di Marco Ricci
Con il termine delirio si indica una varietà di stati mentali in cui percezione e cognizione appaiono significativamente compromesse. Ne esistono varietà per tutti i gusti. Dal delirio di onnipotenza a quello di persecuzione, passando per il delirio religioso a quello di gelosia, tutti stati mentali piuttosto preoccupanti. Nel delirio, infatti, un elemento di realtà (conscio o inconscio) si espande a tal punto da prendere il sopravvento sulla realtà stessa: siamo insomma alla psicosi, patologia considerata fino alla prima metà del novecento sostanzialmente incurabile. Le malattie psichiatriche oltretutto, così come la maggior parte delle malattie, si evolvono con i tempi. Alcune scompaiono, altre vengono sostituite, altre si trasformano e, come esiste un filo invisibile che lega l’ottocentesca isteria all’anoressia moderna, ho il sospetto che Macerata sia preda di una nuova forma di delirio. Ossia di una via di mezzo tra il delirio di onnipotenza e il delirio di identità: il delirio culturale.
I primi sintomi di questa nuova malattia collettiva sono apparsi con l’uso spropositato della parola eccellenza riferita ad aspetti o attività della nostra città. Secondo il vocabolario Treccani l’eccellenza dovrebbe indicare la qualità di chi o di ciò che è eccellente: eccellenza d’ingegno; raggiungere l’eccellenza nell’arte (cioè il grado più alto, la perfezione), ma per l’evidente progresso della malattia a Macerata oramai tutto è eccellente. L’Università di Macerata – con tutti i suoi scheletri negli armadi, parlare con un docente per credere – è così passata da essere una (siamo generosi) discreta Università di media grandezza ad un’eccellenza. Eccellente ci raccontano sia anche la nostra sanità (ARGHH!!!), come un’eccellenza sarà addirittura il nuovo polo natatorio ed eccellenti sono il nostro centro storico, gli impianti sportivi, lo Sferisterio e tutte le nostre attività culturali. Insomma, a Macerata non esiste più nulla che sia, non dico così così, ma semplicemente normale.
A questo delirio di onnipotenza si aggiunge al nostro vecchio delirio di identità, popolarmente espresso con il detto Macerata granne, che ci ha posto (nel nostro immaginario) sempre un paio di gradini sopra il circondario. Così, mentre Civitanova Marche guadagnava abitanti, redditto, attività commerciali e cominciava una minima politica di riqualificazione urbana, Macerata granne perdeva abitanti, reddito, si imbracava in un’espansione urbanistica politicamente inquietante ed esteticamente oscena, ma rimaneva sempre Macerata granne, come se per diritto divino agli altri toccasse faticare e a noi no. E, mentre pomposamente si tuonava che un capoluogo di provincia di tal rango non può rimanere senza un Palazzetto dello Sport alla nostra altezza, senza un auditorium alla nostra altezza e senza una galleria alla nostra altezza e via dicendo, zitti zitti i centri storici dei paesi vicini venivano tirati a lucido, da Tolentino a Treia. E non voglio essere provocatorio nell’affermare che adesso, in tutta la Provincia, il nostro centro storico sia uno dei più malridotti insieme a quelli di Serrapetrona e di Statte. Girare per credere.
Sotto sotto però la realtà, questa guastafeste, prima o poi emerge. A qualcuno sarà disgraziatamente capitato di inciampare su una buca di Corso Matteotti o di sollevare lo sguardo verso un rudere del centro storico, a qualcun altro di fare disgraziatamente un giro in centro verso le dieci di mattina, ad un altro invece di passare qualche settimana all’ospedale cittadino. Ma invece di vedere la realtà per quello che è, cioè una cittadina di provincia che inizia ad avere seri problemi di reddito, di sviluppo, di servizi, Macerata si è chiusa in questo nuovo delirio che risolve d’emblée sia il problema della sua identità che la sua atavica mania di grandezza: il delirio culturale appunto, riassunto nella pomposa (e presuntuosissima) espressione Atene delle Marche, con buona pace di Socrate e Platone che, essendo veri saggi, ci perdoneranno l’involontario e offensivo paragone.
