di Fabrizio Cambriani
Lunedì 8 giugno, san Vittorino vescovo. La notizia del giorno avrebbe dovuto essere la ritrovata unità del centrosinistra sulla candidatura di Maurizio Mangialardi. Poi, e volgendo lo sguardo dall’altra parte dello schieramento politico, la segnalazione di un tutti contro tutti, giocato tra i soliti veti incrociati, unitamente a una strumentale e dilatoria ricerca di candidature alternative a quella di Acquaroli. Qualcuno, sempre nello schieramento di centrosinistra, avrebbe potuto pure approfittare delle contraddittorie allocuzioni di Salvini che, nel suo breve tour marchigiano, ha visitato luoghi e proposto facilissime soluzioni. Peraltro, da lui medesimo mai praticate, quando avrebbe avuto l’opportunità di farlo. Cioè, quando era ministro e pur anche vicepresidente del consiglio.
Ma poiché Giove toglie il senno a quelli che hanno deciso di perdere, dal cilindro della maggioranza regionale è saltata fuori la proposta di modifica della legge elettorale. Con l’istituzione del ballottaggio. Proposta, sia detto per dovere di cronaca, già bocciata circa otto mesi fa dall’assemblea legislativa. Sottoscrittori i due consiglieri di Uniti per le Marche: Moreno Pieroni e Boris Rapa. Un vero e proprio blitz che si propone di sconvolgere, dalle fondamenta, tutto il sistema elettivo regionale fin qui conosciuto, dal Tatarellum in poi. Ciò, nel più imbarazzante silenzio del partito Democratico che tra le sue file annovera anche qualche ammiccamento all’iniziativa. In regime di prorogatio degli organismi regionali, dovuto all’emergenza coronavirus.
L’unico che pubblicamente ne ha preso le distanze è stato il consigliere regionale Gianluca Busilacchi, di Articolo Uno: “non si cambiano le regole del gioco all’ultima curva rischiando così di fare leggi “ad personam”, che mi trovano e troveranno sempre contrario. Allo stesso modo anticipo fin d’ora la mia contrarietà alla introduzione del ballottaggio ora, a coalizioni già composte”. Detto molto in prosa si tratterebbe di una porcata inaudita. Perché si fonderebbe sulla scia di un evento micidiale e straordinario – come l’epidemia – che conta, almeno in regione, quasi mille vittime. Un lugubre danzar con los muertos finalizzato a portare a casa – secondo i loro progetti – il risultato elettorale migliore. Ma anche un’iniziativa che, in punto di diritto, presenta dubbi di legittimità. Al punto due dell’articolo 29 dello statuto regionale è scritto che nel caso di regime di prorogatio “il Consiglio esercita poteri limitati agli atti indifferibili e urgenti: a partire dal quarantacinquesimo giorno antecedenti alla data della elezioni conseguenti alla scadenza naturale della legislatura”. E la scadenza naturale di questa legislatura era prevista nella prima settimana di giugno. Comunque sia, un’interpretazione aperta che verosimilmente si potrebbe tradurre in materia di disputa attraverso ricorsi e carte da bollo.
Dal punto di vista politico si tratta di un suicidio. Intanto perché rivelatrice di tutta la debolezza dell’attuale maggioranza che, ormai in difficoltà, si affida al disperato tentativo di cambiare le carte in tavola. Confidando in una silenziosa confluenza di voti, al secondo turno, da parte del Movimento 5 Stelle. In proposito, il loro candidato presidente, Gianni Mercorelli, ha in un primo momento dichiarato alla stampa che, in caso di ballottaggio e se fossero accolte tutte le proposte sulla riorganizzazione sanitaria, sarebbe difficile per loro dire di no all’alleanza. In seguito, ha tenuto a precisare che mai e poi mai si sarebbe giunti a un accordo con il centrosinistra. Della serie: la porta è chiusa, ma le chiavi sono sotto lo stuoino. Di un compromesso se ne può anche parlare. Beninteso, solo al secondo turno. Si tratterebbe, in sostanza di una saldatura tra due debolezze strutturali. La prima riguarda l’intero centrosinistra che ormai prosciugato di voti e incapace di esprimere idee forti per rifondare l’intero sistema regionale, vuole restare a tutti i costi aggrappato alla plancia di comando solo per distribuire – come al solito – incarichi e prebende. La seconda attiene alla supposta purezza e integrità morale dei pentastellati che, pur di non assumersi nessuna responsabilità nella scelta diretta dei governi regionali, si affida a una sorta di desistenza da applicare al secondo turno. Un punto di partenza evidente a tutti, ma gravido di insidie e di rischi tattici. E già, perché solo di mera tattica si sta sopravvivendo. Quella che decisamente manca è la strategia.
