Demilecamps e gli amici-rapitori:
«Insieme festeggiarono l’Italia,
sul debito disse sbagliarono a fidarsi»

MONTE SAN GIUSTO - L'avvocato Vando Scheggia parla dei rapporti riferiti dal suo assistito con l'inglese rapito: «Ha accumulato un debito, poi tardava a restituire i soldi ed è anche andato in Grecia per un periodo. Ha collaborato con loro per riuscire ad ottenere i soldi ed essere liberato, era lui a mettersi le manette quando doveva fare le videochiamate per chiedere il denaro». Da Firenze arriva l'ordinanza bis sulle misure cautelari per i quattro indagati. Confermati i domiciliari per tutti. Il giudice: «Non hanno preso coscienza del disvalore del fatto compiuto». E sui motivi del sequestro dice che è inverosimile il prestito. Parla poi del ruolo di una quinta persona che avrebbe partecipato al piano

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I quattro arrestati in tribunale

 

di Gianluca Ginella

«Demilecamps ha fatto combriccola con questi marchigiani con cui ha festeggiato la vittoria dell’Italia all’Europeo, è andato in discoteca, a fare i tuffi in un fiume fino a che ha iniziato a dire “prestami qua, prestami là”, “mi si è bloccato questo, mi si è bloccato quello” e ha accumulato un debito e, come tutti i debitori, prendeva tempo. Poi è sparito, è andato in Grecia e di fronte alle richieste di denaro ha risposto dicendo, più o meno: “vi siete fidati di me e avete fatto male”», così l’avvocato Vando Scheggia che assiste Ahmed Rajraji, 21 anni, residente a Montegranaro, uno dei 4 arrestati per il rapimento di Sam Kourosh Patrick Demilecamps, 25 anni, londinese, avvenuto a Firenze lo scorso 6 ottobre.

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L’avvocato Vando Scheggia

Il legale centra l’attenzione sulla chiave della vicenda: il denaro. «Questi 7mila euro (chiesti per il riscatto, ndr) starà poi alla difesa dimostrare che glieli avevano dati. Il turista inglese diceva di essere ricco, e allora perché non sequestrarlo subito? Perché farlo quando era sparito? Perché, se era ricco, chiedere 7mila euro e non, per esempio, 70mila?». Un altro aspetto che sottolinea il legale, in base a quanto gli ha riferito il suo assistito, è che «Nel periodo del sequestro Demilecamps collaborava per riuscire a trovare i soldi. Quando faceva le videochiamate per trovare il denaro si metteva lui le manette per riuscire ad avere i soldi, non partecipava volentieri alla messa in scena ma voleva i soldi per potersene andare da quella casa. Sicuramente non aveva piacere a stare lì. Secondo il mio assistito le manette non gliele avevano mai messe, era successo solo il giorno del blitz perché aveva provato a scappare avendo compreso che i soldi non arrivavano».

Demilecamps

Sam Kourosh Patrick Demilecamps

Intanto è arrivata una seconda ordinanza sulle misure cautelari, è quella stilata dal gip di Firenze, Antonella Zatini, e necessaria in quanto il fascicolo d’indagine è stato trasmesso, per competenza al tribunale del capoluogo toscano. il gip parla di «Elevato allarme sociale ed estrema gravità delle condotte» da parte dei quattro arrestati, di «intensità della inclinazione a delinquere dimostrata dagli indagati», di «atteggiamento sintomatico di assai scarsa o nulla presa di coscienza del disvalore del fatto commesso che i quattro indagati hanno assunto successivamente all’arresto». Questi i motivi che, spiega il gip, valgono gli arresti domiciliari per tutti e quattro gli indagati: Rubens Beliga Gnaga, 18 anni di Monte San Giusto (assistito dall’avvocato Irene Di Simio), Ahmed Rajraji, Dona Conte, 23 (tutelato dal legale Levino Cinalli), di Montegranaro (per loro tre anche il braccialetto elettronico), e Aurora Carpani, 20, di Montegranaro (assista dall’avvocato Umnberto Gramenzi). Tutti e 4 sono finiti in manette il 13 ottobre nel blitz dei carabinieri del Ros di Ancona e del comando provinciale di Macerata nell’appartamento di Monte San Giusto dove l’inglese era tenuto contro la sua volontà. Nel corso di una decina di pagine il giudice ha ricostruito la vicenda, dall’incontro, questa estate, di Demilecamps con i suoi amici-sequestratori al rapimento del turista 25enne a Firenze, alla sua detenzione a Monte San Giusto.

Chiave della vicenda sarà comprendere perché siano stati chiesti all’inglese i 7mila euro. Se per la difesa è stato per un prestito, per il giudice quella del prestito (che gli avrebbero fatto Conte, Rajraji e Gnaga) «appare assai più inverosimile. Innanzitutto non è ben chiaro in quale modo la somma, asseritamente da restituire da parte del Demilecamps, giungesse ad ammontare a 7mila euro: l’addizione degli importi di cui il Conte e lo Gnaga hanno parlato, ipotizzando anche la somma prestata dal Rajraji, non consente infatti di arrivare al totale indicato, che sarebbe stato in ogni caso esorbitante di per sé». Inoltre, aggiunge che «è assai difficile pensare che soggetti molto giovani e non particolarmente abbienti avessero immediata disponibilità di uno o due migliaia di euro da prestare ad un soggetto conosciuto tra l’altro solo da qualche mese». Però aggiunge: «d’altra parte se è vero che Demilecamps non fa menzione di alcun prestito nelle dichiarazioni rese dopo la sua liberazione, fin dalla segnalazione del sequestro, risulta che il giovane era riuscito a chiedere del denaro agli amici ed ai famigliari per fare un debito da lui contratto con alcuni soggetti che lo tenevano prigioniero. Dovrà dunque essere oggetto di futuri approfondimenti l’esistenza e la natura di un qualche rapporto debitorio intercorrente tra la persona offesa e gli indagati: allo stato però gli elementi raccolti consentono di concludere che una richiesta di denaro, a cui era subordinata la liberazione di Demilecamps, veniva sicuramente formulata». Più volte poi compare un nome, S., indicato come un ragazzo di Montegranaro, straniero, che avrebbe portato Demilecamps all’appuntamento di Firenze, dove poi il 6 ottobre scorso era stato rapito il 25enne, e il giudice dice avrebbe pianificato insieme a Conte, Rajraji e Gnaga «un modo per costringere Demilecamps a stare con loro e ottenere così un profitto illecito quale presso della sua liberazione». Un sequestro che se progettato dagli altri tre indagati e da S. era stato poi portato avanti con l’aiuto di Carpani «partecipava consapevolmente alla vigilanza su Demilecamps mentre quest’ultimo era tenuto in segregazione».

 

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