di Maria Stefania Gelsomini
Meglio togliersi subito il dente, inutile girarci intorno. Questo Nabucco sottotono non ha colto nel segno. Lo Sferisterio avrebbe meritato, com’è nella sua storia prestigiosa e nella sua gloriosa tradizione, ben altra apertura. Che le critiche non sarebbero state favorevoli lo si percepiva già dopo la generale, tanto che Francesco Micheli aveva dichiarato “potrà piacere o non piacere, ma c’è la profonda volontà di tutti gli artisti affinché Nabucco sia saga di popolo, di umanità in viaggio. Porrà interrogativi interessanti, farà discutere, perché il teatro è dialogo, non è un tribunale e non si giudica”. In effetti degli interrogativi questo allestimento li ha posti, ma bisogna chiedersi quali. A volte le buone intenzioni e l’uso dei simboli non bastano a confezionare un bello spettacolo. Sul fatto che il teatro non si giudichi ci sarebbe molto da discutere, poiché nel momento in cui un artista sale sul palcoscenico si sottopone necessariamente al giudizio del pubblico (e della critica), ed è il pubblico, attraverso gli applausi o i fischi, ad esprimere il gradimento e a decretarne il successo o l’insuccesso, a far percepire all’artista che il suo messaggio è stato percepito.
Ieri sera il messaggio di Gabriele Vacis il pubblico non l’ha tanto percepito. Però chissà perché, ormai impera il politically correct anche a teatro e nessuno manifesta più il proprio dissenso, o quasi. A volte invece un sonoro fischio potrebbe essere più salutare di un tiepido e imbarazzato applauso di cortesia. Come quello di ieri sera. Le intenzioni erano delle migliori, per carità: aprire la stagione intitolata Muri e divisioni con un’opera densa di significati che pescassero nei disagi più profondi della nostra attualità. Il conflitto Ebrei-Babilonesi, la diaspora ebraica, l’auspicio di una pace finale. E poi il muro dello Sferisterio, spazio ideale cui sovrapporre il muro del pianto di Gerusalemme, la lavagna su cui scrivere i versetti del profeta Geremia, un muro ideologico che alla fine viene sgretolato dalle note del Va’ pensiero. Altro tema portante dell’opera era l’emergenza acqua. “Le guerre del passato si sono combattute per la terra. Le guerre del presente si combattono per il petrolio. Le guerre del futuro si combatteranno per l’acqua” è la citazione proiettata sul muro dello Sferisterio. E che spiega l’utilizzo di bottiglie e boccioni d’acqua di plastica nella scenografia, decine, centinaia, migliaia. Ma quando l’opera inizia la scena è nuda e vuota, c’è solo un telo giallo a terra, a ricoprire delle sagome indistinte. Sulle note del preludio iniziano a scorrere, sul muro, le proiezioni del panorama di Gerusalemme e diverse scene di vita quotidiana contemporanea, con strade affollate di gente, vie trafficate, negozi, studenti, lavoratori, e il muro del pianto. All’ingresso di coro e figuranti, quando il telo giallo viene sollevato, si scopre un plastico fatto di bottiglie di plastica: è una Gerusalemme in miniatura (riconoscibile per lo più dalla cupola dorata della moschea di Omar), costruita con bottiglie bianche in PET. La prima scena si svolge nel tempio di Salomone, ma è difficile capirlo. Gli Ebrei sono stati sconfitti da Nabucco re di Babilonia, che è ormai giunto alle porte di Gerusalemme. Il popolo e i Leviti in ansia sono rassicurati dal pontefice Zaccaria: la figlia di Nabucco Fenena è prigioniera degli Ebrei. Arriva però Ismaele che, innamorato di Fenena e già liberato da lei a Babilonia, le promette la libertà. Mentre i due decidono di scappare irrompe con un gruppo di soldati babilonesi la schiava Abigaille, ritenuta anch’essa figlia di Nabucco, che offre il suo amore ad Ismaele in cambio della libertà per gli Ebrei ma viene respinta. Si rifugiano nel tempio anche alcuni Ebrei, incalzati dall’arrivo di Nabucco e Zaccaria, per fermarlo, minaccia di morte la figlia Fenena ma Ismaele lo disarma e consegna la donna al padre. Zaccaria lo accusa di tradimento e Nabucco ordina la distruzione del tempio con il fuoco. E fin qui la trama della prima parte che si è svolta, nell’allestimento firmato da Gabriele Vacis, all’interno del suddetto labirinto di plastica, con evidenti difficoltà di movimento da parte di cantanti e figuranti, preoccupati di non inciampare e attenti a non pestare le bottiglie. In particolare le tre vergini che vengono rivestite con un grembiulino celeste e imbracciano timidamente il mitra, indietreggiano a stento tra gli edifici di plastica. Al termine del terzetto Ismaele-Abigaille-Fenena, la città viene smontata a pezzi (in un’atmosfera non si capisce perché quasi di gioia e di festa, da recita di parrocchia) e il telo su cui poggiava viene issato sul muro, mostrando la pianta disegnata della città. È il momento dell’ingresso di Nabucco, annunciato da Abigaille che tiene sotto tiro i nemici con la pistola e da un soldato che entra in scena a cavallo. Entra, si fa un inutile giretto di qua e un inutile giretto di là per intimidire gli Ebrei (che in realtà non sembravano così impauriti) e poi se ne va. Anche l’ingresso di Nabucco non incute quel terrore che ci si aspetterebbe: non è il re terribile ma un Che Guevara di Babilonia, con giacca mimetica gallonata, anfibi e basco rosso in testa, circondato da una schiera di fedelissimi che più che richiamare i soldati iracheni sembravano scagnozzi di un qualche dittatore del centro America. Al momento del grido di guerra “Mio furor non più costretto, fa’ dei vinti atroce scempio; saccheggiate, ardete il tempio, fia delitto la pietà!”, la pianta di Gerusalemme comincia ad animarsi e si spacca, si sgretola, crolla, lasciando solo resti fumanti. Poco prima della fine della prima parte, e del concertato, entrano in scena, scorrenti su rotelle, i sei pannelli realizzati con i boccioni d’acqua di plastica, mentre sul telo appeso al muro un volo d’uccelli sorvola la cartina geografica spostando l’azione da Gerusalemme a Babilonia.
