Errore culturale e politico
la via a Giorgio Almirante

IL COMMENTO - Poche, fragili e antistoriche le motivazioni. Ma adesso, dieci anni dopo, è discutibile la volontà di eliminarla

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liuti giancarlodi Giancarlo Liuti

Come ho scritto domenica scorsa, la questione di via Almirante a Civitanova ha sì assunto toni da show televisivo ma non è priva di implicazioni che riguardano il senso civico della città e meritano una riflessione più seria, ossia più consapevole di quel cosiddetto “bene comune” che, oggi e dovunque, si va sfilacciando in dispute di mero effetto mediatico. Quasi un secolo fa sottoposta al placet del ministero degli interni, l’intitolazione delle vie si è poi progressivamente trasferita alla mera discrezionalità dei consigli comunali, il che, a causa dell’alternarsi fra maggioranze di diverso e opposto colore, ha finito per relegare in secondo piano l’anima stessa delle città, il loro diffuso e radicato sentimento popolare. A mio avviso, invece, e specialmente quando si tratta di celebrare uomini politici, occorrerebbe un più responsabile rispetto del “comune sentire”, perché una piazza, una via o un monumento restano negli anni e sarebbe edificante che la gente, magari non unanimemente ma molto largamente, si riconoscesse in quei nomi per grandi vicende storiche o anche per legami locali, ad esempio di nascita. Altrimenti una piazza, una via o un monumento si degradano a provocazioni, vendette, revanscismi.

  

L'incontro di oggi a Civitanova con Donna Assunta

L’incontro di oggi a Civitanova con Donna Assunta

L’intitolazione di una via a Giorgio Almirante fu decisa nel 2003 dalla maggioranza guidata dal sindaco Erminio Marinelli, che proveniva dal Msi e militava in Alleanza nazionale, partito attraversato da nostalgie per l’epoca fascista. Come mai proprio Almirante? C’era forse un legame con Civitanova? No, nessun legame. E, per quanto attiene alle vicende della storia, c’era in lui una non esaltante militanza nella Repubblica di Salò come capo di gabinetto del ministro Mezzasoma (ah, quel manifesto in cui si decretava la fucilazione dei partigiani!). Dopodiché,  finita la guerra e universalmente decretata la sconfitta del nazifascismo, Almirante fondò il Movimento sociale, di cui fu segretario dal 1946 al 1950 e poi, non senza dissidi interni (per due volte venne esautorato dai “moderati” De Marsanich e Michelini) riprese le redini del partito dal 1969 al 1987, quando si dimise per motivi di salute. E l’anno dopo morì.

  Ora, anche a prescindere dall’adesione alla funesta avventura di Salò, non vedo quali  alte benemerenze possa vantare Almirante agli occhi degli italiani e dei civitanovesi – non certo da statista, non certo da leader di una forza politica cui attribuire passi avanti nel progresso della società nazionale – se non quelle attribuitegli  dai “nostalgici” di ieri e di oggi, compreso l’ex sindaco Marinelli, le cui idee vanno rispettate ma la cui compagine consiliare era in gran parte composta dai liberali di Forza Italia, ai quali il passato repubblichino di Almirante non avrebbe dovuto, in teoria, ispirare gran simpatia. Vero è che c’era stato, negli anni Novanta,  lo “sdoganamento” berlusconiano del Msi e il suo ingresso, a pieno diritto, nell’agone democratico nazionale e financo nel governo. Ma questa, a Civitanova, fu un’operazione di pura maggioranza consiliare che non tenne conto della pur nutrita opposizione di sinistra e di centrosinistra, la quale rappresentava una percentuale notevole – e più volte, in passato, prevalente – dell’opinione pubblica. “Ma Almirante fu il più significativo oratore della repubblica italiana”, dice ora Marcello Veneziani, il numero uno dell’intellettualità di destra. Ottimo oratore, quindi. Può bastare? Beh, non scherziamo. Mi sforzo – s’è capito? – di non gettare benzina sul fuoco, ma come negare che la decisione di far quella via aveva in sé un evidente contenuto di provocatoria scelta politica destinata a dividere gli animi e, dunque, a non esprimere il “comune sentire” della città?

