Aida, relegata in un angolo. Coinvolgente il concertato del finale primo atto, quando tutti i personaggi cercano in terra qualcosa, siano i segni dell’amore, della patria, della vittoria, con Aida e Amonasro, i nemici d’Egitto, additati da tutti con decine di frecce apparse sul pavimento e la gigantesca scritta Gloria che incombe sui sei protagonisti, disposti in fila in sei diverse corsie sotto ognuna delle lettere, fino a che quella parola così ingombrante scende e li schiaccia, spingendoli fuori dal computer. All’inizio del secondo atto, c’è tristezza, nostalgia e dolore nella celeberrima aria di Aida “O cieli azzurri”, e c’è felicità e speranza nel duetto con Radames (“Vieni meco insiem fuggiamo”). Quando il comandante viene catturato, Amneris vuole salvarlo ma lui ama la schiava etiope ed è pronto a morire: ecco allora che si ricompone a lettere cubitali il nome di Aida, è lei a vincere. I sacerdoti gli chiedono di discolparsi ma lui tace, e ad ogni silenzio è un pezzo del suo nome a cancellarsi, fino a scomparire. Radamès morirà, Amneris ha perso ed è distrutta. Bello anche il duetto finale Aida-Radamés, con lo schermo del pc che si chiude sopra di loro come la pietra tombale, in un’atmosfera rarefatta e quasi soprannaturale (“a noi si schiude il ciel”), con un canto dolce e sublime, finalmente di pace. Pace, l’ultima parola invocata da Amneris che assiste impotente allo spettacolo di morte dei due amanti.
Applausi finali scroscianti per tutti, anche per il direttore d’orchestra Riccardo Frizza, che ritorna a Macerata dopo l’Otello dello scorso anno (più a suo agio in questa Aida che non col Moro di Venezia) e per il cast creativo: alla regia di Francesco Micheli, le scene di Edoardo Sanchi, i disegni di Francesca Ballarini, i costumi di Silvia Aymonino, le luci di Fabio Barettin, le coreografie di Monica Casadei e i nove bravissimi cyber-eroi mimi della Compagnia Artemis Danza, protagonisti nel ballabile che segue la marcia trionfale. Alla Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, al Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini e al complesso di palcoscenico Banda Salvadei è affidata come sempre l’esecuzione musicale dell’opera. Repliche il 5, 11 e 14 agosto.
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