Passo dopo passo, come tutte le malattie non curate, il delirio ha fatto il suo corso. Così da Atene delle Marche ci siamo trasformati oramai nell’Atene d’Europa, ambendo (solo?) a diventare per un anno Capitale Europea della Cultura. Immagino che il passaggio successivo riguarderà le Nazioni Unite e l’Unesco e avrà probabilmente a che fare con Macerata Patrimonio Mondiale dell’Umanità o qualcosa del genere. Ma per adesso fermiamoci qui. All’Europa. In fin dei conti obiettivo niente male considerando che né Hitler né Napoleone sono mai riusciti a conquistarla. Non abbiamo cannoni ma, mi si obietterà, abbiamo un Padre Matteo Ricci che né Hitler né Napoleone potevano vantare.
Questo è vero, ma anche Padre Matteo Ricci, disgraziatamente, è entrato a far parte del delirio divenendone un tassello inamovibile, tanto da farcelo quasi sentire come uno di noi, qualcosa tipo il vicino di casa con la macchina appena un po’ più grande della nostra, macchina a cui abbiamo tutto il sacro diritto di aspirare. La verità, quella vera, è che nella sua eccellenza, un’eccellenza vera, Padre Matteo Ricci fu assolutamente differente da noi tipici maceratesi. Se osservassimo la figura del gesuita maceratese da questa prospettiva faremmo sia un atto di onestà e allo stesso tempo potremmo umilmente imparare qualcosa dalla sua figura assolutamente fuori dalla norma. Innanzitutto egli non si beò in panciolle della sua onnisciente cultura che spaziava dagli Elementi di Euclide alla teologia. Egli applicò la conoscenza acquisita con anni faticosissimi di studio per un fine chiaro e preciso: la conversione dei cinesi. E mise in pratica la sua conoscenza disegnando mappamondi, costruendo orologi solari, traducendo in cinese opere di Euclide, di Cicerone, disquisendo con successo, grazie alle sue doti e alla cultura, con i più grandi intellettuali cinesi dell’epoca. Non entrò a Pechino perché proveniente da Macerata granne o dall’Italia, entrò a Pechino con sforzi e fatica, con inossidabile temperamento ed inossidabile fiducia nella sua missione. E ci entrò con il tempo, migliorando progressivamente la sua cultura e acquisendo con il tempo, il tempo di una vita, l’autorità per farlo. Acquisì autorità, non visse di auctoritas altrui come noi pretendiamo di fare anche sulle sue spalle.
Ora, qualcuno mi spieghi per quale motivo particolare un tedesco (in sandali e braghe corte) debba preferire Macerata e le sue attività culturali ad esempio a quelle di Assisi, Pisa, Roma, Ferrara, Bologna, Ancona, Urbino, Milano e di un altro centinaio di posti qualsiasi sparsi per l’Italia. Oppure domandiamoci, senza scomodare popoli lontani, tranne che per lo Sferisterio quanti anconetani, ascolani, settempedani o fanesi giungono abitualmente qui attratti dalle nostre eccellenze culturali? E da Treia? Quanti autobus giungono da Treia per il cineforum nel cortile (afosissimo) della mestica, per il festival Licenze Poetiche o per ArteMigrante? E per le case di terra di Ficana? Gli stranieri vengono abitualmente qui per i prestigiosissimi convegni che ospitiamo? Per le nostre innumerevoli case editrici, agenzie fotografiche o per i nostri Centri Studi, per i nostri filosofi, per i nostri intellettuali o per le nostre compagnie teatrali? Ok, abbiamo un teatro. Un bel teatro, ma solo nelle Marche ce ne sono quasi un centinaio. Abbiamo un’Università. In Italia ce ne sono altre 62. Palazzo Buonaccorsi? E’ di prestigio, ma solo nelle Marche esistono almeno un altro paio di dozzine di palazzi ugualmente belli. Ma siamo davvero sicuri che l’offerta culturale di Ancona o di Pesaro, solo per fare un esempio, siano così inferiori alla nostra? Come si fa ad affermare una cosa del genere? Su quali basi? Unicamente per lo Sferisterio e per un format, Musicultura, che oggi c’è e domani chissà dove finisce?
