di Federica Serfilippi
«Il primo campanello d’allarme per la crisi di Banca Marche? E’ stato nell’agosto del 2011, quando Giuseppe Grassano mi disse che negli ambienti finanziari si vociferava di problemi seri e che l’aumento di capitale non sarebbe bastato a risolverli». Così Franco Gazzani, ex presidente della fondazione Carima (uno dei maggiori azionisti di Banca Marche), chiamato a testimoniare dagli avvocati delle parti civili (tra cui la Fondazione Carima stessa) nel processo legato al fallimento dell’istituto di credito, dichiarato dal tribunale di Ancona nel 2016.
Franco Gazzani
Cinque anni prima, gli scricchiolii di una crisi, il cui eco – stando a quanto raccontato da Gazzani – era rimbombato fino a piazza Affari, il cuore del mondo finanziario italiano. Gazzani è stato presidente della fondazione dal 2003 al 2014. «Era la partecipazione più importante in Banca Marche – ha detto il testimone -. Con i dividendi finanziavamo settori importanti come la sanità, la scuola e l’educazione. In un anno, potevano essere investiti anche 5 milioni di euro che spalmavamo sul territorio. Alcune eccellenze (Oculistica ospedale San Severino, Emodinamica ospedale Macerata) sono state raggiunte grazie alle donazioni della fondazione». Sui primi cenni di criticità della situazione bancaria: «Fino al 2011 ero certo della solidità della banca. Il primo campanello d’allarme è stato nell’agosto del 2011, quando mi telefonò Grassano (sarebbe diventato prima consulente della fondazione poi componente del cda di Banca Marche, ndr). Mi disse: “sai che a Milano si parla di Banca Marche in un certo modo? Sembra che l’aumento di capitale non basterà a risolvere i problemi dell’istituto. Secondo quello che si dice a piazza Affari sono problemi seri”. Così mi sono preoccupato, confrontandomi con la fondazione e dando poi mandato a Grassano di diventare consulente per le questioni relative a Banca Marche».
Giuseppe Grassano
Nel gennaio 2012, la lettera di Bankitalia ai vertici di Banca Marche. «Abbiamo visto che qualcosa non andava – ha proseguito Gazzani – perché si dava atto delle criticità e della necessità di capitale per continuare la sua attività. Chiesi un incontro a Roma, cosa non ben vista dalle altre fondazioni, per capire se si trattava di una lettera formale o se c’era veramente della sostanza per indicarci cosa bisogna fare» per il bene dell’istituto di credito. Nell’aprile 2012 (dopo l’aumento di capitale di 180 milioni di euro) entrò nel consiglio di amministrazione proprio Grassano, dimissionario nel luglio 2013, quando ormai per la banca marchigiana «non c’era praticamente più nulla da fare» come ribadito dall’ex consulente e dall’ex consigliere durante una delle scorse udienze. Nel 2013, come detto da Gazzani, la fondazione – in un’assemblea con i soci – fece mettere all’ordine del giorno la proposta di un’azione di responsabilità contro gli amministratori della banca, vista ormai la criticità della situazione. «Ma la proposta fu bocciata». Successivamente, la Fondazione si era mossa con la presentazione di un esposto/querela in procura: il documento sarebbe stata la causa di alcune minacce, mai denunciate formalmente, rivolte a Gazzani.
L’avvocato Gabriele Cofanelli
Rispondendo a una domanda sulle aperture di linee di credito ad aziende che, stando all’accusa, non avevano i requisiti: «Noi non sapevamo assolutamente nulla di quello che succedeva in Banca Marche». I soci, insomma, non si occupavano della gestione operativa dell’istituto. Oltre a Gazzani oggi è stato ascoltato come teste anche Gianni Fermanelli, responsabile finanziario della Fondazione. Ha confermato che con l’azzeramento delle quote azionarie di Banca Marche, la Fondazione ha perso 195 milioni di euro. «Le due deposizioni – dichiara l’avvocato Gabriele Cofanelli, legale della Fondazione Carima – sono state entremamente precise, dettagliate e attente. Hanno ricostruito la storia dal nostro punto di vista del collasso di Banca Marche». Il processo, che vede sotto accusa per il crac 13 persone, tra ex vertici di Banca Marche e la controllata Medioleasing, riprenderà lunedì prossimo con la deposizione di un altro teste, chiamato dall’accusa.
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Vatti a fidare delle banche, a me consigliarono le Obbligazioni Argentine, spacciate per affare, quando l'Argentina era gia in default.
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Sono cose che non si possono sentire. Mi scuso per la semplificazione un po’ grossolana: un proprietario di una azienda dal 2003 al 2014 che nomina degli amministratori per gestire la stessa, viene a sapere da terzi esterni (operatori finanziari) nel 2011 (dopo 8 anni di Presidenza) che la sua azienda non sta andando bene, anzi rischia il collasso. L’Italia è l’unico paese dove le tragedie finiscono sempre in farsa!
Ho il voltastomaco. Mi viene voglia solamente di vomitare.
In una certa panetteria di Civitanova ho visto rifiutare il pane per cinque centesimi, per cui la transazione è avvenuta grazie ad un panino di prezzo inferiore. Se non sbaglio è la seconda volta che ritorno sull’argomento.