La seconda parte (L’empio) si apre nella reggia di Babilonia. Abigaille, scoperta la sua condizione di schiava, giura vendetta contro Nabucco e Fenena, nominata nel frattempo reggente della città. Venuta a sapere dal Gran Sacerdote di Belo che Fenena sta liberando gli Ebrei prigionieri tenta di impossessarsi del potere. Intanto Zaccaria annuncia la conversione all’ebraismo di Fenena, che cerca di fuggire da Abigaille ma è troppo tardi. Quando giunge anche Nabucco all’improvviso, e nel delirio di onnipotenza si proclama non solo re ma Dio, viene colpito da un fulmine lanciato dal Dio degli Ebrei e cade tramortito, lasciando la corona contesa nelle mani di Abigaille. In questa parte dell’opera gli elementi scenografici sono rappresentati dai soliti pannelli di boccioni (stavolta solo tre), che con un effetto simile a pareti di vetro-cemento si illuminano con luci di diversi colori, dal rosa shocking all’azzurro al giallo. Il santo codice di Zaccaria è una sorta di tablet che irradia una luce arancione, lo stesso colore delle tute (da meccanico?) indossate dai Leviti. Illuminata da led luminosi anche la corona tecnologica contesa tra Fenena, Abigaille e Nabucco, che alla fine la riprende pronunciando le parole fatali “Non son più re, son Dio!!” e cade fulminato.
Nella terza parte (La profezia), dopo l’intervallo, la scena si sposta nei giardini di Babilonia: Abigaille si è ormai impossessata del trono e approfitta delle precarie condizioni mentali di Nabucco debole e delirante per costringerlo a firmare la condanna a morte degli Ebrei. Resosi conto di aver condannato anche Fenena, ormai convertitasi, vorrebbe salvarla ma viene fatto imprigionare da Abigaille che si dichiara sua unica figlia. Gli Ebrei sono costretti ai lavori forzati sulle sponde dell’Eufrate e rimpiangono la patria lontana, ma Zaccaria li rinfranca annunciando la prossima fine di Babilonia. La quinta scenografica, anche in questa terza parte, è formata da quattro pannelli in vetro-resina plasticata, due centrali in piedi e due laterali appoggiati in obliquo: in ogni boccione è “piantato” un fiore rosso (ovviamente di plastica). Sono questi gli orti pensili di Babilonia di Vacis, più simili a serre asettiche che non a spazi rigogliosi. La scena è tutta d’oro. D’oro è la veste di Abigaille e d’oro sono i suoi gioielli, d’oro è il grosso globo del mondo che i giovani figuranti fanno scorrere davanti ai protagonisti reggendolo con le braccia sollevate, fino a portarlo addosso al muro, dove viene innalzato e resta sospeso sulla scena. L’attacco del Va’ pensiero, e quindi il canto nostalgico del popolo ebreo, il punto cruciale dell’opera, è preceduto dall’ingresso ai due lati del palcoscenico di un furgoncino scalcinato a destra (un furgoncino per il secondo anno consecutivo: si sarà forse riciclato quello di Bohème?) e di una vecchia vespa a sinistra, stipati all’inverosimile di povera gente (di colore), di pacchi e valigie ammassate. Il riferimento ai barconi dei migranti che funge da collegamento ideale fra passato e presente è parso sinceramente un trito cliché. Mentre gli Ebrei si struggono nel canto, si accendono pian piano le luci bianche che ogni corista ha in mano, come tante candeline nei canti della notte di Natale. Nel finale buonista il riflettore è puntato su un ragazzo di colore che si fa strada davanti al coro indossando una felpa bianca con la scritta rossa Italia. Ma forse avrebbe fatto più effetto se ci fosse stato scritto Baci e Abbracci, chissà.
