Il procuratore Giorgio non ci sta
“Non accetterò altri attacchi
alla mia professionalità”

MACERATA - Il magistrato interviene su Camera penale e il caso Garufi. Nel mirino gli avvocati: "C'è un limite a tutto. Non sono più disponibile ad accettare gratuiti apprezzamenti e d'ora in poi mi vedrò costretto a querelare". E poi cita una lettera del consigliere comunale indagato al fratello Giuseppe: "Solo per me e grazie a me tutto è scomparso"

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Il procuratore Giovanni Giorgio

Il procuratore Giovanni Giorgio

 

di Gianluca Ginella

Il procuratore Giovanni Giorgio interviene dopo le critiche ricevute da Camera penale, le denunce-non denunce degli avvocati di Camerino, il fatto di essersi sentito accusato del suicidio di Giuseppe Garufi. E lo fa con un comunicato in cui chiarisce che non accetterà più che venga messa in discussione la sua professionalità e che in futuro è pronto a querelare simili comportamenti. Inoltre chiarisce anche alcuni aspetti sulle indagini relative a Giuseppe Garufi e circa una lettera scritta dal consigliere comunale Guido Garufi che al fratello dice di aver “tappato” quello che ha potuto relativamente alle accuse relative all’interno del suo ufficio, dice il consigliere, non al fuoco, ma ai soldi.

“La Camera penale degli avvocati di Macerata – scrive il procuratore Giorgio –, con delibera del 29 ottobre 2013 ha affermato che disponendo il sequestro di “memoriali” difensivi in danno di Guido Garufi e Giuseppe Garufi, avevo commesso una grave violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito”. L’iniziativa mi ha sorpreso e amareggiato. Mi ha sorpreso perché la Camera Penale non ha ritenuto opportuno attendere il responso del Tribunale per il Riesame, legittimamente adito dal difensore dei fratelli Garufi, adottando – bontà sua – un anticipato verdetto di condanna nei miei confronti, per di più a mezzo stampa qualche giorno prima dell’udienza del Tribunale per il riesame di Macerata, a titolo di (inusuale ed anticipata) “sponsorizzazione” del ricorso presentato dalla difesa e senza neanche preavvertirmi verbalmente o per telefono dell’iniziativa intrapresa, in spregio di basilari regole di buona educazione istituzionale.

Il vice questore Albini

Il capo della Squadra Mobile, Alessandro Albini

Orbene, i giudici del locale Tribunale hanno rigettato sul punto il detto ricorso, accogliendo le argomentazioni da me dedotte, sulla base della concorde giurisprudenza – anche a sezioni unite – della Corte di Cassazione, essendo stata peraltro invocata a sproposito una sentenza della Corte Costituzionale come ho dimostrato documentalmente.
In sostanza, i mie agguerriti detrattori non avevano studiato adeguatamente la questione e, certamente, non sarebbero incorsi in errore se si fossero opportunamente documentati, dedicando alla lettura delle riviste giuridiche specializzate in materia penale, quanto meno lo stesso tempo impiegato per redigere il loro citato documento pesantemente denigratorio nei miei confronti.
Sono rimasto altresì amareggiato perché sono figlio di avvocato, sono cresciuto nel mondo degli avvocati e, come primo concorso, ventiquattrenne, ho partecipato e superato proprio quello (all’epoca) per divenire procuratore legale. Ho poi avuto sempre ottimi rapporti con la classe forense, e anche qui a Macerata mi sembra di aver avviato proficui rapporti di collaborazione con il locale Ordine degli avvocati. Per la verità, nell’immediatezza della lettura della delibera in questione, il mio defunto papà si sarà rivoltato nella tomba per l’accusa rivoltami di aver conculcato gravemente i diritti della difesa.
A questo punto, mi preme sottolineare che l’iniziativa assunta dalla Camera Penale è la terza, in ordine di tempo, che pone pesantemente in discussione la mia onorabilità professionale. Dapprima vi è stata la denuncia-non denuncia, presentata apparentemente nei miei confronti per violazioni penali alla normativa in tema di privacy presso le procure della Repubblica de L’Aquila e (ad abbondanza) di Perugia da vari avvocati camerti, poi smentita perché presunto frutto di un non meglio precisato refuso.
Indi, l’avvocato Valori, quale difensore del defunto Giuseppe Garufi, in un’intervista del 19 ottobre ha – in modo allusivo – accusato me e il personale della questura di Macerata, impegnato nelle indagini, di aver rivolto al suo assistito “accuse infamanti” sulla base di “un accanimento non giustificato”, fonte “di depressione” per il medesimo. In sostanza sono stato accusato – insieme al personale di polizia – di aver determinato il suicidio di Giuseppe Garufi. In ultimo c’è stato il documento della Camera Penale gravemente offensivo della mia onorabilità professionale.

