Gian Mario Maulo
e la sua Città dell’uomo
Una breve “Primavera politica”

IL RICORDO - Le sue opere "irriversibili" e un progetto incompiuto: piazza Mazzini. Da sindaco ha voluto cambiare Macerata dopo i lunghi decenni a guida Dc

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Gian Mario Maulo, sindaco di Macerata dal 1993 al 1997, è deceduto questa mattina all’ospedale cittadino (leggi l’articolo). Pubblichiamo di seguito un ricordo della sua attività politica e amministrativa.

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verdenellidi Maurizio Verdenelli

Se l’avevano, per caso, preso per un taxi -così come per Enrico Mattei, i partiti politici- o per un ‘cavallo di Troia’ capace di conquistare la città, guidata dal dopoguerra invariabilmente dalla Dc, di sicuro quegli stessi avevano sbagliato…cavallo. Lui, al massimo, era stato sempre un mulo. “Si scrive Maulo, si legge Mulo”. Ed evangelicamente: “Meglio vittime che carnefici” quando gli ricordavo l’ammazzatina del ’97, quando i suoi aspiranti ‘padrini’ avevano deciso che era meglio qualcun altro al posto di quel ‘mulo’ che sbatteva i pugni, ohibò, sul tavolo da sindaco tra una delibera e l’altra, una poesia e l’altra -ce n’è una bellissima e breve, in proposito. Appariva tuttavia sconveniente sacrificare sull’altare machiavellico della politica (p minuscolo, per carità) un sindaco che benissimo aveva fatto e che a forza di dire ‘no’ ai suggeritori in ‘buca’ era diventato popolarissimo. Nessun sindaco, a parte quello delle ‘Fontane’, il mitico Perugini, lo è mai stato tanto dal dopoguerra ad oggi: i sondaggi lo davano al ‘72%. L’ultrasinistra, scrissero le cronache, non lo volle: l’ex Pci incoronò dunque candidato sindaco l’onestisissimo (ma sconosciutissimo, a parte l’illustre famiglia) Antonio Quagliani da Montecassiano travolto in un amen da Anna Menghi, che due anni dopo avrebbe conosciuto nello scenario da Idi di Marzo, l’amarezza del tradimento e, in quel caso, dell’impeachment. Erano entrambi ‘sindaci del popolo’, come ha riconosciuto oggi lo stesso Angelo Sciapichetti (cfr commenti su CM): entrambi destinati a non durare. Nessuno dei due avrebbe mai però dimenticato dantescamente ‘e il modo ancor m’offende’.