Insomma, ciò che offriamo è sufficiente per immaginare una candidatura (costosa) di Macerata a Capitale Europea della Cultura o questo non è altro che l’ennesimo sprofondo in cui siamo caduti nel tentativo di aggrapparci a qualcosa, ignorando la gravità della situazione e la perdita di identità della città? Francamente, per l’estrema serietà e pomposità con cui ci viviamo noi maceratesi, ho il sospetto che stiamo delirando e anche alla grande. Sognare, mi si obietterà, non costa nulla. Ma quando a sognare (o a delirare) sono gli amministratori, la faccenda comincia a preoccuparmi e anche molto. Con il mito di Macerata granne, con questa inflazione di eccellenza, negli anni passati ci siamo cotti a fuoco lento e continuiamo lentamente a cuocerci. Ieri abbiamo perso qualcosa, l’altro ieri qualcosa d’altro, un poco alla volta, grado dopo grado, qui finisce che ci ritroviamo bolliti senza neppure accorgercene e senza aver mai preso seri provvedimenti.
Puntare sulla cultura, certamente, può essere una scelta magari anche vincente. Questo credo sia il senso dell’intervento dell’amico Bruno Mandrelli (leggi l’articolo) a cui non è sfuggito però, da uomo intelligente quale egli è, quanto una candidatura del genere sia velleitaria. Allora, invece di sognare paradisi lontani e inafferrabili, perché non cominciamo a mettere in discussione quello che stiamo facendo al fine, passo dopo passo, di migliorare? Perché non cominciamo con misure di dumping fiscale per attrarre aziende e capitali che operano nel mondo della cultura invece di perseguire con sovvenzioni a pioggia, programmi centralistici e inutili convegni che ripetono da dieci anni la stessa filastrocca? Perché, invece di ricoprirci di eccellenze, non osserviamo in maniera critica le nostre normalità, con tutti i loro pregi ma anche i loro tanti difetti, al fine di migliorarle e di renderle più adeguate? Perché non creiamo delle infrastrutture culturali che consentano alla cultura di emergere e di farsi anche impresa? Perché non la smettiamo di scegliere le figure guida anche della cultura in base alle appartenenze politiche?
Non saranno parole come eccellenza, distretto culturale evoluto (evoluto da cosa?), ad abbassare la temperatura della pentola. Per abbassare il fornello ci sarà bisogno di umiltà, di lavoro serio, di obiettivi precisi perseguiti passo dopo passo senza continue contraddizioni, avendo la tenacia di Padre Matteo Ricci ma sopratutto l’umiltà dei cinesi che, considerandosi nel cinquecento il centro del mondo, decisero un bel giorno di imparare da chi veniva da fuori. Apriamo gli occhi e smettiamo di delirare. Viviamo in una città in cui non c’è ancora una biblioteca per bambini, dove Romano Dezi manda avanti con la sua passione il Museo di Scienze Naturali ricevendo si è no mille euro l’anno dall’amministrazione comunale e dove non esiste neppure uno straccio di sito internet dedicato agli eventi culturali, dove l’eleganza del Campo dei Pini è stata massacrata da un’orribile cancellata in ferro, dove il paesaggio rispetto al mattone viene considerato meno di niente. Una città dove ancora non esiste una sala convegni decente, dove l’Università è un mondo a sé con le sue logiche criptiche, autoreferenziali e spesso poco onorevoli, una cittadina in cui agli appuntamenti culturali partecipa sempre il medesimo sottoinsieme di massimo cento persone appartenenti ad un altro sottoinsieme di mille cittadini, una cittadina dove infiliamo nello stesso calderone Padre Matteo Ricci, la sagra della papera, quella dei bovini marchigiani e le infinite notti bianche del consumismo.