Nella quarta parte (L’idolo infranto), Nabucco in prigione prega il Dio degli Ebrei, rendendosi conto che la figlia Fenena sta per essere condotta a morte. Rinsavito e ripreso vigore, il vecchio re si mette a capo di un gruppo di suoi fedeli e irrompe nel tempio di Belo appena in tempo. Ordina la distruzione della statua del dio, che si schianta per terra. I prigionieri vengono liberati e Nabucco invita i Babilonesi a convertirsi a Jehovah. Abigaille sconfitta si suicida col veleno, ma non prima di chiedere perdono a Fenena e di augurarle di unirsi ad Ismaele. Mentre muore invocando il dio degli Ebrei, Zaccaria predice a Nabucco il regno su tutta la terra. Ieri sera, il povero Nabucco delirante viene fatto entrare in barella (una barella per il secondo anno consecutivo: si sarà forse riciclata quella di Bohème?), ma poi al momento della ritrovata lucidità indossa di nuovo i suoi panni da Che Guevara medio-orientale. Nella scena successiva ancora proiezioni sul lungo muro dello Sferisterio: stavolta sono tutte le bandiere del mondo, che compaiono una alla volta fino a formare un patchwork multicolore e multirazziale, e poi si dissolvono scomparendo una alla volta allo stesso modo. L’idolo che si infrange per ordine di Nabucco è il globo d’oro rimasto appeso sulle teste dei protagonisti. La pace è finalmente tornata, Ismaele e Fenena si abbracciano, tutti sul palco si schierano in faccia al pubblico, colpiti da una forte luce bianca sulle note di “Immenso Jehovah, chi non ti sente?”, mentre dei fasci di luce incrociati che partono dal muro dello Sferisterio e arrivano al loggione e viceversa formano un simbolico tetto sulle teste degli spettatori. Nella scena finale i pannelli di plastica si aprono per l’ingresso di Abigaille morente, mentre i coristi cantano tenendo in mano ognuno una diversa bandiera (in realtà sembrano più le sciarpette dei tifosi di calcio coi colori sociali). Alla sua morte i due pannelli centrali vengono ruotati e mostrano i fiori disfatti ormai nel sangue (purificatore?), mentre i coristi sventolano le bandierine.
Insomma non è facile raccontare questo Nabucco, e non dev’essere stato facile per gli spettatori cogliere il senso di molti, forse troppi, riferimenti simbolici che il regista ha inserito nella sua lettura.
Le proiezioni sul muro sono ormai viste e riviste, e specialmente da quando mancano i soldi per allestimenti più ricchi e articolati sono diventate un po’ il refugium peccatorum di registi e scenografi.
In generale poco curati i movimenti delle masse, con un coro che quando non è schierato in fila sul proscenio o in fila di spalle lungo il muro del pianto, è impacciato e non convincente. Il coro nel Nabucco è protagonista, o almeno dovrebbe esserlo, soprattutto dal punto di vista canoro. Dovrebbe scuotere gli animi e le coscienze con l’impatto emotivo dirompente del suo canto. Purtroppo ieri sera non lo è stato, offrendo una prova scialba e a volte tecnicamente imprecisa, priva di qualsiasi pathos. Non ha entusiasmato nemmeno l’orchestra, diretta dalla pur prestigiosa bacchetta del maestro Antonello Allemandi.
I costumi, altra nota dolente. Gli uomini che arrivano con dei mantelli-poncho bianchi e celesti (con ovvio richiamo ai colori d’Israele) buttati addosso senza grazia, le donne col fazzoletto in testa vestite con dei grembiulini che neanche in terza elementare fanno tristezza.
Velo pietoso anche sul cast, non certo da Scala ma neanche da prima allo Sferisterio. I problemi emersi alla prova generale si sono riproposti, se non in misura maggiore, anche ieri sera. Il Nabucco di Alberto Mastromarino, baritono dalla lunga e acclamata carriera già applaudito allo Sferisterio in Pagliacci e Cavalleria rusticana nel 2003 per la regia di Massimo Ranieri e nella Francesca da Rimini l’anno successivo, non è incisivo, né carismatico, né possente. La sua voce purtroppo in questo momento non è a posto e i problemi si sono sentiti tutti, specie da un certo punto in poi, risultando alla fine imbarazzante. Di Valter Borin, giovane tenore nel ruolo (per fortuna piccolo) di Ismaele, si salva solo la dizione. Anche la voce è piccola, ma questo di per sé non sarebbe un problema (se non per il fatto che si canta all’aperto). Il problema sta nelle note alte, e purtroppo per lui e per gli spettatori non c’è stata una sola volta in cui salendo non abbia rivelato notevoli difficoltà, sin dall’inizio. Se la sono cavata senza brillare le due protagoniste femminili, la mezzosoprano Gabriella Sborgi (Fenena) e la soprano Virginia Tola (Abigaille), brillante e appassionata nell’interpretazione ma con la tendenza allo strillo negli acuti. La voce più bella, più corretta e sicura è sembrata quella del basso Giorgio Giuseppini (Zaccaria), che torna a Macerata dopo la Turandot di de Ana del 1996 e la Lucia di Lammermoor del 1997.