Gian Mario Maulo

Gian Mario Maulo

Era un uomo che sapeva dire ‘no’ Gian Mario, origini fieramente montecosaresi e a Macerata pagò di quello, per intero il prezzo. Conosceva la via dell’esilio ma invano sperò in un ritorno: tuttalpiù fece il presidente del Consiglio comunale. L’ex Pci non si fidava ormai più del suo ingovernabile ‘Annibale’ e i tempi di Città Solidale, nata sulle ceneri dei partiti politici, potevano dirsi finiti. Esaurita la ‘carica’ di Città dell’Uomo, la lista di Maulo che in un autentico blitz aveva portato all’elezione dello stesso Gian Mario nel capoluogo, a quella di Roberto Ottaviani a Recanati (conobbi il medico allora a me sconosciuto, nello studio di Maulo che mi vaticinò: ecco il nuovo sindaco di Recanati!) a quella di Passacantando vicepresidente della provincia (a scorno dei Verdi fatti fuori in un secondo da Pigliapoco) fallendo per un nulla la nomina del preside Gaspari a senatore. Per Maulo fu un ‘veni, vidi, vici’ sorprendendo un esperto di cose politiche come Pietro Marcolini che sorridendo, a me che gli chiedevo lumi sul nuovo astro emergente sulla scena maceratese, lo definì come l’ultimo erede di quelli che venivano indicati un tempo come ‘i cattolici per i socialisti’ e visti con curiosità dal Pci.
Il primo incontro pubblico che servì a presentare ‘al tempio’ il pupillo di Giulio Girardi (l’ideologo di Città dell’Uomo, autore di un fondamentale ‘Marxismo e Cristianesimo’) fu una sera della primavera del ’93 in piazza Mazzini. Dopo altri incontri, sempre più affollati, l’on. Valerio Calzolaio solennemente sciolse la riserva nell’auditorium dello Iacp. (Ds) sostiene Maulo. Fu il primo patto tra Chiesa e i seguaci dell’ateo Marx. Ne sarebbe derivato il via libera alla variante dell’intoccabile piano paesaggistico delle Vergini, dove fu costruito il seminario internazionale la cui cupola brilla al sole come quella aurea di una moschera. Maulo però diceva sia a Cesare sia a Dio: al momento opportuno non avrebbe potuto più contare su alcuna sponda e da candidato sindaco bis fu semplicemente capolista ad intercettare le migliaia di voti che misero in forse sin in extremis il successo finale della coalizione della Menghi che da parte sua, come detto, non aveva avuto problemi a vincere.
Già, Piazza Mazzini. L’ultima volta che ci siamo ritrovati in un’agorà a dibattere di politica sarebbe stato lo stesso spazio, ventanni dopo Città Solidale (leggi l’articolo). Io, il cronista, lui Maulo, altri ancora (di Calzolaio, rivisto in questi giorni a moderare gli incontri di Overtime e Paolo Matcovich, protagonisti di quegli anni, neppure l’ombra). Venne fuori un incontro appassionato mentre alle nostre spalle la ‘Festa Giusta’ di Sel –che aveva organizzato l’evento- celebrava riti ludici tra fiumi di birra, allegria e bella gioventù. Gioventù immemore, comprensibilmente, di quella ‘Primavera di Macerata’ inaridita dai venti precoci dell’inverno della restaurazione, già a fine ‘97. Niente a che vedere, sia chiaro, con la ‘piccola primavera indiana’ suggestivamente evocata 4 anni prima dal competitor di Maulo, l’attuale presidente dell’Accademia, Evio H. Ercoli cui il prof. Silvio Craia aveva fatto dono di una grafica bella ed attrattiva con una ‘provocatoria’ linea rossa -forse a suggerire la passata appartenenza di Ercoli al Pci.
Fu una serata, quella del 13 settembre 2013, bella, breve ed amara. Sapevamo che nessuno aveva intenzione di star dietro alla promessa, dichiarata, di ‘rivedersi presto“. Gian Mario stava piuttosto male. Doveva rientrare presto a casa. Sulla scalinata, lo sguardo rivolto alla bella piazza radiante alla de Chirico, l’ex sindaco mi espresse l’amarezza per quell’incompiuta affascinante: “La piazza doveva essere tutta pedonalizzata, invece una parte è stata ancora destinata a parcheggio distruggendo la bellissima pavimentazione di pietra”. Ed ancora, uno sguardo a palazzo Legato-Filati: “Avevo previsto per quell’edificio una destinazione per la residenza degli anziani, a contatto con il centro della città, ed invece…”. Aveva visto giusto, Maulo tanto che proprio in questi giorni l’IRCR, proprietario del palazzo, ha dovuto prendere atto dopo tre bandi del fallimento del progetto di affittare gli appartamenti ricavati nell’edificio oggetto di un restauro ventennale. Solo sei dei 27 alloggi risultano a tutt’oggi locati, e per di più a prezzi abbassati di molto rispetto a quelli originari. Il presidente dell’Ircr, Giuliano Centioni ha confessato che probabilmente la causa di quel mancato appeal da parte dei maceratesi e che questi ancora ritengono che quegli appartamenti siano destinati alla terza età. Così’ come aveva previsto Maulo! Al quale si devono molte di quell’opere che lui voleva a tutti i costi, ‘irreversibili’. L’”Incidente della Storia” come fu lui politicamente insieme con Città dell’Uomo, aveva voluto incidere profondamente nella città al di là del breve tempo che gli era stato concesso da chi l’aveva voluto all’inizio.
Ci stimavano, ma in tanti anni per nostra reciproca pur sorridente rudezza, non ce l’avevano mai detto. Mi ero limitato una volta a dirgli che aveva ‘dato luce’, è vero, a Macerata ma soltanto per via dei modernissimi lampioni lungo le Mura di Tramontana. E lui, contento: “La luce si vede anche da tutta la campagna circostante!”.

