Don Nazzareno Marconi
“Sarò vescovo, ma rimarrò parroco”

L'INTERVISTA - Il nuovo pastore della diocesi di Macerata-Recanati-Tolentino-Cingoli-Treia si racconta in vista dell'insediamento del 27 luglio. "Ho una malattia cronica dall'infanzia, la fede. La mia prima chiesa era un garage". Si ispira agli insegnamenti dello zio Edoardo. Dalle sue parole emergono umiltà e anche ironia: "Quando vado a confessarmi e dico di essere interista il frate mi dice che ho già fatto la penitenza"

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Don Nazzareno Marconi è il nuovo vescovo della diocesi di Macerata, Recanati, Tolentino, Cingoli e Treia

Don Nazzareno Marconi è il nuovo vescovo della diocesi di Macerata, Recanati, Tolentino, Cingoli e Treia

 

di Alessandra Pierini

Monsignor Nazzareno Marconi, vescovo eletto della diocesi di Macerata- Tolentino- Recanati – Cingoli – Treia è ancora un parroco e, dopo averlo sentito parlare di sé e delle sue esperienze, si ha la quasi certezza che resterà parroco anche dopo il 27 luglio, quando inizierà la sua nuova avventura. «Vi chiedo di potermi firmare ancora per questa volta don Nazzareno Marconi»: aveva concluso così la lettera inviata per salutare i maceratesi quando è stato dato l’annuncio del suo arrivo (leggi l’articolo). Il sospetto, dopo aver sentito i suoi racconti dai quali trapela rara umiltà, ben diversa dalla più diffusa e spesso falsa modestia, è che quel “don” non sia un titolo acquisito con la consacrazione a Dio ma piuttosto un modo di essere, un qualcosa di scritto nel dna, che difficilmente il titolo di monsignore e il ruolo di vescovo  riusciranno a rimuovere.
Raggiungiamo telefonicamente don Marconi mentre è virtualmente a Macerata, sta infatti seguendo online il convegno pastorale. Nell’aula sinodale della Domus San Giuliano, a Macerata è in corso un momento di preghiera, seguito da alcune testimonianze e dall’intervento di monsignor Claudio Giuliodori. Dopo aver parlato con noi tornerà a fare il parroco.

Don Nazzareno, è già a Macerata in qualche modo…
«Non esageriamo, diciamo che ci sono con un pezzettino di cuore».

C’è grande attesa per il suo arrivo nella Diocesi, intanto ci racconti qualcosa di lei.
«Diciamo che una vita di 56 anni messa in un po’ di colonne in un giornale fa molto effetto ma in realtà è una vita normalissima».

Iniziamo dalla sua vocazione, quando è arrivata?
«Eh – sospira e poi inizia un dettagliato e coinvolgente racconto – vengo da una famiglia molto credente e da un’infanzia segnata dalla perdita di papà quando avevo 4 anni e mezzo. Avevo due fratelli più piccoli, uno aveva 40 giorni quando mio padre morì improvvisamente. Avevo anche una grande mamma di 26 anni che con l’aiuto di mia nonna, allora rimasta vedova da poco,  ci ha allevato con la vicinanza di uno zio che era un sacerdote. Ho quindi avuto la vicinanza di un gran prete fin da piccolo. Questo mi ha donato molto al punto che quando da bambino alla fine delle medie c’erano altri ragazzi che andavano in seminario, ho detto che volevo andare anche io. Mia mamma e mio zio hanno detto no. Spiegarono che era una scelta che dovevo fare da adulto e non condizionato. Ho vissuto la mia vita con tutti gli altri ragazzi, prendendo qualche bello scappelotto da nonna quando ne combinavo qualcuna delle mie. Era un generale tedesco, doveva esserlo per tenere in riga tre nipoti vivaci. Poi il paese in cui vicevamo, Citerna ci ha adottato. Ho vissuto la mia infanzia in casa mia e in casa di molta altra gente, degli abitanti del paese. Questo mi ha creato un carattere aperto con tanti amici. Alla fine del liceo si è rifatto vivo il discorso della vocazione anche perché durante il liceo mi ero impegnato a livello politico e sociale. Sono sempre stato piuttosto controcorrente. Erano tutti atei e di sinistra e io mi sono messo a fare il centrista cattolico e qualche volta parlare in pubblico, in assemblea  davanti a tutto il liceo era tutt’altro che semplice».

