Che sventura per il Pd
aver vinto le elezioni

La “nuova storia”, le ragioni e i torti di Carancini, l’esigenza di un redde rationem
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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

A Macerata c’è una commissione all’urbanistica presieduta da Luigi Carelli (Pd) della quale fa parte anche Daniele Staffolani (Pd) che ha dichiarato: “Il palazzetto di Fontescodella non ha l’agibilità e non è accatastato”. A Macerata c’è un sindaco che si chiama Romano Carancini (Pd) e un assessore allo sport di nome Alferio Canesin (Pd) che ha replicato: “Il palazzetto ha tutte le certificazioni e le omologazioni. Il collaudo statico è stato regolarmente certificato e il mancato accatastamento è un aspetto puramente formale e non preclude il fatto sostanziale dello stato di agibilità”. Ma Staffolani (Pd) ha insistito: “Il collaudo è cosa ben diversa dall’agibilità e dunque l’agibilità non esiste”.

Prima stranezza: com’è possibile che un edificio privo dei “requisiti richiesti dalla legge per ospitare spettacoli e gare” (questa è la definizione del termine “agibilità”) accolga da ben dieci anni competizioni ufficiali alla presenza di migliaia di spettatori? Seconda stranezza: com’è possibile che fra un partito (Pd) e un sindaco (Pd) saltino fuori – quasi ogni giorno e quasi su tutto – divergenze a tal punto imprevedibili da prendere in contropiede perfino l’opposizione di centrodestra, che nello svolgere la propria naturale funzione di contestare sindaco (Pd) e maggioranza (centrosinistra) viene paradossalmente aiutata dal centrosinistra?

 

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L'intervento di Daniele Staffolani (Pd) in Consiglio sul Palas

  Sulla prima stranezza non saprei che pesci prendere. Forse ha ragione Staffolani: l’agibilità è una cosa seria. Forse ha ragione Canesin: no, è una formalità. Ci sarà pure una legge, osserverà, ingenuamente ma giustamente, qualcuno. Certo che ci sarà. Ma le leggi, in Italia, si prestano a una miriade di interpretazioni che spesso finiscono per renderle inapplicabili. Secoli fa, del resto, l’aveva capito pure Dante, quando, nel Purgatorio, fa dire a Marco Lombardo: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”.

E’ sulla stranezza numero due, invece, che vorrei soffermarmi, dicendo anzitutto che l’opposizione (Pistarelli, la Pantana, Ballesi, Nascimbeni, Conti, la Menghi) fa benissimo a chiedere le dimissioni dell’attuale esecutivo. E non solo perché questo è il suo mestiere, ma perché, passo dopo passo, la situazione dei rapporti fra la giunta e la coalizione che a rigor di logica dovrebbe sostenerla è ormai diventata insostenibile. Di episodi ce ne sono a decine, un autentico stillicidio. Questo di Staffolani non è certo il più importante, ma appartiene alla serie e ha l’aria di essere la goccia che potrebbe far traboccare il vaso.

  Carancini ha tutte le ragioni? Non l’ho mai pensato e continuo a non pensarlo. Come ha rilevato Alessandra Pierini su Cm, ad esempio, non depone a suo favore il fatto di aver cercato di tirare a campare – lui e l’assessore Blunno – senza mai spiegare coram populo qual è la reale situazione del bilancio comunale a causa dei sacrifici imposti dalla crisi e quali sono gli impegni elettorali cui, oggi, bisogna giocoforza rinunciare. Poi, ma questo riguarda il suo temperamento, va messa in conto una certa inclinazione a chiudersi in se stesso, a diffidare degli altri, a sopravvalutare, in modo talvolta autocratico, il potere affidatogli dalla volontà popolare, il che può averlo indotto a comportamenti opinabili nel gestire questioni peraltro molto complesse, tipo quella del Cosmari. Di sicuro, comunque, c’è che la città, già sonnolenta di suo, sta vivendo una preoccupante fase di stasi e di grigiore rispetto al premere sempre più forte di esigenze, bisogni, aspettative.

E qui vorrei elencare alcuni dati oggettivi che ritengo inoppugnabili.

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Romano Carancini e Massimiliano Bianchini dopo le primarie

1) Romano Carancini ha vinto le primarie di coalizione battendo Bianchini, poi ha vinto il ballottaggio di coalizione battendo ancora Bianchini, infine ha vinto, sia pure con pochi voti di scarto su Pistarelli, le elezioni a sindaco. Ciò non lo assolve da eventuali colpe commesse nella successiva azione di governo, ma, per quanto riguarda il Pd, gli dà una piena legittimazione democratica.