Lo Sferisterio avrebbe meritato una prima di ben altro livello. Osservare i volti impietriti dei giornalisti in tribuna stampa, che non hanno mai applaudito durante tutta la rappresentazione, è stato un triste spettacolo nello spettacolo. Ascoltare i commenti del pubblico su “una recita da oratorio di quarto livello” non è stato piacevole. Ma così è, nulla da eccepire. Il pubblico ha sempre ragione.
(foto di Alfredo Tabocchini)
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Il botteghino ha comunque registrato il tutto esaurito con circa duemila spettatori e 100mila euro di incasso.
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Francesco Micheli dice “potrà piacere o non piacere, ma c’è la profonda volontà di tutti gli artisti affinchè Nabucco sia saga di popolo, di umanità in viaggio. Porrà interrogativi onteressanti, farà discutere, percghè il teatro è il dialogo, non è un tribunale e non si giudica”.
E no caro Micheli, non mettere le mani avanti per non sbattere il muso, sei un bravo e furbo oratore ma non sei il solo furbo intelligente e scaltro. Già dopo un anno l’indole viene fuori e sinceramente dei suoi discorsi pre opera che rassicura lo spettatore poco ce ne facciamo se poi non c’è sostanza in quel che rappresentate in quanto lei è il Direttore Artistico quindi il primo responsabile. Il teatro si può giudicare, il popolo ha diritto di giudicare senno si contraddice a tutta la filosofia che lei spiega sul Nabucco. Se i cantanti sono scarsi, se le scene fanno pietà, se la regia è piena di riferimenti e trovate inutili, la gente ha il diritto di fischiare, di manifestare il proprio dissenso; le ricordo che si paga un biglietto e pure caro, che l’Associazione ha dei finanziamenti pubblici quindi dovete rispettare anche la critica il giudizio negativo, sennò vi prendete un campo lo illuminate e vi fate le vostre opere. Aspettiamo la Notte dell’opera unico evento che stà a cuore al direttore Artistico Micheli, perchè li riesce a dare il meglio di se, è più uno showman che un direttore artistico; con Pierluigi Pizzi di certo si respirava un clima differente, un clima più professionale e meno da sagra anche se pure la sua figura è stata criticata e non poco.
Il prossimo anno avremo l’Aida, iniizate a preparare le scene fin da ora!!!
La trovate dei militi in armi mi sembra fosse (con altri costumi) già stata rappresentata allo Sferisterio quasi 30 anni fa (e chissà quante altre volte è stata rappresentata in altri Teatri ed Arene) così come far scorrere le immagini sul muro, sopra al palco, sono almeno 20 anni che è (sempre) la solita abusata “idea nuova”, mutuata dai concerti rock e dal Teatro d’Avanguardia.
Comprendo che, in tempi di ristrettezze economiche, si debba fare di necessità virtù e che quindi le scenografie siano “minimali”, ma mi par di ricordare che altrettante scenografie “povere” anni fa sono state curate d Ferretti e l’impatto visivo era di gran lunga superiore, migliore e assai più artistico.
Comprendo altresì che la pubblicità è l’anima del commercio e che pertanto si cerchi (ogni anno) di “far discutere”, impiantando scenografie, luci e colori che, alla fine, trasformano e sfigurano le Opere
Ma se nella Boheme di K. Russel questa “pubblicità” (per l’opera trasfigurata) rimbalzò a livello internazionale stavolta mi sembra tanto che l’obiettivo è stato ciccato: tutto al più dei boccioni d’acqua multicolori se ne parlerà nei bar ma, difficilmente, questo impianto scenico potrà essere “la notizia” che rimbalza sui quotidiani internazionali.
Difficilmente anche perchè, da quanto scritto nella critica, sembrerebbe che complessivamente il Nabucco maceratese sia decisamente non all’altezza…
Se proprio si vuole “cercare la notizia a tutti i costi” (e far chiacchierare) si potrebbe tornare all’antico quando, artisticamente (si fa per dire), l’uniche idee proposte erano solo vedere svolazzare piselli in scena e c’era una grossa profusione di bocce al vento…
Artisitcamente sarebbe una nullità, ma almeno il pubblico avrebbe di che guardare 🙂
Ora non vi buttate così giù. Diciamo piuttosto che – come ulteriore gesto politico – in questo allestimento del Nabucco si sono volute far prevalere creativamente le ragioni di una buona raccolta differenziata, a cominciare da quella dei contenitori in PET.