nuovo vescovo marconi 0Poi cosa è successo?
«C’è stato l’incontro con monsignor Cesare Pagani. Aveva un gran rapporto con alcuni di noi ragazzi, ci faceva da padre spirituale. La mia vocazione si può riassumere in 3 gennaio 1977 ore 11, ufficio del Vescovo. Con lui avevamo affrontato varie volte questo discorso. Io gli dissi: «Ora che sono fidanzato, ho un lavoro e va tutto bene, non mi sembra il caso». Lui mi ha risposto: «Ho capito, non hai il coraggio». E io: «Certo che ho il coraggio». Il Vescovo mi spronò: «Allora dimostramelo e parti». A quel punto risposi: «Lei crede che io abbia paura? Parto».  Così sono partito. Dopo 20 minuti mi stavo già mordendo le mani. Insomma – scherza – è stato un atto di tigna».

Quindi ha anche lasciato una fidanzata?
«Anche quella fu un’esperienza importante. Chi non ha mai amato fa fatica a voler bene al Signore. Per voler bene a Dio bisogna saper amare».

Poi cosa è successo?
«Il vescovo mi disse che Assisi, dove avevamo il seminario, era troppo vicina e che dovevo fare uno stacco. Mi ha mandato a Roma. Sono partito a settembre e tornato a Natale. Non avevo ancora fatto il servizio militare e stavo preparando le pratiche per l’obiezione di coscienza ed ero in linea con questo. E’ stato divertente quando sono arrivato a Roma perché venivo da un ambiente in cui secondo me ero di centrosinistra ma rispetto a quello che trovai a Roma ero di estrema sinistra. Rimasero molto sorpresi quando mi videro arrivare con l’eskimo e la sciarpa rossa. Non ero l’ideale di prete che si aspettavano loro. Durante l’estate il xescovo mi ha mandato a studiare le lingue all’estero, così ho dovuto anche rinunciare alle vacanze. Sono stato in Francia, in Inghilterra e in Germania».

Quindi conosce tutte queste lingue?
«No, studiare le lingue è cosa ben diversa dal conoscerle. In compenso mi piace la birra, conosco il fish e chips e amo i formaggi francesi».

Una volta diventato prete, cosa ha fatto?
«Ho passato tre anni al seminario romano come educatore. Poi sono tornato in diocesi a fare il vice parroco, al confine con Arezzo, a Cospaia, che è stata per anni una libera repubblica. La mia prima chiesa fu un garage. Bello no?».

Come, un garage?
«Ero in una zona nuova della città e la chiesa era lontanissima quindi abbiamo affittato un garage».

Guarda il video con le reazioni dei maceratesi alla nomina di monsignor Nazzareno Marconi

Guarda il video con le reazioni dei maceratesi alla nomina di monsignor Nazzareno Marconi

Possiamo rassicurarla, nella diocesi di Macerata, troverà molte chiese, anche molto belle.
«Sì, lo so, ma anche lì era molto bello perchè c’erano tanti giovani e famiglie che si stavano formando. Il Signore mi ha sempre voluto bene e mi ha fatto lavorare dove c’era entusiasmo. Poi il vescovo mi ha rimandato a fare il parroco a Citerna. Lì è stato molto impegnativo: dove ti conoscono da bambino, sanno tutte le tue marachelle, ad esempio il contadino all’ingresso del paese dove rubavamo meloni. E’ stata una scuola di umiltà dove ho imparato ad essere vero».

Il vescovo era ancora monsignor Pagani?
«No, monsignor Pagani è morto d’infarto. E’ morto primo facendo il vescovo con tutto il cuore, secondo perché quando lo ricoverarono chiese di non mettere in allarme tutto l’ospedale. E volle in andare in corsia come tutti gli altri. A noi ragazzi di Pagani un bel po’ di difetti ce li ha attaccati».

Torniamo alla sua storia, cosa successe ancora?
«Ancora una volta il vescovo mi ha chiamato e mi ha detto:“I vescovi dell’Umbria hanno bisogno di te». Risposi: “Non mi mettete in ufficio”. Mi disse che serviva un rettore al seminario di Assisi. Io insegnavo da anni nell’università del seminario quindi conoscevo molti seminaristi. Quando mi hanno visto arrivare alla messa, non avevano dato molta importanza alla mia presenza ma quando fu annunciato che sarei stato il nuovo rettore rimasero molto sorpresi. Ho fatto il rettore per 9 anni, due mandati. Ho dovuto reimparare tutto, la mia esperienza era stat in un seminario romano negli anni 70, operare in un seminario in Umbria negli anni 2000 è stata tutta un’altra cosa. Danni troppo grossi non ne ho fatti. Finito il mio lavoro, ho chiesto “Fatemi tornare a fare il prete perchè se il prete si allontana dalla parrocchia fa teoria. Ai ragazzi non posso insegnare la teoria. Il vescovo mi disse “Non ho posti da parroco ma solo da vice parroco”. Ho risposto subito: “preso”. Così sono diventato vice parroco a Città di Castello, vice parroco di un parroco con cui siamo molto amici, lui sta male. Quindi io ho potuto dare sostegno ad un amico e in due lavoravamo bene. Pensavo di essere riuscito a rimanere vice parroco e invece…».