2) Per lo scarso gradimento popolare riscosso dal secondo mandato della giunta Meschini e per il vento berlusconiano che ancora tirava, il clima precedente al voto del 2010 era a tal punto favorevole al centrodestra da far ritenere molto improbabile una ulteriore affermazione del centrosinistra. E quando dalle urne uscì il nome di Carancini, nel Pd, il partito che più o meno compattamente aveva votato e fatto votare per lui, non furono pochi coloro che gridarono al miracolo.

3) Fu anche per sottrarsi alle ricadute non positive dell’esperienza Meschini che in campagna elettorale Carancini ideò la “nuova storia”, uno slogan nel quale si prospettava e si garantiva una discontinuità, se non politica certo amministrativa, rispetto al passato. Sono o non sono istruttive, in proposito, le inchieste di Giuseppe Bommarito sulle scelte urbanistiche di quegli anni? Sta di fatto che Carancini, nel formare la sua giunta, attribuì a se stesso, guarda caso, proprio la delega all’urbanistica e fino a oggi, nonostante le pressioni, non l’ha mollata. Si capì presto, insomma, che la “nuova storia” riguardava soprattutto il governo del territorio, forse in linea con l’emergere, a livello europeo, di una crescente cultura ambientalista contro la cementificazione cosiddetta selvaggia (notare, su questo, il convegno nazionale che si è tenuto l’altro giorno nella nostra università).

4) Pur servendosene, nell’immediato, a fini di consenso, le forze interne al centrosinistra che avevano direttamente e attivamente partecipato all’amministrazione Meschini (ex Margherita ed ex repubblicani nel Pd, più Comunisti Italiani, Massimiliano Bianchini e altri) non apprezzavano affatto la “nuova storia” e la conseguente discontinuità rispetto al loro stesso operato, per cui, passata la festa della vittoria, si contarono e fecero gruppo. Il che, al limite, è fisiologico perché il confronto interno a un partito – in tal caso il Pd – fra idee e valutazioni diverse è il sale della politica. Ma tale confronto diventa patologico se non mira a raggiungere sintesi rispettose degli esiti elettorali e consapevoli dell’evolversi dei tempi ma si trasforma in un sistematico spargimento di tossine disgregative anche in pubbliche sedi istituzionali (il consiglio comunale è l’arena di questa corrida e la dice lunga la circostanza che il numero delle sedute, al costo di 2.500 euro l’una, sia da record nazionale) col  rischio di provocare il suicidio del partito stesso (una minoranza – il cosiddetto “Altro Pd” – già mediterebbe di uscire dal direttivo).

5) Sin dal primo momento (subito la nomina degli assessori, poi la vicenda della Giorgini, poi quell’estenuante verifica che in realtà fu un severo atto d’accusa al sindaco, poi le puntigliose levate di scudi della commissione consiliare all’urbanistica presieduta da Luigi Carelli del Pd, vera testa di ponte degli anticaranciniani) la giunta in carica è stata messa alle corde dalla sua coalizione, e in particolare da influenti forze interne al Pd.

6) Ammesso che Carancini abbia dei limiti e che siano gravi, mi chiedo se stringerlo d’assedio e contestarlo su ogni singolo atto serva a correggerli, questi limiti, o, invece, li renda peggiori, costringendolo a guardarsi ogni giorno alle spalle, ad evitare trabocchetti, a scansare trappole e ad architettare difese. Non sono un suo ostinatissimo fan. Dico soltanto che in una situazione come questa, dove non c’è alcuna sintonia fra chi traccia le linee politiche e chi ha avuto il mandato di amministrare la cosa pubblica, l’impegno di governare una città – e occuparsi, com’è doveroso, del bene comune – diventa difficile se non impossibile.

7) L’inevitabile sbocco di questo andazzo è la sfiducia a Carancini, le sue dimissioni, l’avvento del commissario prefettizio e nuove elezioni, con prospettive non esaltanti per il centrosinistra e in particolare per il Pd (qualcosa del genere è già accaduta in passato per Anna Menghi e sappiamo con quali durevoli conseguenze per il centrodestra locale). E’ questa la soluzione migliore? Non lo nego, al punto in cui siamo giunti. Anzi, sono tentato di condividerla. Ma, se lo si crede, la si metta in pratica. Proseguire in un simile e sfibrante tira e molla non serve a nessuno, né a Carancini, né al Pd, né al centrosinistra, né, soprattutto, all’unica cosa che conta: il presente e il futuro della città.

7) Dunque? L’ardua sentenza – staccare la spina? – la giro in primis a Carancini e al Pd, poi a Pensare Macerata, ai Comunisti Italiani, all’Italia dei Valori, alla Sinistra per Macerata, alla Federazione della Sinistra e ai Verdi, la coalizione – o la “scoalizione” guidata dal Pd  – che in quella funesta primavera del 2010 ebbe la sventura di vincere le elezioni.



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