Il teatro non si giudica? Ma si rende conto di quel che dice il sig. Francesco Micheli? Lo Sferisterio a guida di un semplice ingegnere comunale era arrivato ai più alti livelli. Che tristezza consentire che in questa magnifica arena si possano esibire registi, o sedicenti tali, che non hanno la più pallida idea di cosa sia il melodramma.
Ma possibile che non si riesca a rappresentare un’opera con allestimento originale? Queste trasposizioni in epoche diverse sono anacronistiche, e non si possono contestualizzare se non come sono state create, non bisogna essere degli esperti per capirlo. Non si è in grado di trovare un regista che sappia rappresentare il melodramma perchè non si vuole o perchè non si è in grado di capirlo?
Lo Sferisterio, ed i maceratesi, meritano di meglio.
Quando qualche mio nipotino arriva all’Università e rifiuta qualche voto basso, lo redarguisco sempre ricordandogli che – una volta che sarà laureato – nessuno, ma proprio nessuno, andrà a consultare il suo libretto degli studi. Un po’ la stessa cosa succede qui: a fine Stagione, rimarrà il bilancio del botteghino e tra qualche anno tutti dimenticheranno qual era quell’edizione del Nabucco che aveva piazzato in scena un sacco di bottiglie d’acqua minerale (una soluzione molto anni ’80, per dirla tutta…). Anche sui cantanti, a molti appassionati sorgerà il dubbio se fossero peggiori quelli del Nabucco 2013 o quelli della Carmen 2012. I più ripiegheranno nei ricordi del Rigoletto 1976 (con Milnes e Pavarotti), le indimenticabili performances pucciniane della Kabaiwanska, etc. Faranno bene: eviteranno di guastarsi il sangue.
Non avranno dubbi, invece, sulla debolezza dell’Orchestra: quella, anche nel migliore degli allestimenti verdiani, di verdiano ha ben poco oggi come allora. E’ più un abbozzo, una metafora, un rimando ideale. Verdi necessita di un’Orchestra sinfonica, potente, che in nessuna maniera entrerebbe nel Golfo mistico dello Sferisterio: è un po’ come quando i sardi vengono sull’Adriatico e si sorprendono che noi chiamiamo “mare” il nostro mare. “Ma no, questa è una striscia d’acqua salata, il mare è il nostro, che dovunque guardi non scorgi il limite in nessuna maniera!”, e così è qui: la striscia del nostro Golfo mistico è come l’Adriatico agli occhi dei sardi e dei siciliani.
Certo, si fa quel che si può. La cornice è superlativa e unica al mondo (credo), Orazi aveva ripiegato sui “colpi di scena” (costumi, allestimenti, grandi firme, palle e luci) spostando l’attenzione dai gap sopra detti. Ma infine, il pubblico dello Sferisterio non è di certo né quello de La Scala né quello del Regio di Parma: qui l’emilianità di un volgarissimo e sanissimo fischio sarebbe impossibile. Qui c’è il pubblico della domenica: che assomiglia a quello del centro storico. Viene, visita, guarda, commenta dentro di sé e poi riparte. Ha goduto della passerella, ha trascorso una serata diversa (o uguale a tutte le altre d’Italia dove si fanno le notti bianche, ma almeno non si è annoiato dentro casa), ha scattato le foto di rito da mostrare al ritorno, se c’era la notte bianca ha condiviso porchetta e castagne con tutti gli altri che passeggiavano, e arrivederci – forse – all’anno prossimo.
Sono contento che facciano cantare Nazzareno Antinori al concerto per Beniamino Gigli. Mi piace anche la creatività di Francesco Micheli. Ma penso che le due “voci” dovrebbero sposarsi nella gestione dell’Arena: l’una – quella del mestiere musicale – per quanto concerne la musica e i cantanti; la seconda per tutto ciò che fa spettacolo, e che ovviamente per un teatro come il nostro non è voce secondaria.
Non succederà mai, ovviamente.
Ringraziando Iddio mi sono perso quella che – stando alla recensione – sembra proprio l’ennesima cialtronata che le tavole del palcoscenico dello Sferisterio hanno dovuto sopportare dopo anni e anni di Gasparoni e mezze calzette elevate a divinitá scese in terra.
Francesco Micheli dice: “potrà piacere o non piacere, ma c’è la profonda volontà di tutti gli artisti affinchè Nabucco sia saga di popolo, di umanità in viaggio. Porrà interrogativi onteressanti, farà discutere, percghè il teatro è il dialogo, non è un tribunale e non si giudica”.
