di Giancarlo Liuti
Nel consiglio comunale di Macerata uno dei gruppi di opposizione è costituito da tre “grillini”: Carla Messi, Roberto Cherubini e Marco Alfei. La prima gestisce un’erboristeria in piazza Annessione e conduce un’azienda agricola biologica, il secondo si interessa di energie rinnovabili e si dedica, da artista, ad attività ludiche e culturali, il terzo, laureato in ingegneria edile, è un’ insegnante e si occupa di risparmio energetico. Anche nella loro vita privata, dunque, sono in sintonia con le linee nazionali dei Cinquestelle. E in che modo svolgono il ruolo di “oppositori” della giunta Carancini? Con innumerevoli interpellanze, proposte e rilievi polemici, ma astenendosi da toni esagitati o, come purtroppo va di moda nel dibattito politico italiano, denigratori, offensivi, furibondi. Persone rispettabilissime, insomma, e, a quanto pare, coerenti con se stesse. Vogliamo dire “oneste”? Che parola impegnativa, questa! Ma diciamola pure.
Ora cambio discorso e, pur restando in argomento ma a livello più alto, mi avventuro in alcune considerazioni sulla natura e sul comportamento dei “grillini” su scala nazionale. Ricorderete che ai funerali di Gianroberto Casaleggio lo stato maggiore dei Cinquestelle accompagnò il feretro gridando “onestà, onestà, onestà!” come se in tale parola s’identifichi la ragion d’essere e dunque l’ideologia di questo “movimento” che ormai da anni ottiene vasti consensi in tutta Italia e rappresenta una delle maggiori forze in Parlamento. Nulla da eccepire, se non che la parola “onestà” indica la personalissima virtù (rettitudine, lealtà, sincerità, nobiltà d’animo) del singolo individuo e difficilmente la si può riferire a un insieme di individui com’è un movimento politico o un partito. Sto facendo una questione di lana caprina? Può darsi. Ma per un partito sarebbe a mio giudizio più pertinente, al posto di “onestà”, il termine “legalità”. Fra l’altro i tre “dogmi” della Rivoluzione Francese, cui molto debbono le democrazie occidentali, furono “egalité”, “fraternité” e “liberté ma non comprendevano l’onestà, ossia la “honneteté”.
E qui, con un po’ d’ironia, mi vengono spontanee alcune domande.
Quale sarebbe, ad esempio, la procedura dei Cinquestelle per accogliere nella loro compagine un nuovo militante come appunto, a Macerata, la Messi, Cherubini e Alfei? Credere ciecamente al suo garantirsi onesto? E se lui mentisse? Oppure chiedergli di presentare la fedina penale per verificare se sia del tutto pulita? Ma è sufficiente una fedina penale pulita per esser certi che lui sia davvero onesto? Oppure sottoporlo a un interrogatorio con stringenti domande sul concetto di “onestà”? E se lui, che non è onesto ma furbo, risponde benissimo a ogni domanda e quindi li trae in inganno? Ma il punto, forse, non è questo. Ciò che conta, infatti, è che chiunque, una volta entrato in Cinquestelle e assurto a incarichi di rilievo pubblico – deputato, senatore, consigliere regionale, sindaco, assessore, consigliere comunale – deve comportarsi secondo “onestà, onestà, onestà!”. Tutto chiaro? Sì, in “teoria”. Ma poi, come vedremo, la “pratica” ci dice che la parola “onestà” è molto insidiosa.
Attualmente i Cinquestelle, che non governano alcuna Regione e alcuna ex Provincia, amministrano 15 Comuni, i più importanti dei quali sono Livorno e Parma. Gli altri? Cinque in Sicilia (Augusta, Bagheria, Gela, Pietraperzia e Ragusa), due in Sardegna (Assemini e Porto Torres), due in Veneto (Mira e Sarego), due nel Lazio (Civitavecchia e Pomezia), uno in Campania (Quarto) e uno in Piemonte (Venaria). Ce ne sono di grandi, come Civitavecchia e Ragusa, ma nessuno è al di sotto dei diecimila abitanti. Ed è appunto in tali centri che i Cinquestelle son dovuti passare dalla teoria alla pratica e hanno, come si dice, le “mani in pasta”, cioè gestiscono bilanci, compiono scelte di spesa, bandiscono appalti, assumono dipendenti, nominano dirigenti, entrano in contatto con imprenditori privati, Ed ecco, allora,la politica non più di “opposizione” ma di “governo”, che comporta una continua valutazione della realtà oggettiva, delle non infinite risorse per affrontarla e della necessità di accettare compromessi e, talvolta, di ricorrere ad atti poco limpidi. Disonestà, quindi? No. Ma quelle tre metafisiche parole – onestà, onestà, onestà! – cominciano a vacillare. E gravemente hanno vacillato a Quarto per via di oscure infiltrazioni camorristiche e ancor più gravemente stanno vacillando a Livorno, col sindaco Nogarin indagato per bancarotta fraudolenta e, proprio in questi giorni, a Parma, con un avviso di garanzia per abuso di potere al sindaco Pizzarotti. Per non parlare delle “opacità” di Gela e Pomezia. Dalla teoria alla pratica, dicevo. E questi sono i rischi della pratica.