A meno di tre mesi dalle elezioni non c’è uno straccio di idea forte. Nessuna indicazione su come si voglia affrontare la rifondazione dell’intero modello regionale. Se è vero che il sistema economico, fin qui conosciuto, si è rivelato fragilissimo, occorre pensarne e realizzarne un altro che punti a una reindustrializzazione verde, accompagnata da una rilocalizzazione delle attività umane. Ma soprattutto occorre abbandonare per sempre l’ideologia dello smantellamento del servizio sanitario pubblico che si è rivelata un’ideologia che uccide. Se agli uomini e alle donne del Pd resta un residuo barlume di visione politica, prendano immediatamente le distanze da questa ripugnante maialata. Mai essa dovrà approdare in aula. Piuttosto, si concentrino nel realizzare un serio e approfondito programma di ripartenza per l’intero territorio. Quanto al Movimento 5 Stelle, che la smettano nell’ostinarsi nel presentare sé stessi puri sì come angeli e assumano una decisione chiara e definitiva. Il tempo degli ammiccamenti, delle strizzate d’occhio sottobanco, del “toccami Cecco che mamma non vede” è ampiamente scaduto. Un accordo programmatico non si fa sulla base del sistema elettorale. Si fa inserendo i propri contenuti. Alla luce del sole. Assumendosene ogni responsabilità davanti al proprio elettorato. E non confondendolo.
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Ho già detto che cambiare in corsa la legge elettorale verso il doppio turno è una porcata, e va bene. Ma perché fare un commento verso una sola parte? La proposta viene da due civici organici alla maggioranza. Il perché è chiaro. Nessuno vuole metterci la faccia, soprattutto l’opposizione, ma farebbe comodo a tutti. Anche alle anime belle del centrodx, che in pubblico tuonano contro il colpo di mano mentre in privato (in commissione) trattano l’accordo. Anche agli stessi 5* non andrebbe male un doppio turno. Ma allora, se per un motivo o per un altro va bene a tutti, o c’è l’unanimità o non se ne fa nulla. 😉
C’è da considerare che i tre partiti di destra, potrebbero andare per conto proprio visto che il Partito Civico sembra volersi allargare e scendere in campo, da non confondere con campagna visto che ècomposto da 40 sindaci ed industrialotti. Quindi la Meloni va da sola con Acquaroli, Salvini va da solo( poco je rmasto, oramai Zaia gli dorme appollaiato sulla spalliera del letto)con Ciarapica e il Partito Civico fa il suo ingresso nella politica, quella che vuol ” contare” con Ciarapica che non è il gemello ma sempre lo stesso del quale tutti i civici dicono un gran bene senza spiegare un solo motivo a parte un patetico “sa unire “. Infatti credo che sia più unita la minoranza , anzi le minoranze che ha all’interno della sua maggioranza della minoranza eletta. Per Salvini, che non ha ancora capito le velleità del Partito Civico con cui poi dovrà fare i conti pure lui, oramai con la faccia sempre più gonfia, la testa ovattata, il sorriso decadente, i selfie rimembrativi e l’eloquio che sproloquia alla fin fine tirerà avanti, come Renzi, che finché gli dura….. ma pure per lui come diceva Pitagora: “i numeri sono la sola cosa che non inganna, ed in cui risiede la verità “dovrà scontrarsi anzi dovranno cozzare ambedue. Dice bene Concetti, farebbe comodo a tutti, certo nelle peggiori delle ipotesi che poi sono sempre quelle su cui si sorreggono le nostre e non so perché “ amate”… istituzioni.
L’unica vera idea forte che ha il PD, e che costantemente mette in campo a tutti i livelli, è la continuazione della gestione del potere, ad ogni costo, anche a costo di buttare alle ortiche ogni briciolo di coerenza.
Ricordiamoci che a livello nazionale, meno di un anno fa la direzione nazionale del PD, con decine di interventi e conclusioni unanimi, urlate anche a brutto muso, decise che mai e poi mai il partito si sarebbe alleato con i 5S, visti come il male assoluto, per poi, dopo qualche giorno, allearsi proprio con i 5S (naturalmente per “spirito di servizio” e per salvare il paese dal male ancora più assoluto).
Quelli del PD parleranno contro la “maialata” (che a loro non dispiacerebbe affatto) solo tra qualche giorno, quando capiranno che non ha la minima possibilità di passare. Allora saranno quelli che grideranno più forte di tutti che la democrazia ha le sue regole, che non si cambiano le regole del gioco mentre si è in corsa, e così via cianciando.
Una confluenza in un eventuale ballottaggio,se non vuole ridursi ad una pura e semplice operazione di potere,dovrebbe trovare un suo dignitoso presupposto in una sintesi di programmi compatibili.
E se tali fossero,elemento che non può emergere in 15 giorni,ma che dovrebbe preesistere,non capirei perchè non hanno potuto esser idonei a determinare una coalizione di partenza con la quale presentarsi alle elezioni senza alcun bisogno di alchimie regolamentari.
L’amara conclusione cui pervengo è che,purtroppo,la politica,anche in questo delicatissimo periodo,non sa volare alto,bloccata da mire e spinte personali della grande maggioranza di quanti vi si dedicano,ed è pure facile capirne i motivi.
Un andazzo inaudito che ha fatto a pezzi la buona politica, addirittura in nome dello svecchiamento.