Giorni fa la cronaca si è occupata di due episodi che hanno entrambi riguardato le api, uno accaduto in zona Vergini di Macerata e l’altro sulla spiaggia di Porto Recanati. Li riassumo. Una mattina, al risveglio, l’apicoltore Marco Baiocco ha scoperto che la sua “corte abitativa apearia” composta da arnie ospitanti ben cinquanta “famiglie” era stata nottetempo distrutta da ignoti malviventi e le api, a decine di migliaia, erano in parte fuggite e in parte defunte (leggi l’articolo). Una mascalzonata, questa, che, non sappiamo se commessa per vandalismo, dispetto o vendetta, ha molto colpito l’opinione pubblica, e non soltanto per solidarietà verso il danneggiato ma anche per un moto di affetto – posso dirlo? – nei confronti di quegli animaletti, così innocenti e così indifesi. I lettori di Cm e i loro commenti , tutti indignati, sono stati numerosissimi, quasi da record per un fatto di cronaca.
Il secondo episodio si è verificato in riva al mare, a Porto Recanati, quando uno sciame composto da migliaia di api provenienti da chissà dove si è posato sugli ombrelloni e ha fatto scappar via i bagnanti di questo inizio d’estate che stavano prendendo la tintarella e tutto si sarebbero aspettati, magari eritemi solari da raggi UV, ma non il rischio di finire sotto i pungiglioni delle api (leggi l’articolo).
Il problema si è poi risolto con l’intervento di esperti che sono riusciti a catturare lo sciame e portarlo in un alveare della vicina campagna. E pure di questo i giornali han dato notizia pure anche con immagini suscitando un’eco assai vasta.
Io non sapevo nulla di api, se non che ci forniscono il miele. Per cui, incuriosito, mi sono documentato su qualche libro e ho imparato storie che per certi aspetti sembrano fiabe, storie che provo a raccontare con parole non propriamente scientifiche. All’origine di ogni “famiglia” di api, dunque, c’è un’Ape Regina che durante un cosiddetto “volo nuziale” viene fecondata da Fuchi, maschi di ape (poveri Fuchi, temerari per amore come talvolta capita agli uomini, tant’è che il delirio dell’amplesso li conduce presto a morire!). Dopodiché l’Ape Regina genera un’infinità di uova – addirittura trecento al giorno e per buona parte dell’anno – che poi diventano api sterili e senza scettro, le cosiddette Api Operaie. E perché “operaie”? Perché la loro esistenza non prevede poteri di comandoe ma unicamente il dovere di lavorare. E difatti lavorano come pazze: vanno in giro a raccogliere nettare dai fiori, nutrono l’Ape Regina, puliscono l’alveare, lo ventilano, fabbricano le cellette, producono il miele, lo immagazzinano, fanno le guardiane e, quando occorre, son pronte a combattere contro gli intrusi. La “corte” del signor Baiocco aveva diverse Api Regine e una sterminata popolazione di Api Operaie. Adesso non più. Un brutto finale. Lo sciame di Porto Recanati, invece, si è salvato. Non si sa se avesse un’Ape Regina, ma se non ce l’aveva gliel’hanno procurata. E queste Api Operaie sono già indefessamente al lavoro in qualche arnia rimediata per loro. Lieto fine.
E qui torno al miele, che per millenni è stato l’unico dolcificante a disposizione degli esseri umani di gran parte del mondo (la canna da zucchero ci fu portata sul finire del Quattrocento da Cristoforo Colombo e lo zucchero da barbabietola è ancora più tardo, primi decenni dell’Ottocento). Fin dalla remota preistoria, dunque, il lavoro delle Api Operaie fu, per i nostri progenitori (forse anche Adamo ed Eva), una ragione di vita. Ed ecco perché questi piccoli insetti diedero luogo a metafore che li elevarono ai vertici dell’immaginario poetico e religioso come simbolo di operosità, laboriosità, disciplina, esecuzione di volontà divine. In tal senso li celebrarono gli antichi egizi, gli antichi greci, gli antichi romani (Cicerone, Ovidio, Virgilio), i profeti del Vecchio Testamento, i santi del Nuovo e sommi vati (Dante li paragonò alle anime degli angeli). E in tal senso figurarono negli stemmi araldici di grandi dinastie nobiliari (i Barberini, per citarne una) e ancor oggi i n quelli di alcune logge massoniche per indicare l’attiva solerzia di tutti i Fratelli.
