Due cifre: 20.000 e 5.000 euro. Esse si riferiscono allo stipendio mensile dei nostri parlamentari. Qual è la vera? Non si riesce a saperlo perché le fonti sono diverse e ognuna tira fuori i calcoli suoi. Eppure si tratta di un dato che dovrebbe essere ufficiale, pubblico, univoco. Altre due cifre: 1.800.000 e 900.000 euro. Esse riguardano il valore dell’area di Fontescodella che il Comune di Macerata avrebbe dovuto acquistare per farvi sorgere la Cittadella dello Sport. Qual è la valutazione più aderente alla realtà economica di quella zona? Mistero anche qui. Il mercato, certo, ha le sue variabili, ma la differenza è così enorme da suscitare perplessità sui tempi, sui modi, sugli uffici, sulle persone. E, nonostante il pur civile confronto dell’altra sera fra il Pd e Cm, il tema resta nel vago, nell’opinabile, nel discrezionale. Alle precise domande di Cm, infatti, il Pd ha preferito glissare. Il che era prevedibile, specie se si pensa ai vacillanti equilibri fra Carancini e la sua maggioranza. Pietra sopra? Forse è meglio così. Ma la città, che giustamente vorrebbe una parola di chiarezza, rimane sconcertata e disorientata. In entrambi i casi, insomma, la politica tende a sovvertire quel principio logico che da millenni regge il rapporto numerico fra tutte le cose, il principio secondo il quale l’aritmetica non è un’opinione.
Ha dunque ragione l’antipolitica alla Beppe Grillo? Dico subito che non la penso affatto così. Vero è che questo fenomeno sta ottenendo adesioni sempre più vaste fra la gente e la causa sta nel giudizio negativo – non infondato – che l’opinione pubblica si è fatta della politica come essa è praticata ad ogni livello dai suoi esponenti, accusati di essersi barricati in una sorta di casta dove prevalgono l’interesse personale e il privilegio. Ma se questa è la causa dell’antipolitica, occorre anche chiedersi qual è la causa del degrado della politica. Indagare, cioè, sulla causa della causa.
Se lo scopo dell’antipolitica è di mettere in luce i gravi difetti della politica, denunciarli, condannarli e tentare di correggerli, i fatti purtroppo dimostrano che più l’antipolitica cresce più la qualità della politica diminuisce. Ma allora, se il malato si aggrava, la colpa può anche essere del medico che sbaglia la cura. Perciò bisogna cominciare a pensare che la causa del degrado della politica stia pure nell’antipolitica, ossia in quel suo confuso e rabbioso sentimento per cui tutti i partiti dovrebbero scomparire, tutti i politici dovrebbero andarsene a casa e le redini dell’Italia o non dovrebbe tenerle nessuno o bisognerebbe lasciarle nelle mani della società civile, imprenditori, commercianti, avvocati, professori, architetti, ingegneri, giornalisti, cantanti, top model, commissari prefettizi e appartenenti ad associazioni di categoria, corporazioni e logge. Ma neanche questo basterebbe, perché appena uno di loro sale, per così dire, al potere, l’antipolitica aggredisce pure lui, come dimostrano le quotidiane sparate contro il premier Mario Monti, i suoi ministri e i suoi sottosegretari.
Abbasso tutti, insomma, anche se non sono tutti uguali e anche se fra i partiti – e all’interno di essi – vi sono non trascurabili differenze di idee e di comportamenti. A una domanda del Censis sul dovere di rispettare le leggi, il 91 per cento degli italiani ha risposto che ciascuno deve regolarsi secondo la propria coscienza, con tanti saluti a quel pilastro della coesione sociale che è il principio di legalità. Ecco uno degli effetti dell’antipolitica, che di questo passo si avvia a cambiare natura e rischia di diventare l’antidemocrazia o addirittura l’antisocietà. La conferma, del resto, ci viene anche da una buona parte dei commenti (ne difendo, sia chiaro, la pubblicazione) che appaiono in calce agli articoli di Cm, dai quali traspare che le cose andrebbero molto meglio se i politici – maggioranza e opposizione, non fa differenza – si dimettessero in blocco. Sostituiti da chi? L’antipolitica non lo dice, lasciando credere che il suo scopo sia di abolire la politica tout court. Ma è possibile che una comunità nazionale, regionale o cittadina si regga senza una qualsiasi politica e senza un qualsiasi gruppo di persone che la gestisca? No, non è possibile. E allora?
