Lavoro, Miccini della Giessegi:
«Il settore si è ripreso meglio del previsto
Ma la politica continua a minare il futuro»

ECONOMIA - Il ceo dell'azienda leader del settore mobili di Appignano fa il punto dopo l'emergenza Covid: «Abbiamo superato del 10% lo stesso periodo dell'anno scorso e assunto anche 10 dipendenti in più. Ma con il terrore che continuano ad incuterci, la paura è che i consumi alla fine ne risentano. La vera riforma per il Paese? Equiparare il pubblico al privato e arrivare alla piena occupazione sul modello americano»

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Lo stabilimento della Giessegi di Appignano

 

«Il nostro settore sta andando meglio del previsto, nonostante la paura che la gente non andasse nei negozi. Certo la vendite perse nei tre mesi di lockdown non le recupereremo più, però in questo periodo stiamo andando meglio dello stesso periodo dell’anno scorso, almeno del 10%. Inoltre siamo arrivati alla piena occupazione in azienda, abbiamo reintegrato tutti i dipendenti che avevamo e ne abbiamo assunti anche una decina in più». Sono le parole di Gabriele Miccini, ceo della Giessegi di Appignano, azienda leader del settore mobili con oltre 560 dipendenti, che fa il punto dopo i mesi più duri che il Paese ha attraversato dal dopoguerra ad oggi a causa del Covid. Il settore mobili si è riattestato sui livelli pre lockdown e anche meglio, ma il futuro continua a preoccupare. «Con il terrore che continuano a incuterci (proprio ieri Conte ha annunciato in Senato la proroga dello stato d’emergenza al 15 ottobre, ndr), la paura è che la gente non spenda e i consumi ne risentano in tutti i settori».

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L’ingegnere Gabriele Miccini, ceo della Giessegi

Ingegner Miccini, cosa bisognerebbe fare?
«Bisogna aumentare l’occupazione, rendere le aziende che producono beni concorrenziali nel mondo e di conseguenza far crescere i consumi. La vera riforma consisterebbe nell’equiparare il pubblico al privato, perché da una parte ci sono troppi privilegi, dall’altra niente. Basti pensare al periodo del lockdown. Questa è un’ingiustizia che andrebbe eliminata per rendere più produttivo sia l’apparato pubblico che quello privato».

In concreto come si potrebbe aumentare l’occupazione?

«L’obiettivo non deve essere il posto fisso o mantenere il lavoro ad ogni costo. Ciò non significa lasciare in mezzo alla strada le persone, ma arrivare alla piena occupazione. Qui il modello da guardare è quello americano: bisogna poter licenziare sia nel pubblico che nel privato con più facilità e accompagnare la transizione verso un nuovo posto di lavoro magari con cinque mesi di stipendio garantito. Così le aziende diventano più produttive e ognuno è in grado di trovare il lavoro che più gli si addice».

Un altro macigno che pesa sulle aziende è l’eccessiva burocrazia.

«E’ evidente che ormai una sburocratizzazione è quantomai necessaria. Non è pensabile che un’azienda impieghi sei mesi per costruire e tre anni per avere tutti i permessi. Allora tanto vale far costruire e poi fare i controlli a posteriori. Prendiamo per esempio l’A14, adesso si fa un gran parlare del fatto che ai Benetton sia stata tolta la concessione. Ma siamo così sicuri che il pubblico sia poi molto più efficiente del privato? A me non sembra, anzi è il contrario. La terza corsia da Rimini ad Ascoli è stata costruita in poco tempo, la Quadrilatero ancora deve essere completata. Allora i lavori facciamoli fare al privato, e poi al pubblico lasciamo i controlli, con più gente e meglio preparata. Tutto questo senza considerare il problema della classe politica».

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L’interno della Giesseggi subito dopo la ripresa dal lockdown

In che senso?

«In politica ormai ci si mette solo chi non ha né arte né parte, e quindi noi dovremmo scegliere tra non votare o votare il male minore. Ma se la pubblica amministrazione diventasse un ente gestibile, allora forse anche i migliori potrebbero pensare di fare politica. Faccio un esempio: la Giessegi durante l’emergenza ha acquistato cinque ventilatori polmonari a 7mila euro ognuno e li ha donati all’ospedale Torrette. Se quello che è emerge dall’inchiesta giudiziaria fosse vero e se il modello fosse lo stesso, nello stesso periodo la Toscana li avrebbe acquistati a un prezzo notevolmente maggiore».

Come considera la proroga dello stato di emergenza?

«Perché serve a qualcosa? A fine gennaio non mi sembra sia servito a prendere in tempo la pandemia, ma solo a tenerci chiusi in casa e far fermare aziende che avrebbero potuto continuare a lavorare, senza considerare che abbiamo la percentuale più alta di morti dovuti al Covid. D’altronde nella sanità sono più i dirigenti amministrativi che i medici e i primi guadagnano anche di più».

Il decreto rilancio recentemente convertito in legge potrebbe servire all’economia del Paese?

«Sinceramente non vedo come possa ripercuotersi sui consumi e sulla società. Intanto noi abbiamo già pagato tutte le tasse e non c’è stata una scadenza che sia stata spostata, mentre i soldi che avremmo potuto prendere con la garanzia Sace ci sarebbero costati di più che se li avessimo presi da soli.  Insomma mi pare che il decreto rilancio sia più che altro un insieme di marchette elettorali»

E gli accordi su Mes e Recovery Found portati a casa dal governo?

«Sul Mes avrei fatto un altro tipo di accordo: se è vero che  è una sorta di salvadanaio riempito con i soldi degli Stati, allora ogni Paese dovrebbe avere la possibilità di riprendersi i suoi senza condizioni e interessi al momento del bisogno. Che nel caso dell’Italia sarebbero 15 miliardi, un cifra che per esempio potrebbe bastare a coprire le falle nella sanità. Sul Recovery Found invece solo i politici possono esultare per un qualcosa che se tutto va bene arriverà nel 2021. Chi fa impresa è abituato a guardare all’oggi».

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