Passiamo ora alla situazione per così dire “morale” del Pd, il partito contro il quale, all’insegna di “onestà,onestà,onestà!”, usano scagliarsi i Cinquestelle, specie il focosissimo Alessandro Di Battista che ultimamente ha dato del “mafioso” (sic!) a Matteo Renzi. Quante e quali sono le “mani in pasta” del Pd? Un’infinità. Anzitutto la più impegnativa, il governo della nazione. Poi 15 regioni su 20, fra cui le Marche. Poi più della metà delle “ex” Province e degli ottomila Comuni italiani, fra i quali, da noi, Macerata e Civitanova. Lo stesso Renzi, recentemente, ha ammesso che sul Pd grava una “questione morale”. E lo dimostra, nel governo guidato dal Pd, il brutto caso del ministro allo sviluppo Federica Guidi, non del Pd ma scelta da Renzi, che s’è dovuta dimettere per certi traffici petrolieri in Basilicata. Ma ancor più lo dimostra l’arresto per turbativa d’asta, a Lodi, del sindaco Simone Uggetti, stavolta proprio del Pd.
Altre indagini in corso su esponenti Pd nelle Regioni e nei Comuni? Non clamorose e magari limitate ad avvisi di garanzia, ma sono moltissime, si parla di un centinaio. Ha dunque ragione Alessandro Di Battista a tirare in ballo perfino la mafia? No. Sia perché si astiene dal dare un’occhiatina in casa propria sia perché non tiene conto della straordinaria sproporzione quantitativa che c’è fra gli impegni nazionali, regionali e comunali del Pd e quelli – solo comunali e neanche molti – dei Cinquestelle. Una differenza, in fatto di “mani in pasta”, che impedisce qualsiasi paragone. Un saggio proverbio dice che “l’occasione fa l’uomo ladro”. E tanto più numerose sono le “occasioni” tanto più numerosi sono i “ladri”. E se le occasioni sono poche ma qualche “ladro”, dai e dai, salta fuori (dico “ladro”, intendiamoci, in ossequio al proverbio ma è un’esagerazione perché in queste vicende si tratta semmai di gente “scorretta” che al termine del percorso giudiziario potrebbe rivelarsi addirittura “innocente”) allora la piantino, i Cinquestelle, di gridare “onestà, onestà, onestà!” come provocazione contro gli altri partiti che secondo loro sarebbero tutti “disonesti”.
Concludo tornando a Macerata e dicendone bene. Le occasioni, pure da noi, non sono mancate e non mancano. Ma va considerato che negli ultimi decenni i “politici” sfiorati o colpiti da indagini giudiziarie si contano sulle dita di una sola mano. Vero è dunque che le parole “onestà, onestà, onestà!” non ce le meritiamo tutte e tre, ma quasi. E da comuni cittadini possiamo esserne abbastanza soddisfatti.
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L’articolo nel suo insieme è, almeno per me, simpatizzante del M5S, condivisibile. Infatti credo che “legalità” sia meno individualistico di ‘onestà’. Il concetto pentastellato è però sostanzialmente quello di porsi in alternativa alla “Casta” che ha eretto un sistema granitico, scarsamente democratico in quanto sempre più accentrato (vd. leggi ‘percellum’ e ‘italicum, voti di fiducia, niente dialogo con sindacati e associazioni, …) e condizionato dalle segreterie partitiche. L’intento perciò è, quasi, rivoluzionario, nelle sue finalità (bene comune, rettitudine, temporaneità dei 2 mandati) ben identificabili nelle figure della Messi, Cherubini e Alfei. Ciò premesso almeno due precisazioni: 1) Di Battista (volontario in Africa e America Latina) non ha dato del mafioso a Renzi, ma lo ha accusato di usare gli stessi metodi malavitosi (salvabanche, infiltrazioni lobbistico- mafio-massoniche) che è cosa ben diversa. 2) Il sindaco di Pomezia, appena gratificato dall’archiviazione di una indagine nei suoi confronti, ha portato al pareggio i 12 milioni di debito del suo Comune e, allo stato, ha un avanzo di circa 4 milioni. Infine, il gioco delle proporzioni ‘governative’ è da tenere in conto, seppure il PD vanta almeno 102 indagati di reati penali contro nessun grillino, ma il problema è altro e cioè che il malaffare è parte del sistema, nel senso che il degrado culturale e morale è un esempio che dall’alto si propaga, con preoccupante celerità, verso la quotidianità di ognuno. In questo senso i 5S rappresentano una speranzosa diversità, troppo spesso vittima del suo eccesso di … “onestà”!