Qualcuno dovrebbe spiegare a Micheli che un teatro (lirico) non é luogo per ‘saghe di popolo’, ma éun luogo dove si dovrebbero mettere in scena, si spera bene, opere liriche, ed in cui i dialoghi auspicabili provocati dallo spettacolo dovrebbero essere quelli del tipo ‘ma hai sentito che bravo tenore?’ o ‘l’orchestra era perfetta’ oppure ‘hai sentito come andavano tutti a tempo? Ci credo hanno fatto due mesi di prove!’, etc. etc. cioé dialoghi che DA ANNI allo Sferisterio non si sentono più perché tra ex comparse, pseudo registi, e avventuriere giocatrici incallite a fine carriera non si é mai nominato direttore artistico l’unico soggetto che dovrebbe esserlo, cioé UN MUSICISTA CON LE PALLE CHE RIPORTI LA MUSICA ALLO SFERISTERIO.
Complimenti a Maria Stefania Gelsomini per una recensione coraggiosa che dice pane al pane e vino al vino e non si accoda ai Mollica di turno che parlano sempre di spettacoli bellissimi dove tutto era ‘eccezionale’. Pur non avendo sentito questo Nabucco, riconosco al 100% i caratteri essenziali degli spettacoli dello Sferisterio.
…stroncata proprio!!!!!!!!!
La lirica rappresenta la messa in musica di testi teatrali ,il più delle volte testi di scarso valore artistico ma che la l musica rende sublimi !!!!!!Certo Mozart non sarà ricordato per i testi delle sue opere ma per l’armonia della sua meravigliosa musica.Infine i cantanti : interpreti dei sentimenti di musicisti che attraverso le loro voci vogliono trasmettere emozioni . Callas in ” amami Alfredo ” sono brividi che corrono lungo la schiena di chiunque ascolti !!!Infine l’orchestra , chiusa nel golfo mistico , raccolta per dare il meglio di se insieme, note e tempi .
credo sia questo quello che intendo per lirica. Sono appassionato è quello cui abbiamo assistito ieri e’ stato imbarazzante , per non dire patetico .
il MAestro ha provato a mettere insieme un coro che se prende un attacco e’ per puro caso, tenore e basso senza voce , fiati di un‘ orchestra sfiatati e distratti . Infine ciliegina per giustificare i contributi del Comune all’orchestra Salvadei ( banda ,come quella taccoli ) li abbiamo dovuti ascoltare anche ieri dopo l’imbarazzante performance di Villa potenza!!da ultimo un biglietto a Salisburgo costa meno della metà che a Macerata !!!! Grazie sig.ra gelsomini per aver interpretato così bene il pensiero di chi ama la lirica
Grazie alla Gelsomini per la critica obiettiva,
non sono andato ma chi c’era me ne ha parlato molto male.
Micheli riconosca i suoi sbagli e, per una volta tanto, RICONOSCA che non si possono fare opere al risparmio su tutto,e che ORAZI Lo scorso anno ci regalò una splendida traviata degli specchi, il prossimo anno ce le riproporranno ancora, RENDIAMOGLI OMAGGIO COME MERITA ALMENO DATO CHE LO SCORSO ANNO NON FU NEMMENO CITATO…
lO Sferisrerio non è all’altezza? Giusto, ma non l’arena ma chi gestisce ovvero tutto il gruppo della’Associazione Sferisterio, a cominciare dal direttore tecnico Luciano Messi, quali competenze ha? In era Pizzi appariva cme un cane bastonato fido al suo padrone. Micheli è un bluff,è un perfetto oratore, ma diffidate da chi parla tanto, la sua creatura è la notte dell’opera come un ferragosto in un villaggio turustico; Micheli, i viaggi del ventaglio cercano animatori. I collaboratori non sanno che pesci prendere, la disorganizzazione regna sovrana, al posto di una persona ce ne hanno messe tre che non riescono a fare ciò che faceva qualla piccola persona orientale.
Regna all’interno un menefreghismo e indole statale che fa rabbrividire, (forse nelle più disperate poste lavorano di più), con sindacalisti incapaci di difendere i lavoratori che ogni anno sono loro lo Sferisterio.
P.S ho appena terminato di bere dell’acqua, che vi serve la bottiglai in pet?
Quelli del Carlino mi sa che hanno visto un’altra Opera.
Scempio dell’opera lirica. Se il pubblico paga e lo accetta, se lo merita.
da notare soprattutto i ragazzi della sicurezza che danno indicazioni sbagliate… è uno scandalo
RIMPIANGETE PIZZI CHE HA DISTRUTTO E DEFRAUDATO PER ANNI LE CASSE DELLO SFERISTERIO A PANNAGGIO SUO E DELLA SUA CRICCHETTA; CACCIATO DA TUTTI I TEATRI D’ITALIA PER I SUO MODO POCO CORRETTO FINANZIARIAMENTE DI GESTIRE LE RISORSE A LUI AFFIDATE!!!! Micheli non vi piace perchè ha capito ciò che è palese a tutti, cioè che il GOTHA della cultura locale non sono altro che 4 conservatori arraffoni presuntuosini e totalmente sconosciuti fuori dalle quattro mura domestiche da cui è impossibile cavare qualcosa di buono o utile!!! Siete Mummie morti sepolti e già digeriti dalla storia (come l’illustre Pizzi), vi rimne qualche sfogo dalle pagine del CARLINO e quì a CM. Cari miei siete modesti come modeste sono le vostre consinerazioni sulla stagione 2013. VE LO MERITATE PIZZI VOI!!!!!….VE LO MERITATE!!!!….