Anche questa è la realtà. Una realtà con cui dovremmo fare i conti, quella parte di realtà che il delirio culturale in cui siamo tragicamente caduti preferisce appunto costantemente ignorare.
***
P. S. Questo mio intervento ovviamente non è legato alle proposte e alle persone da me molto stimate quali Giancarlo Liuti e il professor Francesco Adornato, quanto vuole essere una riflessione su un atteggiamento tipico di Macerata che rischia di essere controproducente e pericoloso.
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Macerata de li vrugnulù’
MACERATA, che nòme! Che slargata
de còre a numinalla! Su la vocca
te pare dòrge a dilla: te travocca
la passcio’ dell’ànema veata!
MACERATA, città più ricercata
de Londra e de Parigi, è tanda còcca
e la jende che ‘rriga o che cce ‘bbòcca
se tròa più che condenda e ‘ccommedata!
Non penzi per magnà’ perché ci-aimo
certe vrugne più grosse de ‘n castellu:
con una ce pranzimo e ce cenimo.
Anzi tand’anni fa ce satì un tale
che co’ ‘n òssu de vrugna menzanéllu
ce pòrze mette su un cunfiscionale!
E lo tar quale,
ché co’ lo ligno jé ce ‘vvanzò
ce fece quattro sédie e un credenzò’!
(Ademaro al secolo Mario Affede)
Ci sono momenti in cui, leggendo un articolo o un libro, o sentendo una canzone, dici: cacchio, avrei voluto scriverlo io…..questa è una di quelle occasioni. Grazie Marco, condivido sillaba dopo sillaba.
Straordinario articolo. Macerata non ha i minimi requisiti per partecipare ad una selezione del genere e soprattutto non ha il dono del “saper accogliere”.
Chi propone queste cose dovrebbe mettersi nei panni di un turista che vuol venire a visitare la Capitale Europea della Cultura (ahahahaha!!) e non trova alloggi perchè le strutture ricettive sono pochissime.
Ho l’impressione che chi ha queste idee non abbia mai viaggiato e non si renda conto che Macerata ha una sola cosa migliore di tante altre città del mondo: il paesaggio. Quello stesso paesaggio che i nostri amministratori corrotti ed incompetenti stanno distruggendo (vedi Valleverde).
Bravo Marco Ricci!
è proprio vero quello che dici!
Speriamo che il tuo articolo serva a tutti (in particolare ai nostri amministratori) per non fantasticare e tornare con i piedi per terra .
Qui serve pensare di fare concretamente le cose normali , che per l’insipienza di tutti, oramai sono cosi’ rarefatte da divenire indispensabili.
Eccellente analisi! 😀
battute a parte condivido anche io ogni singola sillaba, un’ottima (e anche concreta!) riflessione costruttiva.
Articolo condividibilissimo riga per riga, che spero faccia tramontare definitivamente le velleità maceratesi.
L’udienza è tolta,
AMEN
Caro Marco, su alcune cose non sono del tutto d’accordo, su tante altre si e comunque il tuo intervento è davvero interessante e simpaticissimo. Quindi, tanto per venirti dietro e precisando che si tratta di una battuta: sai mai che puntando ad un titolo europeo mettiamo a posto (manutenzione evoluta) un paio di strade cittadine?
sig. Ricci non la conosco personalmente tuttavia vorrei testimoniarle la mia riconoscenza per la sua cruda, lucidissima ed esaustiva analisi. Ciò che sconforta è la certezza che le sue parole sono voce di uno che grida nel deserto. Nella Città di Maria (non a caso Giovanni Paolo II ammoniva che cotanta definizione bisogna essere certi di meritarla) i moti di rinnovamento e libero pensiero vengono soffocati dalla neanche tanto sottile arroganza di taluni sedicenti amministratori. L’umiltà ormai non è più considerata una virtù ma un segno di debolezza.