A coloro che non sono simpatizzanti dell’M5S che cosa può interessare il sapere che l’M5S stesso si comporta peggio del Pd (ammesso che ciò sia vero)? Queste considerazioni invece servono a quelli di sinistra che vogliono alleggerirsi delle loro responsabilità (pensando: c’è chi fa peggio di noi). In politica i cittadini non vogliono, insomma, il male minore, ma invece la corretta amministrazione, in assoluto.
https://www.youtube.com/watch?v=XLvK5A9ATZw
C’è solo un modo per dimostrare di essere meglio degli altri, parliamo di esponenti politici con incarichi istituzionali, onesti o disonesti: ” Dimettersi quando le ali della Giustizia cominciano a svolazzare vicine “. Poi si può sempre dimostrare la propria onestà e se eventuali errori dovuti magari all’inesperienza siano stati fatali e recuperare il proprio ruolo. Talaltro gli attivisti del M5s sono tutti giovani e per quanto la Giustizia Italiana sia lenta fanno sempre in tempo a risalire sul treno.
Centinaia di corrotti e indagati nel PD non possono essere paragonati agli indagati 5 Stelle. Onesta è una parola che a molti governativi n non piace.
L’occasione NON solo fa l’uomo ladro…. fa anche il grand’uomo
(G. Lichtenberg)
Per avere un’idea di che cosa è un Paese progredito e civile, sarebbe bene visitare l’IKEA di Camerano, un’enclave – come tante altre – della Svezia in Italia.
Grazie Dr. Liuti della grande attenzione che dedica al Movimento 5 stelle che sono onorato di rappresentare in Comune. Come ho avuto modo di dire con decisione in consiglio comunale noi siamo decisamente dalla parte di Davigo che ha detto cose precise e serie sulla politica italiana che in qualche modo bypassano il suo articolo che sembra voler difendere l’indifendibile.
Davigo chiede ai partiti di non attendere la giustizia dei tribunali per allontanare le tante persone losche che li frequentano, perchè la giustizia italiana è lenta e le sentenze spesso non arrivano per una prescrizione che è vergognosa. Lei afferma che ci sono pochi condannati ed è abbastanza curioso. Premettendo che non sono un giustizialista le ricordo che in Germania ci sono 4000 politici condannati in via definitiva per reati gravi amministrativi; in Italia ce ne sono 200. O lei pensa che i tedeschi sono 20 volte più corrotti degli italiani oppure qualcosa non funziona nella nostra amministrazione della giustizia.
Come lei ben sa una prescrizione che non si ferma mai affossa gran parte dei processi di questo tipo e lei sa bene che questa prescrizione va benissimo a tutti i partiti. Ora fanno finta di allungarla, ma se fossero onesti la eliminerebbero per i reati di corruzione e concussione. Come mai i suoi amici non lo fanno?
Per la gente come noi, di basso livello culturale, il grido “onestà, onestà..” è legato alla corruzione e concussione, che spero anche lei reputi dilaganti in Italia. Lei sa benissimo, e se non lo sa senta Davigo, che ci sono tantissimi politici di centro destra e centro sinistra che sono a processo per corruzione e nessuno gli ha chiesto di lasciare il posto. Davigo di questi parla..”non serve affatto che arrivi la condanna definitiva perchè i partiti potrebbero leggere tranquillamente le carte per capire se il loro rappresentante è serio o meno”.
Nessun vuol nascondere alcune difficili situazioni che vive il Movimento 5 stelle in alcune città, ma è da evidenziare come il Movimento abbia immediatamente preso provvedimenti. Un avviso di garanzia è spesso atto dovuto dal magistrato e se dopo il colloquio con l’inquisito il magistrato conferma di voler procedere, il Movimento, sempre rispettoso della Magistratura, espelle il soggetto.
Lei usa anche un proverbio molto fastidioso per me che è “l’occasione fa l’uomo ladro”, per ora le assicuro che questo proverbio può ascriverlo al Pd ed all’ex Pdl, non certo al M5S.
