«Costretto a pagare milioni
per aver difeso posti di lavoro
Le aziende sane vanno tutelate»

ECONOMIA - L'imprenditore Gabriele Miccini, della Giessegi di Appignano, punta il dito sulla legge fallimentare e sulle azioni revocatorie. Negli ultimi anni l'azienda ha perso crediti per 23 milioni. «Solo con il fallimento del Mercatone Uno abbiamo persi 5,8 milioni e ora siamo stati condannati anche a restituirne altri 1,3. E' inaccettabile, la norma va cambiata. Di questo si dovrebbe occupare il governo»

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Gabriele Miccini

 

Non solo il danno di milioni di crediti persi, ma anche la beffa delle azioni revocatorie e delle conseguenti cause civili. «Questo è un dramma per le aziende, si parla di salvaguardare i posti di lavoro, ma nessuno parla di salvaguardare le aziende. Ormai in Italia siamo arrivati al punto che chi può vende». E’ lo sfogo dell’imprenditore Gabriele Miccini, a capo della Giessegi di Appignano, che punta il faro sulla legge fallimentare che a suo avviso andrebbe modificata, specie nella parte relativa alle revocatorie. Della questione l’imprenditore ha anche parlato con Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Ma che cos’è tecnicamente una revocatoria? E’ un meccanismo complesso che può attuare il curatore fallimentare di un’azienda dichiarata fallita da un tribunale. In poche parole, se l’azienda x fallisce il curatore può richiedere indietro all’azienda fornitrice y,  tutti i pagamenti ricevuti dall’azienda x per la merce consegnata nei sei mesi precedenti il fallimento. Basta provare in qualche modo che l’azienda y fosse a conoscenza dello stato di crisi dell’azienda x. Una norma considerata fumosa e poco chiara. E un’azienda sana potrebbe trovarsi nelle condizioni di non incassare per quanto prodotto a causa del fallimento di un’altra azienda, e nello stesso tempo di dover anche restituire soldi già incassati per prodotti venduti. Senza considerare il capitolo Iva, il cui iter per recuperare quella versata ma non incassata diventa spesso lunghissimo.

E questo è proprio il caso della Giesseggi. I crediti persi dall’azienda di Appignano a causa del fallimento di altre aziende ammontano a circa 23 milioni negli ultimi 25 anni. Una montagna di soldi. A queste si aggiungono tutte le azioni revocatorie che stanno arrivando in questi ultimi mesi. Il caso più grande è sicuramente quello relativo al fallimento del Mercatone Uno, di cui la Giessegi era un importantissimo fornitore. A a fine 2015 il rapporto si incrina, il gruppo della famiglia Cenni dichiara infatti lo stato di insolvenza. E iniziano i problemi, cioè la Giessegi inizia a maturare crediti su crediti. Prima l’amministrazione straordinaria decisa dal governo Renzi (ministro del Mise Calenda), quindi l’arrivo dei commissari scelti dal governo. Ma la situazione invece di migliorare, peggiora. Così ad agosto 2018 il governo Conte (ministro del Mise Di Maio) decide di vendere l’ex colosso con 55 punti vendita e 2.300 dipendenti alla Shernon di Malta. Ma a maggio 2019 la nuova società viene dichiarata fallita. Morale della favola? La Giessegi non solo deve ancora riscuotere 5,8 milioni di merce consegnata, ma a dicembre scorso è stata anche condannata dal Tribunale di Milano a restituire 1,3 milioni per pagamenti incassati dalla Shernon nei sei mesi antecedenti il fallimento, dopo l’azione revocatoria avviata dai curatori fallimentari. A questi 7 milioni e oltre, vanno aggiunti anche i 900mila euro di Iva ancora da recuperare. L’azienda proporrà appello alla sentenza. Questo è solo il caso più grande, ma ce ne sono tanti altri a cui l’azienda deve far fronte. Un’altra azione revocatoria è arrivata per il fallimento della Magrì Arreda (69mila euro), un’altra per il fallimento della B&V srl, altri 480mila euro e altre tre sono in arrivo.

«Innanzitutto – dice Miccini – nel caso del Mercatone Uno il governo è riuscito a vendere un’azienda con oltre 2mila dipendenti ad una società che è fallita appena otto mesi dopo. E questo la dice lunga sulla nostra classe politica. Ma è evidente che in generale questa norma sulle azioni revocatorie va cambiata. Andrebbero attuate solo se c’è un effettivo dolo e dovrebbero quindi essere l’eccezione, non la norma come adesso. Sempre nel caso del Mercatone noi abbiamo continuato a fornire merce perché dovevamo tutelare i nostri lavoratori, senza quei fatturati avrei dovuto mandare a casa un centinaio di persone. Dall’altra parte c’erano i clienti del Mercatone che sarebbero rimasti senza i prodotti per cui avevano già versato una caparra. Terzo, non dimentichiamo che la scelta di vendere a Shernon è stata dei commissari del governo e del governo stesso, quindi almeno nei primi mesi c’era una certa fiducia. Quando abbiamo visto che la situazione stava precipitando abbiamo interrotto i rapporti». La domanda quindi è lecita: perché adesso quindi la Giessegi, oltre ad aver registrato perdite ingenti per il fallimento del Mercatone Uno, dovrebbe anche restituire indietro i soldi? «E’ chiaro che non è possibile continuare così – aggiunge Miccini –  Mi trovo costretto ad accantonare fondi che potrei dover restituire solo per aver difeso posti di lavoro. E’ inaccettabile, se consideriamo inoltre che dal primo stato di insolvenza del Mercatone sono già passati quasi 8 anni e non siamo riusciti a recuperare ancora neanche 900mila euro di Iva. E in più in generale di quei 23 milioni di crediti persi negli ultimi 25 anni non abbiamo recuperato niente. Va rivista un po’ tutta la legge fallimentare. Come mi sarei dovuto comportare, e lo chiedo al giudice che ci ha condannato, per non incappare nella revocatoria? Licenziare? Perché se io ad oggi – conclude – dovessi servire solo clienti di cui avrei la certezza del pagamento chiuderei perché tra tutti ne rimarrebbero un paio. E’ quello che vogliamo? Mettere le aziende nelle condizioni di dover chiudere o vendere? E’ di questo che si dovrebbe occupare il governo, non del caso Cospito».

(Redazione Cm)



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