Macerata probabilmente non conoscerà mai una evoluzione né tanto meno una rivoluzione culturale e sociale, semplicemente perché mancano i protagonisti storici di sempre cioè i giovani, che ora ignorano e si disinteressano completamente di ciò che avviene intorno a loro, del futuro di povertà e abominio che gli stanno confezionando.
Forse molti, giovani e non, cominceranno a realizzare solo quando la situazione economica sarà talmente compromessa da svegliare anche i più dormienti ed egoisti (Grecia docet).
Le critiche di Marco Ricci sono giuste e costruttive e spero facciano riflettere gli amministratori che invece faranno finta di niente!! C’è un aspetto però che vorrei sottolineare e che riguarda proprio questo dibattito molto interessante (come in diverse altre volte) che stiamo leggendo in questi giorni con interventi di grandi firme come Liuti, Mandrelli e Ricci stesso!!! Questo così come tutti i commenti denota un grande fermento culturale!! Il problema però sta sempre in chi amministra che non riesce ad aprirsi alla città!!
Non sono per niente d’accordo.
Condivido al 99,99%.
Una delle analisi più lucide mai apparse su Cronache Maceratesi.
@ bruno mandrelli
..quindi, tanto per venirle dietro e precisando che si tratta di una battuta: sai mai che puntando ad un titolo europeo..troviamo le risorse per fare ciò che le vostre giunte non hanno fatto in 17 anni…?
Mi collego tre o quattro volte al giorno al sito di CM per leggere in tempo reale le notizie di cronaca della mia città. Nonostante ciò evito sempre di commentare gli articoli preferendo limitarmi a leggere i commenti degli altri (spesso interessantissimi). Non potevo esimermi però, stavolta, di congratularmi con l’autore di questo componimento. Ne farei un manifesto o una lettera aperta da inviare in ogni casa. Possibile che ci sia ancora gente che non capisca in che condizioni questa città sia ridotta? Eccellenza? Ma di cosa parliamo? Guardate che non voglio provocare gratuitamente… Riflettiamoci vi prego… Provo tanta rabbia. Giro per i paesi limitrofi e non ne ho trovato uno messo peggio di Macerata (sotto tutti i punti di vista). Lasciamo stare Civitanova che sta anni luce da noi… ma gli altri? Ogni paese ha un centro storico-gioiello (da Montelupone a Treia, da Montecassiano a Belforte) solo Macerata cade a pezzi. Culturalmente? Solo 4 esempi… i primi che mi vengono in mente: MONTE SAN GIUSTO con il Clown Festival ha richiamato trentamila persone, TOLENTINO il cui festival dell’umorismo è unico nel suo genere, SAN SEVERINO MARCHE che con l’evento di musica Blues ha portato in Italia artisti di fama mondiale, TREIA che con la disfida del bracciale richiama più persone dello Sferisterio… E Macerata? A parte la stagione lirica che solo quest’anno, perché finalmente svecchiata, ha avuto un incremento di partecipanti cosa offre? Il barattolo… La festa delle casette, quella dell’ascensione (fortuna le parrocchie!)? Ma apriamoli questi occhi… O altro che provincia… Dovrebbero toglierci anche il Comune… Scusate lo sfogo.
A saperlo che bastava lo dicessi tu per essere credibili e avere una serie di riscontri, ti avrei convocato già dieci anni fa, quando la china cominciò pericolosamente a piegare verso il basso.
Tuttavia, caro Marco, non mi darei troppo pensiero dei turisti che sbagliando strada (navigatore fuori uso? Autista del pullman ubriaco?) piovono a Macerata: se dotati di buoni strumenti culturali, non subiscono lo choc anafilattico delle “nostre” porcheriòle. Se totalmente digiuni, si sentono a casa.