Consentitemi allora di attribuire, da visionario, un significato metaforico anche ai due episodi della nostra cronaca odierna. A che cosa può rimandare, immaginariamente, la distruzione degli alveari in zona Vergini? E a che cosa l’arrivo di quello sciame sugli ombrelloni di Porto Recanati? Nel primo caso il pensiero mi corre alla crisi economica che sta colpendo gran parte dell’Occidente e soprattutto l’Italia. L’autore del misfatto è certo una persona reale, in carne e ossa, ma fatalmente simboleggia qualcosa di molto più grande di lui, cioè la crisi economica, la distruzione del lavoro, la disoccupazione, la miseria e, come a volte accade, la morte per disperazione. E Porto Recanati? Sappiamo dov’è giunto quello sciame di api ma non sappiamo da dove. Sbarcato forse da un peschereccio proveniente dalla Libia, con a bordo Api Operaie siriane, eritree, sudanesi? L’immaginazione galoppa e mi conduce, metaforicamente, al dramma degli immigrati. Chissà che quelle Api Operaie non simboleggino le tante migliaia di persone disperate che arrivano sulle nostre coste a bordo di malmessi natanti guidati da scafisti. E chissà che il loro salvataggio non faccia pensare, sempre simbolicamente, ai duri risvolti dell’operazione Mare Nostrum.
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Gentile dott. Liuti, volevo aggiungere un elemento di speranza! Fu proprio il socio fondatore del Glomere Marco Baiocco a suggerire il nome Glomere all’associazione culturale che costituimmo nel 2000. Il Glomere e’ infatti un agglomerato di api che in inverno si mettono insieme per difendersi dal freddo e proprio pensando alle caratteristiche delle api, da lei stesso citate, pensammo di istituire il premio Glomere. Un premio destinato a quei maceratesi che possano quindi costituire un esempio da imitare.
Si parla sempre ma di fatto si fa quello che si e fatto sempre senza speranza. Le parole anche ben messe, ben usate e distorte e come gli argomenti, un bel frullato, ma di fatto nulla di nuovo, i premi ai già premiati, tutto molto bello ma i conti non tornano, per cambiare ci vuole il cambiamento vero che nasca dal basso e non dall’alto di chi ha rovinato e continua a rovinare per i propri interessi e posizioni politiche, ma la cosa più grave e l’arroganza di avere la cultura solo per la posizione che si ha nella vita sociale, che poi quanto conta questa cultura e conoscenza, dove la maggior parte sono corrotti, e mangiano tutti sullo stesso piatto, c’è chi vive in mezzo alla strada con la famiglia e si aiuta chi non si conosce per dividersi i profitti, chi ha sbagliato, chi ha il potere per farlo e non fa nulla, solo i propri interessi, molto triste un umanità ridotta allo sfinimento le api non moriranno perché qualcuno rovina i nidi ma moriranno da sole. E i premi spero che li diano a chi lotta per vivere alla gente che fa un paese e non ha chi ha contribuito con la sua corruzione e distruggere l’umanità. Il mio augurio è che le api operai diventino regine e capiscano che non sono state solo fatte per essere sfruttate ma possono anche cambiare la storia e magari sognare. E finisca QUESTO ABUSO DI POTERE SOLO PER SOTTOMETTERE LE PERSONE!
Molto potente l’articolo di Liuti, con i suoi paragoni. Non entro nel merito degli alveari distrutti. Non sono un esperto, ma chi lo ha fatto doveva conoscere le api e deve aver preso gli opportuni provvedimenti contro l’attacco-difesa delle api. Un gesto criminale, comunque, da biasimare e da colpire.
La cattura delle api di Porto Recanati mi fanno pensare invece ad un finale diverso da quello pensato da Liuti. Catturando l’alveare e portandolo di nuovo nel suo ambiente naturale mi suggerisce l’idea di raccogliere gli immigrati e di riportarli a casa loro… Ma, cosa troveranno di nuovo a casa? La situazione dalla quale sono partiti, pagando dai 3 ai 5 mila dollari: fame, carestia, mancanza di lavoro, violenza dittatoriale, sopruso, guerra, latrocinio e criminalità da parte di governi fantoccio, tenuti in piedi dalle potenze occidentali e orientali (leggi USA, Gran Bretagna, Francia… Cina, eccetera) per lo sfruttamento di quelle popolazioni e ricchezze. Quando sarà che i politici dicano a voce alta questa realtà? Quando sarà che il Papa denunci, scomunichi, e condanni all’inferno un ladro criminale cattolico, come Mugabe, che ha reso un deserto infernale una zona d’Africa, la quale, quando era Rhodesia del Sud, era definita il giardino dell’Africa, creato dai colonialisti bianchi rhodesiani, dove i colonizzati neri erano nutriti e difesi?.
@…
Peccato che qualcuno paga. E a pagare sono gli Italiani…
Le api fanno il miele, gli uomini no ma ad essere mielosi ci riescono.
Però Giorgi almeno ha parlato male del Pres. Monti quando dice:.”.l’autore del misfatto è certo una persona reale, in carne ed ossa, ma fatalmente simboleggia qualcosa di molto più grande di lui, cioè la crisi economica, la distruzione del lavoro, la disoccupazione, la miseria e, come a volta accade, la morte per disperazione”. E’ passaggio molto lucido ed importante che non va sottovalutato.