  Qualcuno, ora, obietta che in Italia – non a Civitanova – ci sono vie intitolate a Togliatti e a Stalin. Vero. Ma decise quando? Quando la figura di Togliatti, leader del Pci, era ancora connaturata nella nascita della Democrazia, nella Repubblica, nella Costituzione. E quando la figura di Stalin, vincitore, con Stati Uniti e Gran Bretagna, del conflitto mondiale, godeva ancora di indiscutibile credito in tutto l’Occidente. Poi, a mano a mano, il loro prestigio decadde: Togliatti per il suo ambiguo e perdurante rapporto con l’Unione sovietica e Stalin per la denuncia dei suoi crimini fatta da Kruscev fin dal 1956. La storia cammina, signori. E ha camminato a tal punto da render fuori luogo che una qualsiasi giunta comunale di sinistra potesse – nel 2003! – dedicare un via a Togliatti e a Stalin. Il che, infatti, non è avvenuto.

  Per tutti questi motivi considero legittima l’insofferenza di gran parte dei civitanovesi per il nome di Giorgio Almirante elevato a simbolo – ripeto: nel 2003! – del “comune sentire”. Però attenzione: questa strada è lì da ben dieci anni e ritengo che la sua originaria e improvvida visceralità di fazione sia stata ormai metabolizzata e sia ormai entrata nella quotidianità della vita civile e sociale, per cui appare opinabile (opinabile non significa assurdo) averne posto la cancellazione perfino fra gli impegni programmatici del centrosinistra nella campagna elettorale vinta pochi mesi fa. Ricominciamo? Fra cinque anni, col centrodestra ipoteticamente tornato al potere, via Almirante verrebbe ripristinata? E, dopo altri cinque anni, in seguito a un’eventuale maggioranza di centrosinistra, sarebbe nuovamente cancellata?

  Ci si rifletta, quindi. E soprattutto si eviti che questa vicenda smarrisca, come purtroppo sta accadendo, quel molto di nobiltà presente nella difesa di certi valori decretati dalla storia e si riduca a uno show televisivo, con l’assessore Peroni che butta Almirante nel cestino, Donna Assunta che lo definisce “squallido” e “povero di mente”, Marcello Veneziani che esalta Almirante come una sorta di eroe della patria per il fatto di saper parlare bene in pubblico, ancora Donna Assunta che dà del “vigliacco” al sindaco che ha rifiutato un “confronto istituzionale” (?) con lei (e, oggi, il suo virulento linguaggio squadristico – poverina – non ha certo favorito la causa per la quale si sta battendo), il mettere scioccamente in gioco via Vittorio Emanuele II e corso Umberto I (entrambi protagonisti del Risorgimento e dell’Unità nazionale, definito “re buono” il primo e “re galantuomo” il secondo), il furbastro suggerimento di spostare Almirante in una viuzza secondaria, i cartelli con “meglio Almirante che Craxi”, l’idea “meglio la Montessori” o “meglio la Montalcini” (impossibile, è morta da appena due mesi) e altre pittoresche esibizioni più o meno da curva sud.

  Da ultimo aggiungo l’intenzione del sindaco Corvatta di abolire pure via Italo Balbo, recentissimo frutto – tre anni fa – del meno aggressivo e più tormentato centrodestra di Massimo Mobili, per il quale un compromesso d’immagine col predecessore Erminio Marinelli  era nell’ordine delle cose. Anche Italo Balbo fascista? Certo, della prim’ora. Ma lui, diversamente da Almirante, aveva pur governato qualcosa (la Libia, e senza le nefandezze di Rodolfo Graziani), e fu osannato nel mondo per le sue trasvolate oceaniche, ed entrò in disaccordo con Mussolini sulle leggi razziali, sull’amicizia con Hitler e sull’entrata in guerra, dopodiché, nel 1940, a Tobruk, il trimotore pilotato da lui venne abbattuto dalla contraerea italiana, non si è mai chiarito se per errore o per ordine del duce. La vita non gli fu salvata, ma basteranno, questi ricordi, a salvargli la via?

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L’incontro di oggi a Civitanova con Donna Assunta (leggi l’articolo)

 



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