Mi viene sulla testa un piccolo aneddoto che ben si accosta al tuo bell’articolo: si racconta che Urbino è una città di genii: infatti, l’80% dei docenti universitari di quella città proviene proprio da là. Una città di eccellenze…
Non accade più o meno la stessa cosa anche qui, in altri settori culturali che non quelli dello studio e della ricerca? Roba da far invidia alla Firenze medievale: altro che Dante, Petrarca, Boccaccio e gli stilnovisti!…
Complimenti per l’articolo che condivido al 100×100. Del resto questo “delirio” si era già’ manifestato ca.10 anni fa’ con i cartelli posti agli ingressi della città’ indicanti Macerata “città della pace” senza che questo appellativo avesse un minimo di substrato di iniziative, dibattiti, convegni ecc. ma soltanto adesioni a iniziative e proclami fatti da altri. Purtroppo e sottolineo purtroppo restiamo ancora la capitale de “li vrugnulu'”.
Intervento eccellente questo di Marco Ricci. Aggiettivo in questo caso niente affatto abusato.
La candidatura di Macerata a capitale europea della cultura è costosa. Questo è il punto. Costosa per le tasche dei cittadini.
Scommetto che se così non fosse nessuno l’avrebbe considerata “utile” nonostante la sua evidente velleitarietà.
Ma utile per chi, verrebbe da chiedersi. Per la città o per alcuni maceratesi?
Due equivoci da superare: 1) la vittoria non viene decretata sulla base del patrimonio storico-artistico esistente ma sulla originalità del progetto in gara, in rapporto alla sostenibilità economica dell’investimento finanziario messo in campo per attuarlo. Si può perdere con 100milioni e vincere con due. 2) Il progetto e la candidatura non costa nulla e non aggiudicarsi il concorso potrebbe portare benefici non ancora percepiti.
Facciamo un esempio (il più banale): “Teatro a cielo aperto, cielo del Celeste Impero”. Il programma prevede l’allestimento di manifestazioni e spettacoli sotto le stelle con lo sguardo all’oriente. I finanziamenti vengono ripartiti tra enti locali e sponsor con una dotazione di yuan di origine pechinese dove verranno esportate alcune rappresentazioni. L’accordo di programma prevede che nell’ipotesi (scontata) di non aggiudicazione il progetto venga comunque attuato in misura più modesta. Vale la pena flagellarsi per così poco?
La differenza tra l’altezzosa arroganza e la lungimiranza e’ pari a quella tra il bifolco e l’agricoltore.
Se non costa nulla, chi vuole faccia.
Sarà senz’altro un benemerito e avrà, per quel che conta, anche il mio plauso.
Ammetto di essere rimasto destabilizzato da un analisi così perfetta, attenta ed imparziale. Cio he mi ha sconvolto, non è l’analisi in se, ma il fatto che ad averla partorita sia un maceratese.
Mio malgrado sono costretto molto fuori da macerata, e queste cose mi vengono ripetute ogni qual volta dico di essere maceratese (ultima ma non ultima, ieri a foligno), ma a macerata tutti, da sempre, difendono l’indifendibile.
I miei complimenti per lo scritto ed i miei ringraziamenti per averlo voluto pubblicato.
Ciò, tuttavia, è soltanto una mia opinione.
Non avendo trovato in fondo all’articolo il link mi piace, lo dico espressamente ! Analisi straordinaria, complimenti, per quello che conta tutta la mia condivisione!!!
Se continua così Macerata diventerà “Eccellenza del crimine e della lootta antifascista”.
Alle parole di Marco Ricci, che sottoscrivo al 100% da (ex) maceratese trasferitosi ben 8 anni fa a Civitanova Marche (quindi atipico….), aggiungo solo la constatazione di quanto Macerata diventi sempre più inaccessibile di giorno in giorno: un po’ come il “salotto buono” che negli anni ’50 veniva tenuto rigorosamente sempre chiuso ed alla fine stava lì solo a prendere la polvere e le ragnatele …. e se magari andavi a guardare, dentro c’erano solo i mobili da quattro soldi del “buffet” e del “controbuffet” che tanto andavano di moda all’epoca ma non valevano nulla.
