La rubrica dell’architetto Silvano Iommi non può esulare dal tema del terremoto. In questa edizione “Macerata Sommersa”, a partire dai dati – ancora in via di definizione – sui danni causati alle abitazioni di centro storico e quartieri offre una possibile chiave di lettura da cui partire per eventuali progetti di ricostruzione.
di Silvano Iommi
Tutti i maceratesi hanno sentito ripetere la seguente affermazione: “A Macerata i terremoti si sentono poco perché sotto è vuota”. Certamente è vero che nel vuoto le onde sismiche non si propagano, ma ormai tutti sanno anche che le cavità ipogee sotto il nostro centro storico, per quanto grandi possano essere, sono sempre una percentuale insignificante rispetto alla massa del terreno che viene scossa. Tuttavia, questo luogo comune, insieme all’altra antichissima credenza che vedeva il terremoto come “collera divina”, non solo è duro a morire ma sembra ravvisarsi dopo ogni conta e valutazione dei danni. Se i dati provvisori forniti dal Comune (leggi l’articolo), venissero confermati sino al termine delle verifiche, potremmo stimare che meno del 25% dell’intera volumetria residenziale sottoposta a sgombero riguarderebbe il centro storico.
Questa percentuale, così inferiore rispetto a quel 75% gravante sulla periferia moderna della città, sarebbe un dato molto eloquente per la valutazione sui fattori di vulnerabilità e sulla particolare resilienza strutturale del patrimonio edilizio storico. Se da un lato non sono i vuoti sotterranei a salvare il centro, dall’altro è sicuro che la sua salvezza è ampiamente affidata alla capacità di conoscere e conservare l’integrità strutturale dell’intero reticolo ipogeo che sorregge la pesante massa dei soprastanti edifici storico-monumentali. Dunque, la conoscenza dello stato di consistenza di questo patrimonio sotterraneo è una precipua responsabilità del Comunee che ha nel centro storico il suo principale “bene comune” da tutelare.
Per quanto riguarda il danneggiamento grave all’esterno delle mura non stupisce constatare che la maggior parte delle ordinanze di sgombero sono particolarmente concentrate in quegli edifici costruiti tra la metà degli anni 50 e i primi anni 70. Un periodo buio per l’intero paese (non solo per mancanza di normative adeguate), ma che ha Macerata ha assunto il carattere particolare di un secondo “neorealismo brutalista”, provinciale e sbrigativo, segnato da clamorosi fuori-scala edilizi ed urbanistici, dall’assenza di sicurezza e funzionalità, da un tasso di qualità architettonica ed etica prossima allo zero. In sintesi si può dire che se la prima parola chiave di questo “strano terremoto” è la paura (sempre soggettiva e ancestrale), la seconda è certamente la conoscenza, non solo quella tecnico-scientifica ma anche quella storico-costruttiva.
In effetti, la storia dei sismi e dei manufatti è un fattore decisivo per migliorare la prevenzione e l’efficacia della ricostruzione. In questo senso, per concludere, vale la pena ricordare che all’indomani del disastroso terremoto di Camerino del 1799 con 60 morti su 7000 abitanti (considerato storicamente come uno spartiacque nel modo di concepire e gestire un evento sismico in piena crisi economica, politica e istituzionale), fu inviato da Roma per coordinare la fase ricognitiva e di valutazione dei danni, non un burocrate statale o un rappresentante politico o un aspirante filosofo, ma uno dei più famosi e impegnati architetti italiani dell’epoca, l’anconetano Andrea Vici, sottraendolo dalla collaborazione con il Vanvitelli nella costruzione della reggia di Caserta e da altri importanti lavori pubblici e privati sparsi in diverse parti d’Italia. Dopo 6 mesi il Vici concluse la rilevazione e la quantificazione dei danni subiti dal patrimonio pubblico e produttivo di Camerino (esclusi i conventi), stimandoli – al valore attuale – in circa 1,3 miliardi.
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Grazie Silvano,per questa tua importante pratica divulgativa su un tema così importante.
Certo,dal Vici a quelli odierni..
Sic!
Spero mi si perdonerà la pignoleria ma secondo il mio modesto parere l’ultima foto etichettata come “Via Severini in costruzione” corrisponderebbe invece a quello che oggi è Largo Giovanni Pascoli.