Don Nazzareno Marconi

Don Nazzareno Marconi

Invece sarà vescovo. Come pensa che sarà questa esperienza?
«In spagnolo si dice Quién sabe? Chi lo sa? Lo sa il Signore. Io ho una malattia cronica dall’infanzia, la fede. E’ una malattia che aiuta ad affrontare le cose con grande carica. Ho anche provato a perderla, verso i 18 anni ma non c’è verso».

Macerata la conosce già…
«Conosco monsignor Giuliodori dai tempi di Roma. Quando è arrivato a Macerata , siccome avevamo già collaborato per la pastorale familiare, quando c’era il progetto degli incontri con le famiglie, mi ha chiesto di coinvolgermi. Abbiamo portato avanti questo percorso. Venivo una volta ogni due o tre mesi, ho guidato gli esercizi per i preti e gli incontri con le famiglie a Frontignano. Sono un preto girandolone. Fatico a stare senza far niente».

Pensa che sarà un’esperienza impegnativa?
«Non ci sono guai a Macerata. E poi non è che un vescovo deve fare tutto. A me piace molto l’immagine del mosaico. In un mosaico è importante che ogni tessera sia al suo posto e faccia la sua parte e i mosaici più belli sono quelli in cui le tessere sono più piccole».

Il sindaco di Macerata Romano Carancini ha molto apprezzato la metafora calcistica del capitano che lei ha usato per presentarsi e si è proposto come secondo capitano per affiancarla alla guida dello spirito laico.
«Il 98% degli italiani usa metafore calcistiche e poi io ho anche una passione per una squadra, ma è meglio che non dica qual è».

Non ci lasci nel dubbio…
«
Da bambino uno di quelli che mi ha allevato era tifoso appassionato di Sandro Mazzola, quindi sono cresciuto a pane e Inter. Di solito quando vado a confessarmi e dico di essere interista il frate mi dice che ho già fatto la penitenza».

E al sindaco di Macerata cosa risponde?
«Due capitani? Credo che bisogna rispettare i ruoli che ciascuno ha cercando di trovare gli spazi di dialogo e confronto. Me lo ha insegnato l’esperienza al liceo dove politicamente ci scontravamo con passione, però sapevamo sempre ricordare che la persona vale più delle sue idee».

Sappiamo che tra i suoi hobby c’è la moto..
«Avrò poco tempo per dedicarmi agli hobby, sono cosciente che fare il vescovo è una responsabilità seria».

Quale sarà la prima cosa che farà dopo il suo insediamento il 27 luglio?
La prima cosa che voglio fare è capire e ascoltare. I gesuiti, da cui provengo, ti insegnano che devi studiare seriamente per fare qualsiasi lavoro. Non credo ad una pastorale che progetta le cose in astratto e poi arriva a realizzarle, non credo alle cose progettate a Roma e realizzate a Macerata.  Lo Spirito Santo non è stato in ferie negli ultimi duemila anni, quindi devo venire a vedere cosa ha fatto a Macerata».

A chi si ispirerà per fare il vescovo?
«Ho incontrato tante persone straordinarie nella mia vita. La grande figura era il cardinal Martini, quando ero in seminario come papa c’era Giovanni Paolo II, il papa della mia adolescenza era Paolo VI. Una persona che mi è rimasto nel cuore è Frére Roger,  monaco protestante. La persona che più mi ha segnato è stato il mio parroco, don Edoardo Marconi, mio zio, l’ultima cosa che mi ha insegnato è stata con il suo testamento al quale ha allegato una lettera nella quale ha chiesto ai vertici della Chiesa di poter rinunciare dopo la morte ai suoi titoli. “Non ho paura di fare il vescovo e di farlo come l’ho fatto – ha scritto –  vorrei conservare la semplicità e la libertà di don Edoardo”. Risposero che non era una richiesta molto frequente ma che viste le motivazioni lo avrebbero concesso e negli elenchi figura semplicemente come don Edoardo Marconi».

 



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