Come ha detto il presidente Napolitano, anche l’antipolitica sta assumendo il ruolo di forza politica. Cieca, rabbiosa, istintiva. E, intendiamoci, non priva di buone ragioni. Ma qual è la politica dell’antipolitica? Giusta, se si batte per il cambiamento. Molto, infatti, va cambiato, soprattutto per restituire vigore al semispento concetto di bene comune, al latitante senso di civile responsabilità delle classi dirigenti, all’urgenza di un po’ di decoro nei loro comportamenti e nei loro appetiti. Ma cambiare in che modo, con che cosa, con chi, con quali scelte, secondo quali progetti? L’antipolitica non lo dice. Non lo sa o non si preoccupa di saperlo. L’antipolitica, in definitiva, non ha una politica. Ma abbaiare alla luna, far d’ogni erba un fascio e non avere una prospettiva, una direzione e un programma non favorisce la crescita della democrazia. Al contrario, ne favorisce il declino.
Vediamo ora cosa fa la politica per difendersi da un così insidioso tsunami. Beh, peggio che andar di notte. Per un verso, nel furbastro tentativo di conservare quel tanto di consenso che le permetta di sopravvivere, gioca la carta della demagogia, annuncia falsi miracoli, corre dietro agli umori più viscerali, blandisce, illude, elargisce favori, condona, lascia, come si dice da noi, che la pecora cammini. E per l’altro verso si chiude in se stessa, bada ai fatti propri, traffica, manovra, si sottrae a quel suo unico scopo di esistere che sta nel guidare e orientare il popolo cosiddetto sovrano verso la realizzazione dell’altrettanto cosiddetto bene comune. E’ questo, in sintesi, il populismo, una filosofia del potere che negli ultimi decenni ha finito per contagiare pure coloro che affermano di volerla combattere: “Lasciatemi fare i comodi miei ed io vi lascerò fare i comodi vostri”.
Chissà, forse c’entra la crisi di valori nella quale si dibatte l’intero Occidente. Forse la società tutta intera – quella politica e quella civile, che, non dimentichiamolo mai, sono la stessa cosa – è in balìa di un esasperato individualismo il cui istinto nega il concetto stesso di consorzio civile. E forse è il prezzo da pagare al tramonto delle ideologie. Un fatto, comunque, mi sembra indiscutibile. Ed è che l’antipolitica, nella misura in cui il furore della sua pur comprensibile “indignazione” le impedisce di mettere a frutto la ragione (“Le incontrollate reazioni emotive sono assai più nefaste – ho scritto Claudio Magris – dei dogmi ideologici”) sta diventando non già una soluzione ma, purtroppo, un problema. E allora si verifica il paradosso di questa involontaria alleanza o complicità, per cui, come ho detto, più l’antipolitica cresce più la politica peggiora.
Ma per opporsi a questa sciagurata deriva, la democrazia – se ci crediamo – indica una sola via: partecipare, organizzarsi, battersi nei partiti, iniettarvi la linfa di nuove e fresche energie, indurre la politica al confronto fuori e dentro di sé, aiutarla a non isolarsi, chiudersi, barricarsi. Altrimenti, ripeto, il medico che s’illude di curarla finisce per aggravarne la malattia. E attenzione: la storia del secolo scorso insegna dove conduce il demonio dell’abbasso tutto e tutti che oggi l’antipolitica dipinge come un angelo salvatore.
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Condivido pienamente la tesi di Giancarlo. L’opinione di Magris è, per me, un assioma. L’articolo è stimolante e, mentre lo leggevo, tentavo di associarlo alcune “divagazioni sociologiche” di Leopardi. Ne ho diverse in mente. Mi riprometto di scriverne qui su CM, una volta prelevate le fonti.
Questo è il cuore del problema.
Se vogliamo partire da lontano un elemento degenerativo è nella nostra costituzione quando si è mancato di prevedere che i partiti dovessero garantire regole democratiche al loro interno. Si è visto Berlusconi cacciare Fini, Bossi che tenta di espellere Maroni, ma negli anni se ne sono viste di tutti i colori. Lo stesso Porcellum non sarebbe così maleodorante se le regole interne dei partiti prevedessero le modalità democratiche di designazione dei candidati affidate invece al Capo.
L’affiliazione al Capo, il cosiddetto cerchio magico, è divenuto l’unico criterio per la selezione dei gruppi dirigenti.
In questo quadro le nuove generazioni schiacciate tra immergersi immediatamente in una cultura servile di affiliazione e vedersi sparare dai cecchini dell’antipolitica sceglie di non impegnarsi o se lo fà ha forti motivazioni di interessi da difendere salva rare eccezioni di giovani ai quali va la nostra simpatia incondizionata.