Ma come può essere la città della cultura dove ancora si lotta tra disperati e poveri contro gli stranieri dove ancora in razzismo e nazismo la fanno da padroni dove la violenza e prima della ragione cosa si vuole imparare ad altri? Forse alcune nazioni sono più civili di noi e forse meno corrotte. MA come si fa a credere ad una cosa cosi?
Mi unisco con convinzione ai tanti plausi per l’ottimo e brillante articolo dell’amico Marco. Voglio soltanto sottolineare un aspetto della sua riflessione che ritengo fondamentale. Il concetto di cultura nel terzo millennio va declinato a 360 gradi; non basta avere un bel teatro, una biblioteca ricca di libri o una buona università per potersi dichiarare una città di cultura o, meglio, una città che sa promuovere cultura. Oggi serve una visione strategica che sappia mettere a sistema tutta una serie di valori e risorse già esistenti investendo nella loro valorizzazione e promozione attraverso programmi coerenti e credibili capaci di ampliarne e moltiplicarne le potenzialità. C’è tutto questo a Macerata o almeno è nei pensieri della comunità maceratese? Da anconetano non so dirlo.. Ma di certo nonc’è neppure all’orizzonte di Ancona… e qui non concordo sulla benevola citazione della dorica da parte dell’autore che pone il capoluogo di regione a fianco di città come Bologna, Ferrara ecc…
Articolo ovviamente condivisibile. Ricci tuttavia non riesce a sprovincializzarsi, chiedendo scusa ai vari Liuti e Adornato, e riservando un tributo a Mandrelli. Il cerchiobottismo nuoce alla polemica. Va inoltre aggiunto che a Macerata esistono davvero eccellenze culturali, che tuttavia sono poco considerate, e anche in questo articolo non sembrano prese in considerazione.
@ rpiccia
Ad Ancona non c’è mai stata una cultura della condivisione in questi ambiti. Lamentava la situazione già il grande Scataglini, senza peraltro riuscire mai ad invertire la rotta, nonostante una militanza meritoria per quella città ed oltre.
A Macerata, invece, ci sarebbe: il problema è semmai quello del livellamento al basso. Per Macerata andrebbe bene quello che affermava Salvatore Quasimodo in risposta alle domande di Ferdinando Camon nel libro “Il mestiere di poeta” (che, come sappiamo non è un mestiere): nonostante le molteplici esperienze artistico-culturali (dovute ad un attivissimo associazionismo in primis, ma non solo, ovviamente…), a farla da padroni sono sempre i soliti noti: per cause non qualitative quanto piuttosto amical-politiche. Questa scissura sempre più marcata (e qui vengo alla citazione da Quasimodo) non può che nuocere – e gravemente – all’identità di “città della cultura” che taluni vorrebbero come biglietto da visita nel mondo (sic…) per Macerata.
Ovviamente, chi ha esportato il nome della nostra città fuori dai suoi confini per meriti personali acquisiti sul campo, continua ad esportarvelo senza bisogno di etichette, biglietti da visita, progetti e strategie. Che alla fine si rivelano troppo spesso un imbarazzante bluff, di portata sociologica e politica; estetica in nessun modo.
All’uopo servirebbero amministratori illuminati e colti (e all’orizzonte se ne vedono proprio pochini…), o quanto meno intellettualmente onesti (e di questi se ne vedono ancora meno…).
Che fare? Tentare di resistere nell’esistere. Oppure cambiare Comune esportando, sia pure di pochi chilometri, arte e cultura più di quanto non siano in grado di fare proclami e progetti altisonanti che tuttavia lasciano il tempo che trovano (fatta eccezione per chi ne fruisce, soprattutto a livello di finanziamenti).
E intanto c’è gente che non arriva alla fine del mese…