Da sinistra: Maria Teresa Carloni, John Palmieri, Manuel Broglia, Daniel Taddei, Lidia Fabbri, Dino Ottaviani e Sistino Tamagnini
Lidia Fabbri
di Federica Nardi
(foto di Andrea Petinari)
Un solo ospedale che accentri le specializzazioni e i macchinari, triplichi i posti letto e permetta di sbloccare risorse per l’assistenza sul territorio. A indicarlo i sindacati. «Proponiamo di adottare la formula del “leasing in costruendo”, per realizzare un ospedale unico e autonomo dal punto di vista energetico. L’unico modo da qui a dieci anni per dare ai cittadini un’assistenza efficiente e per liberare le risorse per l’assistenza di prossimità» dice Lidia Fabbri, responsabile Area sindacale territoriale (Ast) della Cisl Macerata. Una reazione rispetto allo stallo di Area vasta 3 e Asur, che continuano «a rimpallarsi la responsabilità a vicenda. Sono passati due anni e 18 tavoli di concertazione – dice Daniel Taddei, segretario generale della Cgil Macerata – E ancora non ci sanno dire quante risorse e in che modo verranno impiegate nella ridefinizione dell’Area vasta».
Al centro: Daniel Taddei
«Manca una visione generale sul progetto della sanità nella nostra provincia. La politica deve cominciare a decidere», ribadisce Manuel Broglia, segretario della Uil Macerata. A preoccupare i sindacati anche la riorganizzazione dei turni di lavoro, prevista dalla direttiva 88 dell’Unione europea e i cui termini di applicazione sono scaduti il 25 novembre scorso. «La sicurezza sul lavoro è fondamentale per i medici, devono essere rispettati i turni di riposo. Ma come al solito ci siamo ridotti all’ultimo momento e se scatteranno, le sanzioni saranno costose da pagare», avverte Sistino Tamagnini, segretario regionale della Cisl funzione pubblica. Il piano dei sindacati tiene conto anche del fatto che «entro il 2020 la nostra Regione spenderà un punto percentuale di Pil in meno per la sanità – aggiunge Maria Teresa Carloni, della Cgil – Questo vuol dire tagli costanti ogni anno con il rischio che nel giro di qualche tempo si potrà curare solo chi ha i soldi perchè il settore privato sta entrando a gamba tesa nel settore sanitario». La proposta dell’ospedale unico rivoluzionerebbe l’attuale assetto della sanità provinciale, che, come dice Fabbri «non corrisponde alla realtà. La Regione continua a prendere provvedimenti che non possono essere sostenuti né economicamente né a livello di personale. C’è un enorme divario tra il modello e le cose come stanno».
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Un unico ospedale nella vallata del Chienti, vicino a qualche svincolo della superstrada, con enormi parcheggi gratuiti. Come mai non è stato pensato prima?
Un intervento sensato, garbato e soprattutto realistico. Sarebbe sufficiente leggere (leggere, non dico studiare) le normative statali sull’assetto che debbono avere le strutture sanitarie per bacino d’utenza e conformazione del territorio per arrivare alla conclusione che è necessario avere un unico ospedale che serva la provincia. Se questo non avverrà allora le nostre strutture saranno depotenziate perchè non avranno nè la tecnologia (non verrà “aggiornata”), nè il personale per poter gestire un reparto di alta specializzazione (che per bacino d’utenza ed accessi CI SPETTA). Se si continueranno a mantenere le strutture così come sono si va:
1. contro le direttive nazionali.
2. verso l’impossibilità di mantenere gli adeguati standard di sicurezza.
In regione gli altri territori non aspettano altro, in modo che, data l’impossibilità di potenziare i nostri tre-quattro piccoli e costosi ospedali si possano potenziare quelli nei loro territori. A questo i nostri rappresentanti ci pensano? O è più facile fare lotte che a lungo termine determineranno null’altro che decadenza per evitare di prendere posizioni scomode? Il discorso è semplice: tante piccole strutture di primo livello, oppure un unica struttura, grande, di livello avanzato, bisogna scegliere.
Nei prossimi anni si dovrà riorganizzare un sistema vecchio, pensato negli anni ’70. Questo non vuol dire che il cambiamento sia necessariamente foriero di peggioramento del servizio. Entriamo a far parte di un nuovo schema, un nuovo modo di vedere le cose. Ci sono delle opportunità da coglierle, e spetta ai nostri rappresentanti individuarle e lavorare per ottenere il meglio. Ora, non è combattendo il cambiamento che si riesce a fare un buon servizio per i cittadini, ma cavalcandolo. BISOGNA ESSERE INFORMATI, PERTINENTI, ATTENTI e vedrete che negli altri territori lo saranno; si dovrebbero concentrare gli sforzi per ottenere il massimo secondo i parametri delle nuove leggi, c’è molto che si può PRETENDERE, anche solo facendo riferimento a parametri come quello della popolazione residente e altro ancora lo si può ottenere con la dimostrazione di esser capaci, nell’offerta del servizio sanitario, di garantire gli standard qualitativi (non è cosa da poco nè scontato che lo si riesca a fare). Per esser molto molto chiaro: preferisco fare dieci o venti chilometri ed arrivare a raggiungere una struttura dove l’offerta in termini di servizio sanitario è di alto livello (trattamento di patologia ad elevato livello di complessità) che arrivare a piedi in un posto che alla prima complicanza mi carichi in un ambulanza per raggiungere un centro che possa occuparsi della complicanza suddetta (il trasporto è uno stress e se si può evitare è sempre meglio).
Il progetto negli anni 70 del secolo scorso c’era e la terra pure, dato che era dell’Ircer, Ente dell’Ospedale. Poi la lungimiranza politica ha portato a preferire la scelta di una nuova Ala nel vecchio Ospedale…