L'avvocato Federico Valori

L’avvocato Federico Valori

Orbene, quanto alle affermazioni dell’avvocato Valori, sottolineo che nei confronti di Giuseppe Garufi erano stati aperti – ancor prima del mio insediamento – numerosi procedimenti, ossia:
due per il delitto di incendio doloso relativamente a quattro automezzi (due, ogni volta) bruciati nei pressi della sede del comune di Macerata. Due per procurato allarme all’autorità, in relazione a telefonate anonime, con cui – una prima volta – era stata preannuciata l’esplosione di una bomba all’interno di un locale notturno ove lavorava come figurante una cittadina straniera, destinataria mensilmente di un versamento a mezzo banca da parte di Giuseppe Garufi. La seconda volta era giunta in tribunale una telefonata con cui era stata preannunciata l’esplosione di una bomba, sì da determinare l’evacuazione del tribunale e la sospensione di tutte le attività, ivi compresa un’udienza fissata per la trattazione di uno dei procedimenti penali pendenti a carico di Giuseppe Garufi per incendio doloso di due autovetture.

Dopo di che, qualche giorno dopo il mio insediamento, ricevetti una telefonata da un esponente delle locali forze dell’ordine con cui mi venne segnalata l’ennesima telefonata, con cui era stata preannunciata l’esplosione di bombe all’interno del tribunale. La cosa mi apparve inverosimile, visto che a rivendicare il fatto era stato un improbabile gruppo terroristico islamico. Non disposi, quindi, nell’ambito delle mie competenze, l’evacuazione del tribunale.

Nel contempo, mi fu detto che anche in quel giorno era stata fissata una udienza penale a carico di Giuseppe Garufi per l’incendio delle citate due vetture. L’udienza in questione era stata quindi comunque rinviata per altro motivo. A questo punto, l’ottimo vice questore Albini, di intesa con me, in occasione del giorno della nuova udienza predispose un apposito servizio di osservazione nei pressi dell’abitazione di Giuseppe Garufi, avviato – con ineccepibile zelo istituzionale – sin dalle prime ore del mattino. Fu così possibile scoprire Giuseppe Garufi mentre era ancora all’interno della cabina telefonica impegnato nell’ennesima telefonata anonima, avendo ancora in bocca i pezzi di carta, utilizzati per alterare il tono della voce e di cui tentò di disfarsi, sputandoli in presenza dei poliziotti.

Il consigliere Guido Garufi

Il consigliere Guido Garufi

Sono state quindi queste le vessazioni, cui è stato sottoposto da me e dal personale della questura di Macerata, Giuseppe Garufi. Questi, peraltro, era da me ritenuto gravemente indiziato dell’incendio doloso dell’archivio comunale, a seguito di puntuali indagini svolte per mesi dall’ottimo personale della questura di Macerata, che aveva abilmente attivato un servizio di intercettazione ambientale all’interno di due vetture, in cui i fratelli Garufi si incontravano per discutere riservatamente tra loro, procedendo all’audizione di numerosi testimoni – in gran parte dipendenti comunali – che avevano correttamente, con inequivoco senso civico, reso dichiarazioni dalle quali gli indizi a carico del defunto Garufi si erano ulteriormente rafforzati.
Per amore di verità, devo evidenziare che, a seguito del provvedimento di perquisizione e sequestro per cui è insorta la Camera penale di Macerata, sono stati acquisiti i memoriali difensivi redatti dal professor Guido Garufi per conto del fratello Giuseppe e nel cui testo sono espressamente riportate, a difesa di Giuseppe Garufi, anche circostanze di fatto, qualificate espressamente – durante una conversazione captata – di Guido Garufi come “delle cazzate”.
Senza contare che dalle approfondite indagini espletate anche presso il comune di Macerata sempre dal personale della questura efficientemente coordinato dal dottor Albini, era emerso che Giuseppe Garufi aveva chiesto e comunque dichiarato la disponibilità a vari cittadini extracomunitari, anche cinesi, a ricevere personalmente – difformemente da quanto previsto dalla normativa organizzativa comunale – quanto dovuto per il pagamento dei diritti di segreteria (15 euro), onde ottenere i certificati, al cui rilascio era preposto.