Rino Pace, io mi riferivo per la professionalità e la gestione, l’organizzazione, non per il defradaumento di Pizzi, complici con lui gli stessi organizzatori locali.
Vorrei ricordare che il maestro Pizzi appartiene alla storia del teatro mondiale, poi per tutto il resto non servono commenti, ma eventuali denunce circostanziate. Comunque credo sia molto peggio sperperare soldi pubblici senza decoro con spettacoli pietosi ben descritti da Indiscreto Maceratese in un commento che mi sento di condividere integralmente. A proposito della frase del Direttore artistico sul teatro che non si giudica, meglio sarebbe stato se avesse taciuto. Non credo possa essere uno sprovveduto, ma talvolta potrebbe moderare la pulsione populista che adotta come stile, che forse nasconde il furbesco snobismo di chi ha ben capito l’ambiente in cui si deve muovere.
Che bella cosa la libertà!
Con un semplice click e si ha l’enorme, immediato potere di dire al mondo intero, tutto ciò che ci passa per la testa, troppo spesso senza rendersi conto di quanto siano alcuni giudizi in realtà frutto di sensazioni personali e soprattutto della propria ridotta visione del mondo.
Ho avuto la fortuna di assistere ad entrambe le opere in cartellone e di godere di due spettacoli eccezionali, in un luogo che per fortuna tanti maceratesi stanno tornando a frequentare (al di là di molti che continuano ad assistere solo agli ingressi, cercando di vedere personalità più o meno note) capace da solo di rinnovare ogni volta atmosfere uniche ed invidiabili, ma magia del luogo a parte, finalmente anche l’Opera lirica torna a darci una buona occasione per riflettere sull’attualità.
La scelta di regia del Nabucco presuppone a mio parere una certa sensibilità con le tematiche della globalizzazione, con l’immanente guerra in corso per il potere: solo così Vandana Shiva può illuminare una scena spoglia, ma di grande intensità.
Faccio altro mestiere e lascio ai critici di professione il compito di sottolineare la valenza delle voci, la semplicità e l’efficacia dei costumi, ma diversi sono stati i momenti in cui mi sono commossa entrando nella logica del popolo, del coro che mai come questo anno rappresenta il tessuto sociale indispensabile al cambiamento.
Ringrazio di cuore Vacis ed i suoi collaboratori per la capacità di lasciarmi intravedere con Nabucodonosor i tiranni dell’attualità, in una Gerusalemme pulsante di giovani e mercati;una volta tanto l’essenzialità delle scene non ha mai corrisposto a povertà di temi e suggestioni, grazie anche ad una notevole presenza multietnica.
Il trovatore invece, pervaso dal tema di morte e fantasmi, con sapiente uso di luci, trucco, costumi e con un cast d’eccezione che da tempo non si ascoltava più a Macerata (ah.. ripensare all’apparizione di Villazon nel 2001) ha espresso al meglio il tema della stagione 2013 attraverso intrecci e drammi famigliari che pure ho rivisto intorno a me, in tutti quelli capaci di fare follie per amore… a cominciare dai più giovani,
e allora, perché tanta critica negativa verso un lavoro corale fatto con rigore filologico e con grande impegno (certo ogni cosa è migliorabile) nell’ambito di una stagione che solo un anno fa non riuscivamo ad immaginare e che invece oggi, rende di nuovo la nostra città meta privilegiata di un turismo colto, che potendo scegliere privilegia la dimensione umana del nostro territorio e la magia di un teatro che non ha pari.
Ciascuno può interpretare a proprio modo ciò che vede senza dimenticare che la stessa libertà spetta a tanti altri, e senza la pretesa di scrivere le pagine della storia, che si fanno nel tempo con i fatti più che con le parole.
Solo attraverso nuove versioni, e sperimentali scelte di regia, l’Opera Lirica continuerà a mantenere la forza espressiva che ne ha garantito la sussistenza ed avrò voglia di tornare agli stessi appuntamenti, nello stesso luogo.
@ Letizia Carducci
Complimenti signora Letizia. Il suo commento denota una grande capacità di guardare avanti. Dicredere nel futuro,nelle innovazioni, nello sviluppo culturale della mente umana.
Troppa gente purtroppo ha perso la capacità di pensare, di sviluppare, di usare la fantasia per ideare cose nuove ed interessanti. Se nel genere umano fossero mancate persone cosi’ avremmo ancora acceso il fuoco con le pietre focaie e, nel campo della cultura saremmo ancora ai disegni nelle caverne.
Sento anche io di dover ringraziare gente come Micheli.