Attraverso queste pagine invito Lei ed i lettori a vedere i soldi che i nostri parlamentari ed i nostri consiglieri regionali stanno restituendo allo Stato, per finanziare le piccole e medie imprese.
Sono soldi veri, non sono come le promesse false del Renzi nazionale.
PER I RENDICONTI NAZIONALI
https://www.beppegrillo.it/tirendiconto.it/trasparenza/
PER I RENDICONTI REGIONALI
http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/marche/home/trasparenza/trasparenza.html
Le porto l’ultimo esempio utile forse a farla ragionare su onestà e legalità, o su etica e onestà-legalità.
Un consigliere regionale che percepisce uno stipendio stellare, 10 volte superiore a quello di un operaio, non deve neanche avere l’idea di farsi rimborsare spese banalissime dalla Regione.
Quel consigliere probabilmente non sarà mai condannato da una giustizia resa lenta e faragginosa, che non riesce a dimostrare se quel pranzo era per la Prima Comunione del figlio o per un incontro politico, ma questo non vuol dire che quel consigliere regionale ha la mia stima.
Come dice Davigo l’onestà di una persona non si misura con la condanna, ma con gli atti che compie.
Concludo, carissimo Liuti, dicendole che in alcuni passi del suo articolo ho trovato alcune assonanze con le scuse berlusconiane e so che per lei questo potrebbe essere un grande dolore, ma la prego di non avallare con i suo scritti la profonda crisi morale del PD.
Con stima
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, di Italo Calvino.
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
(Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo Mondadori editore. Uscito su La Repubblica del 15 marzo 1980 col titolo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”)
Siamo il Paese con una corruzione tra le più alte del mondo, un’evasione fiscale tra le più alte del mondo, un’informazione tra le meno libere del mondo, una politica che è diventata una casta asservita alle lobbies, il Paese con tantissimi poveri poveri e pochissimi ricchi in cui la politica non fa niente per riequilibrare le grandi differenze. Di che stiamo parlando. Proviamo a cambiare con forze nuove che sono meno compromesse. Il rischio è che avvenga un golpe, perché i poteri forti quando si sentono minacciati sono pronti a tutto, come la storia ci documenta.
la differenza tra i partiti politici, dove si può trovare più o meno corruzione, sta nel condannare ed espellere i politici latri o nell’accoglierli e addirittura dare cariche agli stessi.
questa è la differenza tra il movimento 5 stelle e gli altri partiti.
Caro Liuti, con questo articolo sui 5 stelle hai scatenato un putiferio, dico soltanto che ci sono partiti o movimenti che hanno segretari politici, sempre gli stessi, da più di 20 anni, fanno il loro comodo, e indisturbati, continuano …….. come puoi vedere, il peggio non finisce mai, la gente è stanca di tutto questo, e prova a cambiare partito appena capita l’occasione. Adesso la gente cerca di cambiare, in meglio o in peggio, questo non mi è dato sapere.
Tentare di rapportare – pro domo sua, il PD- e con un campione statistico alquanto esiguo per il M5S, avvisi di garanzia ricevuti da sindaci del M5S a quelli di sindaci del PD o di altri partiti, è come voler equiparare un semplice raffreddore ad una polmonite. Doppia. Quelli in cui sono incorsi i sindaci del M5S sono inciampi del mestiere, non c’è vizio, non c’è malizia, non c’è lo stesso background di volpi attempate appartenenti ad altri partiti, ma tutto da attribuire ai limiti propri di un Movimento che contiene i germi più evoluti ereditati dalla Grecia antica di partecipazione diretta democratica, fin dalla modalità di scelta dei propri candidati, che sono loro a proporsi ed essere votati dagli iscritti , e non il Partito ad imporre i propri, solitamente i più scadenti ma ossequiosi, ubbidienti , senza autonomia di psiche e cervello.
E lo dice una non votante, non iscritta, non simpatizzante del M5S, ma in gradio di riconoscere LE DIFFERENZE più profonde.
A leggere i commenti dei simpatizzanti o aderenti al movimento cinque stelle si capisce che lo slogan più aderente a quella realtà politica e’ : faziosità ,faziosità , faziosità. L’ articolo di Liuti si limita a proporre una fedele fotografia della situazione . È’ indubbio che il.profilo etico della politica sia deturpato , e questo è un problema molto serio che richiede a ciascun politico, ad ogni partito o movimento politico, a qualsiasi schieramento appartenga , valutazioni e iniziative concrete e radicali. Se però qualcuno pensa di risolverlo con la ricetta magica di mettere insieme tutti gli onesti, come se fossero identificabili da una etichetta come la Chiquita, credo debba diradare la fitta nebbia che avvolge il suo cervello. E se qualcun altro, invece di farsene carico seriamente, cerca di rivolgere contro gli altri questo argomento per un pugno di voti, allora è un disonesto.