Ed allora su questo argomento sarebbe davvero importante aprire un dibattito costruttivo, se si vuole con un piglio illuministico, teso a determinare almeno nella nostra realtà la condizione formale di uno statuto fondamentale dell’esercizio dei diritti politici all’interno di un partito.
Bell’articolo. Stimolanti e significative le considerazioni sull’antipolitica.
Sulle diverse cifre attribuite all’area di Fontescodella… mi chiedevo … chissà se qualcuno si è preso mai la briga di leggere le motivazioni in base alle quali i diversi uffici sono pervenuti a tali importi?
Complimenti Dottor Liuti! La sua è un’analisi illuminante, come si dice a Macerata “non fa una piega!” Sono fermamente convinta che l’allontanamento dei cittadini dalla politica sia il male peggiore, più della cattiva politica e dell’anti politica. Purtoppo il “popolo” non sa cosa fanno gli eletti ma è pronto a contestare e criticare perchè si nutre degli slogan offerti dai fautori dell’antipolitica. Ognuno dei soggetti coinvolti poi ha la sua spiegazione per motivare i suoi errori. Assistendo a dibattiti televisivi, interviste e leggendo i giornali ho l’impressione di assistere ad un enorme gioco “Vittima – carnefice”. Ne parlava Eric Berne in “A che gioco giochiamo?” (A sottopone agli altri presenti – B e C – un problema, quindi procede a confutare senza sosta tutte le possibili soluzioni che gli vengono proposte:
A: Il rubinetto del bagno perde.
B: Perché non chiami un idraulico?
A: Sì, ma costa troppo, e poi chissà quando arriverebbe.
C: Perché non lo ripara tuo marito?
A: Sì, ma non è bravo in queste cose, e non ha mai tempo.
B: Perché non lo fai tu?
A: Sì, ma non sono capace.
… e così via, fino a che B e C hanno esaurito tutti i suggerimenti, e si dichiarano “sconfitti” (ammettendolo apertamente, ma anche tacendo o cambiando discorso) e A ha la “soddisfazione” di veder riconosciuto come irresolubile il suo problema). Ho l’impressione che tutti noi ci alterniamo nei ruoli di vittima e carnefice con il risultato che, non solo non si risolve mai niente, ma si finisce per peggiorare, anche quando sembra impossibile che ci sia di peggio.
Il grottesco tentativo, oramai operato da anni, di colpevolizzare tutti coloro che si azzardano a criticare questa classe politica (nazionale e locale) indicandoli, e criminalizzandoli come “antipolitici”, “sfascisti”, “qualunquisti”, ecc. è solo un tentatido di difesa di una classe politica ampiamente sputtanata.
Di una classe politica fatta, in larghissima parte, di cialtroni legati solo ai propri interessi ed ai propri privilegi…
In nome del bene comune in tanti (in troppi per troppo tempo) si sono fatti i c@z….. padon: i beni prori (e quelli dei loro amici)
Già definire questa accozzaglia di nani e portaborse (e patetiche ballerine di terza fila) una “classe” significa dare una connotazione positiva…Mentre l’unica connotazione che gli si potrebbe dare (ad un buon 90%) è la connotazione obbligatoria dei dati anagrafici e delle foto (avanti e di lato) utili al riconoscimento….
Esagero?
Non tutti i politici sarebbero da portare alla raccolta (indifferenziata)?
Non si può fare di ogni erba un fascio perchè occorre distinguere, occorre comprendere, occorre condiderare???
E chi dice il contreario: sicuramente tra i nostri politici ce ne saranno, anzi ce ne sono, di brave e oneste e capaci persone.
Il problema, purtroppo, è che nel cesto delle mele una volta la mela marcia era la mela da togliere…. Invece ora la mela da togliere dal cesto, sempre più spesso, è la mela sana (fatta di politici onesti, bravi e capaci) perchè, nel cesto, la stragrande maggioranza delle mele è già ammuffita, marcia, corrotta.
Sono antisistema e antipolitico perchè penso (e non credo a torto) che è pieno di politculi di professione, rotti ad ogni compromesso pur di restare a galla???
Sono antisistema e antipolitico perchè penso che negli ultimi 20 anni (eccetto i pochi politici capaci, bravi ed onesti) abbiamo una classe politica (nazionale e locale) che è presumibilmente la più sputtanta, incapace, corrotta, fancazzista a livello planetario?
Sono antisistema e antipolitico perchè ritengo che buona parte della nostra classe politica diovrebbe essere messa nella condizione di non fare più danni, impedendole di sedersi (anzi solo di avvicinarsi) ad un qualsiasi tavolo dove si decide come spendere denari pubblici??