Sottoscrivo tutta la critica lucida, oggettiva, della Dott.ssa Gelsomini e quella di tanti altri lettori, Libero, per primo, ma poichè ritengo che Il Trovatore abbia riscattato in pieno l’oscenità del Nabucco, provo ad esprimere il mio punto di vista del perchè uno sia stato un fiasco senza mezzi termini e l’altro uno spettacolo di elevata qualità artistica, sotto ogni punto di vista.
Premesso che il budget di spesa ridotto non giustifica minimamente un allestimento kitsch come quello della Prima, e che quindi il tutto va attribuito ad una precisa scelta di regia e direzione artistica, l’elemento distintivo tra le due messinscena per me risiede nella differenza sostanziale ,che mentre nel Nabucco si è sentita pesantemente la mano orientata verso un preciso messaggio sociale-politico ( come nella Carmen lo scorso anno) nel Trovatore non c’era questa volontà e quindi l’Arte ha preso sopravvento nel suo allestimento sapiente, dosato, , finemente elaborato nella sua idea di base, con ciò appagando il pubblico di emozioni ,che questo solo si aspetta da una rappresentazione lirico-teatrale. Credo quindi basterebbe già abbandonare da parte della direzione artistica l’idea di assumere a pretesto il nostro teatro per inviare messaggi politici, piuttosto che pensare alla piena qualità artistica degli spettacoli. Questo atteggiamento va rivisto, cioè basta coi temi programmatici ( le donne, le eroine, i muri, le divisioni, tutto questo è il vero stantio dell’attuale direzione) , che sanno anche un pò troppo di arrogante, basta col fare teatro-didattica, fare i maestrini , gli educatori di un pubblico che seppur non saccente di musica,lirica, voci e libretti ,ha una sensibilità , maturità e preparazione tali che sa riconoscere le minestre riscaldate e capire dove manca il talento, gli ingredienti essenziali, il sale dell’Opera. E’ vecchio questo approccio, anche se spacciato per nuovo, in nome della contemporaneità che è concetto assai vischioso, più proiettato al passato che al futuro di quanto si pensi, a meno che dietro non ci sia la genialità di uno Svoboda o un Russell a suggelarlo come Opera d’Arte. Vecchio quanto il costruttivismo sovietico del primo ’900, che nel rifutare l’Arte per l’Arte le fa assumere una veste e una funzione sociale; O come il più nostrano Min.Cul.Pop dell’era fascista, con gli stessi obiettivi di scopo dell’Arte. No. Il pubblico si aspetta bellezza e qualità artistica ad ogni livello, il meglio del meglio di rappresentazione in rappresentazione, non necessariamente l’originalità . Sì creatività, no originalità ad ogni costo. Questo va offerto, poi penserà il pubblico ad apprezzare, elaborare in chave personale ciò che ha potuto vedere, sentire.
Ultima cosa a promemoria per chi gestisce la nostra lirica. Voglio ricordare che nel 1956 alla Stadio dei Pini di Macerata, quando ancora lo Sferisterio era un deposito di mobili e non l’Arena lirica che tutto il mondo ha potuto conoscere poi, fu messo in scena un Rigoletto memorabile dove a dare la qualità portata dal Carro di Tespi, bastarono le soli voci: Gianni Raimondi, Ettore Bastianini, Gianna Pedersini.
Ero sicura che una lettura intelligente e contemporanea avrebbe suscitato critiche negative. Avreste di certo gradito di più il solito polpettone neutrale.
chiara non è solo qui tutti i giornali e le persone han detto che è stato brutto mi spiace.
@Chiara stai delirando… il teatro va fischiato eccome!!!!
Altro che principio d’autorità.
next step: TECNOTRAVIATA?ma per favore,riuscireste a fare una versione punk del Carmina Burana,pur di fare gli innovatori di ‘stacippa……
certi capolavori non andrebbero neanche accostati all’odioso e per forza ricercato termine CONTEMPORANEO!!!!!!!!! basta con ste porcate,alcune cose sono nate per rimanere immutate e venerate per cio’ che sono!!!!!!altro che muro del pianto,se sputavano sul palco facevano bene!
“immutate e venerate per ciò che sono”… che infinita tristezza, siamo ancora al principio di autorità.
e infatti perchè non avete fischiato allora? che ipocrisia
Chiara lascia perdere, non capiscono.
grazie del sostegno! mi sa che hai proprio ragione!
http://youtu.be/dNWq2nEkNhc
se non vi è piaciuta la versione MODERNA…..questa è la versione CLASSICA……considerato che il regista è GIOVANE, avrà voluto SMODERNIZZARE L’OPERA…..non è sempre FACILE……
http://youtu.be/aT26iu8t3hs
non è più l’epoca dei grandi allestimenti…..ora occorre accontentarsi…..considerato che tagliano OVUNQUE…..VI è IL RISCHIO che non vi sarà neanche più L’OPERA tra qualche ANNO