gianmario maulo1E se finalmente, dopo tanti tiramolla poco innocenti (con improvvisa folgorazione ambientalista), Macerata stava cominciando a risolvere seppure in parte l’annoso problemi dei parcheggi, soprattutto con quello sotto i Giardini (progettista l’arch. Fabrizio Romozzi, attuale direttore della soc. Quadrilatero) si deve al Governo Maulo. Che riuscì adonare, per l’occasione, pure un sorriso di riservato compiacimento allo stesso Romozzi.
Una specie di democratica tirannide quella del ‘sindaco del popolo’: una nave ammiraglia che andava avanti contro tutto e tutti e dalla quale sbarcò quasi subito l’assessore all’Urbanistica, l’arch. Alessandro Castelli. “Vede che fine fanno i sogni?!” mi disse lui venendo in redazione subito dopo aver dato le dimissioni. Credo che quei due fortissimi caratteri avessero a lungo conflitto e che Maulo avesse risolto il problema gordianamente. Ho rivisto qualche mese fa l’architetto, per i 90 del padre il mitico Paolo Castelli, ma non pare aver più ricordi amari di quel giorno dietro ad una professione cui la sua famiglia ha dato e sta dando tre generazioni di tecnici eccellenti.
Gian Mario Maulo è stato in questi anni osservatore attento della Res Publica, partecipando attivamente pure al blog di Cronache maceratesi con annotazioni sempre puntuali. L’ultima sua dichiarazione, richiesta dal collega Gabriele Censi, fu in morte il 24 luglio della prof. Jader (Jaja) Giampieri Pojaghi, madre della prof. Barbara, già assessora della sua giunta. Jaja, tra l’80 e il ’70, era stata anch’ella consigliera comunale: erano anni in cui il consiglio comunale, abilmente guidati da nocchieri esperti come Sposetti e Cingolani, conosceva i toni impetuosi dei ‘tribuni’ Valori, Crucianelli, Conti, Pasqualetti, Marcolini ed Ercoli. Ma quando era il turno della leggendaria ex partigiana quel mare in tempesta si calmava nel segno di un grande rispetto. Maulo, su Cm, aveva elogiato la Pojaghi come ‘maestra’ di vita, cultura e politica. Con un finale carico di previsioni, che, adesso lo sappiamo, gli provenivano dalla consapevolezza di una fine vicina: “Grazie, Jaja, e a rivederci”.
Nelle ultime settimane la sua voce aveva taciuto. Due settimane fa avevo sottolineato criticamente la sua decisione come sindaco di voler ricevere uno dei piloti della Raf che nel ’43 portarono distruzione ed oltre cento morti bombardando Macerata. Mi attendevo, anzi intimamente auspicavo, una sua risposta. Il progredire della malattia, tuttavia, non gli permetteva più la ‘scherma’ con quel cronista che ero, al quale, con il quale aveva continuato a confrontarsi. Con cui, ad esempio, aveva aspramente polemizzato quando aveva disposto che fosse allontanata quella famigliola di colore, lei, lui e il figlioletto, che sfrattata aveva voluto trovare rifugio ‘mediatico’ nella ‘capanna di Nazareth’ allestita all’interno del cortile del palazzo comunale. La vicenda ebbe riflessi extra moenia e il prof. Maulo, cravatta grigia scintillante da cerimonia, era apparso al ‘Maurizio Costanzo show’ dichiarando di non essere certo un razzista, lui che aveva adottato due bambine di colore.

Tuttavia fu un’altra, la presa di posizione che non mi avrebbe mai perdonato: due, tre parole che portava dentro come una ferita. “Gli occhi freddi del Palazzo” avevo definito, infatti, (“Sussurri e grida” sul Messaggero del 3 novembre 1996) l’atteggiamento della pubblica amministrazione nei confronti della situazione del quartiere-dormitorio di Collevario. Nel quale era maturato il dramma, mai sepolto nella memoria cittadina, di Patrizia e Saverio, i due fidanzatini suicidi l’uno a distanza dell’altra, nell’arco di due giorni. ‘Giulietta’ si era tolta la vita il 31 ottobre, ‘Romeo’ il 2 novembre. Esattamente diciotto anni fa, gli anni della maturità che non avevano fatto in tempo entrambi a varcare.
Il tempo non cambiò mai la pensosa amarezza del sindaco nei confronti di quella mia annotazione: la portava addosso, sembrava, continuamente. Sicuro, evangelicamente (come scrisse nel suo primo messaggio di auguri, nel primo Natale da sindaco) che al primo chiarore sarebbe apparsa la Luce, la Verità. E’ morto, forse come sperava, all’alba del sabato, quando inizia il Giorno del Signore.
L’ultima campanella è suonata, la Scuola è finita, professore; l’amarezza e la gioia sono ormai alle tue spalle come questa città che continuava a ‘duolerti’.
La terra ti sia lieve, Gian Mario.



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