Gli esempi di malgoverno e malaffdare in Italia ce ne sono stati così tanti da riempire una enciclopedia di svariati volumi: è antipolitica e antisitema chiedere che tutto ciò cessi???
Siamo l’unica nazione al Mondo (comprese le Nazioni che noi consideriamo di serie D) dove esiste il “politico di professione“, cioè un fancazzista che ha fatto della politica l’unico suo mezzo di sostentamento perchè incapace, inetto, incompetente per guadagnare di suo.
Ecco: credo che chiedere che i politiculi di professione smettesseero di sfasciare e rubare sarebbe un ottimo passo avanti per la Nazione.
Lo stesso Biagi (pensate un pò quando ancora non si era incancrenito tutto come ora!!!) disse che in Italia eravamo pieni di politici (che campavano a spese della collettività) poichè incapaci di portare a casa uno stipendio…….
Dire basta a questo ventennale sfascio è essere antipolitico????
Non è che invece i nostri politiculi sono la NON politica elevata a mestiere????
Politica è progettualità e capacità di realizzare i progetti ideati nell’interesse pubblico, il resto è “partitica” che poco ha a che vedere con la politica, almeno in Italia.
L’attuale classe politica può e deve essere criticata quando provoca i danni di cui tutti abbiamo davanti agli occhi gli effetti sia a livello nazionale che a livello nazionale. L’importante è che questa critica non si trasformi in una condanna demagogica e populista della politica in quanto tale che apre la strada al prossimo ducetto. L’importante è non far passare l’idea che chiunque si occupi di politica sia comunque un truffatore e lo faccia per i propri interessi personali. Il tema è, come per ogni attività umana, che esista un processo di selezione competitivo e trasparente della classe politica basato su almeno due elementi fondamentali : la presenza, come giustamente ci ricorda Netti, di processi democratici all’interno dei partiti politici che permetta la selezione delle idee e la prevalenza dei migliori (se la lega preferisce il trota a maroni non fa i suoi interessi ma neache quelli della politica e del paese nel suo insieme), e la presenza di un sistema di informazione indipendente ed autorevole che tenga costantemente accesi i riflettori sui comportamenti amministrativi e non della classe politica (l’sperienza di CM, a livello locale ci dice quanto questo sia importante). Ce ne sarebbe un terzo più difficile di tutti da ricostruire. L’esistenza di un sistema di valori di riferimento che dia motivazioni a tutti ed in particolare ai politici di agire per un fine più alto di progresso sociale piuttosto che di semplice tornanconto personale di breve periodo.
La causa della causa del degrado della politica sta nel fatto che la politica, anzichè essere vista come servizio alla collettività, viene vista, sia a livello nazionale che a livello locale, come un lavoro, una professione, se non come uno strumento per facili arricchimenti illeciti. La legge elettorale attuale, che consente ai leader dei partiti di candidare chiunque, a loro totale discrezione, anche un cavallo, agevola fortemente questo degrado, perchè mette in primo piano, anzichè la correttezza e la competenza, la fedeltà al Capo, anche a costo di passare sopra qualsiasi principio di carattere morale e di ragionevolezza.
Detto questo, sinceramente non sono d’accordo con Giancarlo Liuti quando descrive l’antipolitica come reazione, a volte eccessivamente distruttiva e qualunquista, alla politica orientata verso la tutela di interessi personali e il privilegio di pochi. Secondo me, la vera antipolitica è proprio quella posta in essere da chi entra in politica e fa politica solo per il proprio tornaconto. Quello che ne deriva, specialmente quando la tutela di interessi particolaristici è palese, arrogante e smaccata, è solo una reazione, irrazionale quanto si vuole, ma in un certo senso comprensibile.
La soluzione sta nel denunziare a voce sempre più alta, sia a livello di società civile che di forze partitiche, questi “delinquenti” politici, e non lasciare loro campo libero, come in molti, in troppi, sino ad oggi purtroppo abbiamo fatto.
Il solito dilemma nazional popolare: è nato prima l’uovo o la gallina? Intorno a questo quesito si può anche scrivere un elzeviro di classe
Dice Sacalfari che gli italiani hanno un terzo istinto, oltre a quello buono e cattivo: un istinto anarcoide, antipolitico. Credo non sia un vizio solo italiano: penso alle civiltà suicide descritte da J. Diamond nel libro Collasso, agli abitanti dell’isola di Pasqua, allo spirito anarcoide con cui distrussero tutti gli alberi fino a non poter costruire una sola barca per andare a pescare e nutrirsi.
Purtroppo, in Italia come in America, l’evento a cui assistiamo è la morte della politica.