Si intravede sulla sinistra la ferrovia, al centro i palazzi di via Alessandro Manzoni e, in alto a destra, il Convitto Nazionale.
La penultima invece (Via Maffeo Pantaleoni) mi pare grosso modo corrispondente anche se quella strada sembrerebbe l’odierna Via Coniugi Zorli.
@ S. Menchi, è vero, si tratta dell’attule via Foscolo tra il 1950-55 chiusa dalla ferrovia, l’altra è via Zorli nel 1964.
Un articolo di spessore…. era ora!!!
@S. Iommi
Bene.
Seguo da tempo le sue pubblicazioni e le foto storiche che allega, segno della sviluppo più o meno “corretto” della nostra città, sono davvero molto belle e fanno vivere la suggestione dei tempi andati.
Grazie per il suo encomiabile lavoro.
E’ giunta l’ora di una pubblicazione organica da parte di Silvano in merito ai suoi studi sul sottosuolo maceratese e sulle antiche reminiscenze della nostra storia.
In un momento in cui il Comune di Macerata sta cercando di lanciare sul piano turistico la città, uno studio del genere, rendendo fruibili alcuni siti particolarmente significativi, potrebbe essere di grande utilità.
Condivido pienamente l’idea e lo stimolo di Bommarito. Devi dare alle stampe, per ora, una “summa” dei tuoi studi ipogei. Poi dovresti far presentare dal Consiglio comunale, trasversalmente, un ODG di indirizzo nella direzione, sia di una sondaggio preciso e articolato di “Macerata ipogea”, sia di una più accurata proposta tesa al “recupero” ( anche ai fini storici-turistici) di quanto “giace sotto”.
@ Gentilissimo Arch. Silvano Iommi, dato che il fenomeno SISMA è una materia maledettamente seria è, a mio parere, dover fare precisazioni più puntuali. All’inizio del suo articolo noto confusione nell’uso dei termini vuoto e cavità. Il vuoto richiede l’assenza di materia e quindi è chiaro che le onde, sia che si tratti di onde sonore o sismiche, non vi si possano propagare. Per esempio, nello spazio non ci sono suoni proprio per questo motivo e lo stesso accadrebbe se si pompasse via l’aria da qualsiasi ambiente chiuso ed isolato. Al contrario, nelle cavità’ ipogee il vuoto non c’e’ perché’ c’e’ l’aria, e le particelle d’aria, trattandosi di un gas, possono essere compresse e dilatate al passaggio delle onde che producono variazioni di volume e cioè sia dalle onde sonore che dalle onde sismiche. In particolare, tra le onde sismiche ci sono le onde P che producendo variazioni di volume nella materia attraversata si propagano sia nei solidi, che nei liquidi, che nei gas e quindi anche nelle cavità ipogee. Le onde che non possono propagarsi né nei liquidi, né nei gas (e quindi neanche in aria), sono le onde che producono deformazioni di taglio o variazioni di forma ma non di volume. Le onde sismiche che producono deformazioni di taglio sono identificate come onde S e queste non si propagano né in acqua né in aria e quindi neanche nelle cavità ipogee. Comunque, a ben guardare, il detto “a Macerata i terremoti si sentono poco perché sotto e’ vuota” un fondo di verità’ ce l’ha: in aria le onde P si propagano molto più velocemente che in altri mezzi, e all’aumentare della velocità l’onda aumenta la sua lunghezza e diminuisce la sua frequenza, e quindi anche la sua ampiezza. Supponendo che il treno di onde sismiche incontri cavità ipogee più o meno grandi succederà che le onde P aumentando la loro velocità attraverseranno quella zona in minor tempo, e produrranno uno scuotimento minore, data la riduzione della loro frequenza, rispetto al caso che non vi fossero cavità, mentre le onde S non si propagherebbero affatto in quella zona. I due effetti combinati potrebbero dare la sensazione ad un osservatore posto all’aperto, sopra le cavità, che il terremoto sia stato più breve e meno intenso rispetto ad un altro osservatore che si trovi in una zona dove non ci sono cavità. Spero di non essermi troppo dilungato. Comunque le rivolgo i miei complimenti per gli studi della “Macerata sommersa” per i quali auspico, unendomi al coro unanime di vedere presto una bella e corposa pubblicazione.