Occorre mettere assieme tutti coloro che siano al contempo onesti e capaci e che inoltre non invochino il Santo Padre per avallare (quando ciò sia possibile) le proprie posizioni. Un’ardua impresa.
Atto III Scena V
Il Dottor Purgone: Bella notizia quella che ho appresa or ora, qui dabbasso davanti alla porta: che ci si fa beffe delle mie prescrizioni, e che ci si rifiuta di eseguire la cura che avevo ordinato.
Argante: Dottore non è che..
Il Dottor Purgone: Smisurata audacia, incredibile ribellione di un paziente contro il suo medico curante.
Tonina: È spaventoso.
Il Dottor Purgone: Un clistere che mi ero dilettato di comporre con le mie proprie mani?
Argante: Non sono io che..
Il Dottor Purgone: Ideato e realizzato secondo tutte le regole dell’arte medica.
Tonina: Ha fatto molto male.
Il Dottor Purgone: Destinato a produrre nelle interiora prodigiosi effetti.
Argante: Fratello?
Il Dottor Purgone: Respingerlo con disprezzo!
Argante: È lui…
Il Dottor Purgone: Un gesto inconcepibile.
Tonina: È vero.
Il Dottor Purgone: Un infame attentato all’arte medica.
Argante: La causa è lui che..
Il Dottor Purgone: Un delitto di lesa Facoltà per il quale non esiste pena bastevole.
Tonina: Avete ragione.
Il Dottor Purgone: Dichiaro che tra me e voi tutto è finito.
Argante: È mio fratello..
Il Dottor Purgone: Che nessuna parentela sarà più possibile tra noi.
Tonina: Fate bene.
Il Dottor Purgone: E per porre termine ad ogni nostro rapporto, ecco la donazione che avevo fatto a mio nipote in vista del suo matrimonio. (La straccia.)
Argante: È mio fratello la causa di tutto.
Il Dottor Purgone: Disprezzare un mio clistere!
Argante: Mandatemelo subito, lo prenderò senza indugio.
Il Dottor Purgone: Vi avrei rimesso in sesto in poco tempo.
Tonina: Non se lo merita.
Il Dottor Purgone: Avrei nettato il vostro corpo evacuandone ogni e qualsivoglia cattiva secrezione.
Argante: Ah, fratello mio!
Il Dottor Purgone: Non più di una dozzina di medicine, e avrei vuotato il sacco.
Tonina: Non è degno delle vostre cure.
Il Dottor Purgone: Ma poiché non avete voluto guarire per mia mano…
Argante: Non è colpa mia.
Il Dottor Purgone: Poiché vi siete sottratto all’obbedienza dovuta al medico curante…
Tonina: È una cosa che grida vendetta.
Il Dottor Purgone: Poiché vi siete esplicitamente ribellato alle cure prescritte…
Argante: Ma no assolutamente!
Il Dottor Purgone: Dichiaro di abbandonarvi alla vostra cattiva salute, alle intemperie delle vostre viscere, al vostro sangue corrotto, all’acrimonia della vostra bile e alla letulenza delle vostre secrezioni.
Tonina: Più che giusto.
Argante: Mio Dio!
Il Dottor Purgone: E decreto che entro quattro giorni vi ritroviate in condizioni di assoluta incurabilità.
Argante: Ah, misericordia!
Il Dottor Purgone: E che cadiate nella bradipepsia.
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: Dalla bradipepsia alla dispepsia.
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: Dalla dispepsia all’apepsia.
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: Dall’apepsia alla lienteria..
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: Dalla lienteria alla dissenteria..
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: Dalla dissenteria all’idropisia…
Argante: Dottor Purgone!
Il Dottor Purgone: E dall’idropisia alla privazione della vita, cui la vostra follia vi avrà condotto.
(Molière, Il malato immaginario, Milano, Rizzoli, 1976)
Morgoni, ma ogni volta che un pensionato si lamenta di non riuscire a vivere con quella miseria che gli elemosinate, non vi viene voglia di sputarvi sulla faccia pensando allo stipendio che voi parlamentari e affini prendete con l’utilizzo dei soldi tolti in gran parte a chi lavora sul serio e non di chi dice vado a lavorare recandosi in Parlamento o al Senato e in questo periodo orripilantemente a Palazzo Chigi?