Orbene, dagli espletati accertamenti non solo è emerso che non vi è traccia per il periodo maggio 2011-maggio 2012 del documentato pagamento dei diritti di segreteria per gran parte delle pratiche curate da Giuseppe Garufi, ma – sulla base di dichiarazioni rese da vari cittadini cinesi – è risultato che lo stesso chiedeva spesso somme comprese tra i 20 e i 40 euro, per provvedere personalmente – a titolo di cortesia – come diceva – della somma dovuta a titolo di diritti di segreteria e pari, come già detto, a 15 euro, sottoponendo altresì alcuni cittadini cinesi a piccoli taglieggiamenti, in quanto subordinava l’effettiva consegna dei certificati richieste alla dazione in suo favore di sigarette o pacchetti di sigarette.

E, per la verità, se non vi fosse stato il decesso di Giuseppe Garufi, che implica l’immediato blocco delle indagini penali a suo carico, ci sarebbe stato ancora da indagare circa i rapporti effettivamente intercorsi da Giuseppe Garufi e cittadini di origine cinese. Invero, in virtù del decreto di perquisizione e di sequestro inviso alla locale Camera penale, sono state sequestrate anche due lettere, indirizzate da Guido Garufi al fratello Giuseppe, per sollecitargli un prestito di danaro.

Una prima volta il professor Guido Garufi ha scritto testualmente al fratello: “Dove ho potuto ‘tappare’ l’ho fatto, a partire soprattutto dalla vera accusa che nasce all’interno del tuo ufficio (non parlo del fuoco, ma dei soldi). Solo per me e grazie a me tutto è scomparso” così prospettando – anche – l’ipotesi che presso gli uffici del Comune di Macerata siano state in qualche modo coperte illecite condotte poste in essere con controprestazioni di danaro, da parte del defunto Giuseppe Garufi.

La seconda volta, in un’altra lettera, sottoposta a sequestro, il professor Garufi ha detto la fratello: “Ho mosso chi dovevo muovere e mi sto muovendo, muovendomi con chi mi dovrò muovere”.

Tanto premesso, onde evitare che il silenzio da me sinora tenuto, per ragioni di riserbo istituzionale, venga interpretato come passiva e colpevole acquiescenza rispetto alle evidenziate iniziative denigratorie sinora assunte nei miei confronti da esponenti dell’avvocatura locale, faccio presente che – come diceva nelle sue Satire Orazio – “est modus in rebus”. Insomma, c’è un limite a tutto: non sono , quindi, più disponibile ad accettare gratuiti apprezzamenti sulla mia professionalità. Perciò, d’ora in poi mi vedrò costretto a querelare (io veramente, a differenza degli avvocati camerti) gli autori di futuri scritti o, comunque, di apprezzamenti diffamatori nei miei confronti dinanzi ai competenti giudici del tribunale dell’Aquila.

Ho sempre rispettato gli esponenti dell’avvocatura. Non sono certo la Madonna, né un santo e, quindi, legittimamente mi si possono muovere critiche, perché possa svolgere il mio servizio nel migliore dei modi, correggendo errori, che posso (umanamente) commettere nell’esercizio delle mie funzioni. Anzi, mi hanno insegnato che le prime virtù di un magistrato sono la modestia e l’umiltà, più che mai necessari per chi – come me – esercita il “terribile” potere penale.

Ma non intendo più accettare passivamente che venga messa pubblicamente in discussione la mia onorabilità professionale. Mi dispiace molto che i rapporti istituzionali tra me e la Camera penale di Macerata si siano irrimediabilmente deteriorati. Essi potranno riprendere solo se mi saranno presentate delle formali scuse per quanto accaduto con le stesse modalità con cui sono stato gratuitamente offeso, ossia a mezzo stampa”.



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