C’era anche un maceratese
70 anni fa al D-Day

VIDEO INTERVISTA - Espulso con il padre Giovanni dal regime fascista, Ferruccio Giglio si arruolò con gli anglo-canadesi e fu l'unico italiano a partecipare allo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944. Rinunciò alla pensione di guerra. Il ricordo del figlio Dick: "Non uccise nessuno, a salvarlo era stata la lucidità e l'estremo raziocinio dovuto al suo 'mestiere' di architetto"

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Sullo sfondo Ferruccio Giglio, in primo piano Richard (Dick) Giglio (Clicca sull’immagine per guardare la video intervista)

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Foto d’epoca dello sbarco in Normandia

 

di Maurizio Verdenelli

Era un cittadino del mondo, l’unico italiano che 70 anni fa partecipò allo sbarco in Normandia. Una volta congedato, tuttavia, quell’italiano aveva scelto di essere per amore della moglie Matilde (lei, sì, maceratese doc) un maceratese. Sino alla fine della vita, il 15 maggio 1994 alla vigilia del 50. anniversario del D-Day. Era piuttosto riservato, non chiese neppure la pensione di guerra che gli sarebbe stata riconosciuta di diritto, non la raccontava ‘in giro’  quella sua ‘esperienza’ unica testimoniata dalla carta d’imbarco firmata dal generale Eisenhower tanto che suo figlio Stefano (dei quattro l’unico nato a Macerata nel ’48) potè facilmente smentire un grande giornalista italiano, Gianni Riotta che sul Corriere della Sera aveva scritto che nessun italiano aveva preso parte alla battaglia iscritta a ragione tra i più grandi eventi degli ultimi 100 anni della storia della libertà.

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Sullo sfondo la carta di imbarco di Ferruccio Giglio

Ed anche lui, come il soldato Ryan del film di Spielberg, venne salvato da una seconda micidiale invasione: quella del Giappone. Dall’India dov’era stato trasferito, fu rimpatriato e congedato in Inghilterra. L’operazione finale di attacco sul suolo del terzo alleato ‘d’acciaio’ era stata annullata: nell’attesa che le navi si staccassero dai moli indiani, l’atomica aveva atterrato per sempre l’Impero del Sol Levante. Per Ferruccio Giglio, classe 1914, caporale del Genio della Divisione anglo-canadese, al centro dello schieramento d’attacco sulle spiagge di Normandia, era l’addio alle armi. A salvarlo, mentre intorno a lui era caduto l’80% dei suoi compagni, era stata la lucidità (neppure un filo d’alcol a differenza degli altri) e l’estremo raziocinio che doveva al suo ‘mestiere’ di architetto, laurea che aveva conseguito a Bruxelles. Aveva percorso i campi più minati della seconda guerra mondiale, aperto varchi, costruito strade, sminato (ci ha detto il figlio Dick) senza sparare mai un colpo, senza uccidere, vedendo però la morte a tu per tu negli occhi dei ragazzi soldati mandati al fronte da Hitler e pure in una Berlino distrutta ma piena di cecchini minorenni appostati nelle ‘orbite’ vuote dei palazzi semidistrutti, racconterà Ferruccio ai figli.

giglio-1Un soldato pacifista, anzi un soldato Ryan molto socialista che il mondo, l’Italia e Macerata hanno dimenticato. Neppure una medaglia di buon servizio per il caporale Ferruccio. Ma lui, il ‘professor Giglio’ (a Macerata ha insegnato Inglese in un istituto tecnico, la laurea belga non valeva per la professione libera) di questo non ebbe mai a lamentarsi. Mai chiesto nulla per sé o la sua famiglia. Bastava così. E’ stato per anni segretario della sezione del Psi ‘Antolise’, in vicolo Santafiora vicino casa sua in via Garibaldi, senza mai pretendere un incarico pubblico che gli sarebbe di certo spettato. Stessa tempra del padre Giovanni, nato a Malta, antifascista e redattore de L’Avanti che riuscì a svignarsela beffando fascisti ed agenti della Questura romana venuti a sequestrare il giornale, e a correre a Montecitorio per avvertire Giacomo Matteotti di quello che era successo. In tempo perché il deputato inserisse il fatto nel suo famoso discorso che gli sarebbe costato la vita. Per Giglio ci fu un decreto d’espulsione, poi un altro. Non era un tipo da perdersi d’animo: andò a battere i pugni anche sul tavolo di Galeazzo Ciano. “Mio nonno voleva continuare e fare il giornalista in Italia” ricorda Riccardo ‘Dick’ Giglio “Era un combattente, considerava quelli che erano i ‘martiri’ socialisti dell’antifascismo a cominciare da Pertini…dei pantofolai!”.

giglio 1Quando sbarcò su Courselles sur Mer, 25 km a sud di Caen, all’alba del 6 giugno ’44, il caporale Giglio aveva 30 anni: era nato a Palermo nel 1914, aveva studiato a Roma, Nizza, Parigi, si era laureato e sposato a Bruxelles, era diventato padre a Londra che considerava la sua seconda patria. Che, un anno prima di morire, aveva voluto rivedere in un viaggio della memoria. “Tornandone un po’ deluso” ricorda Dick “L’Inghilterra che lui ricordava, del ballo, del divertimento, dell’ardimento, in quell’aria di libertà che la rendevano irresistibile rispetto alla cupa oppressione fascista, si era un po’ perduta nella memoria e nel mito dell’antico esule”. E Stefano, professore universitario a Perugia: “Mio padre amava profondamente la vita, i sentimenti, i momenti felici che la danza, lui gran ballerino, poteva dargli e la politica. Ed era un grande sportivo: attaccante, ha giocato nelle giovanili della Lazio, del Nizza ed è stato nazionale nella squadra italiana di Hockey a rotelle”. Dick: “La sua riservatezza di tipico stampo inglese arrivava fino al punto di non usufruire dell’ingresso gratis alla stadio, di cui pure aveva diritto come ex azzurro”. A Macerata arrivò nel 1947, da Londra e si trovò bene. Gran ballerino, il numero uno alle serate ‘che contavano’ della Filarmonica, un gran fisico messo in mostra dallo smoking, quattro figli, tutti socialisti come lui: una grande famiglia interamente a sinistra. “O meglio centrosinistra, con un occhio alle istanze liberali, di fervente fede craxiana. Non commentò, amareggiato, Mani Pulite: un caso scoppiato due anni prima della sua morte” secondo i figli. Un caro collega, Mario Battistini (già de ‘Il Resto del Carlino”) ha scritto qualche anno fa su queste colonne (leggi l’articolo), ricordando il professor Giglio: “Ci si incontrava quasi ogni giorno in via Garibaldi, dove lui abitava con la famiglia, e ogni volta ascoltavo con interesse le sue analisi critiche sulle vicende politiche maceratesi  e nazionali. Si definiva socialista liberale, diffidava dei demagoghi e dei populisti e aveva in forte antipatia tutti gli ‘antifascisti in pantofole o da caffè’ che dopo la guerra ‘si diedero da fare per raccogliere premi e onorificenze'”.

d day 2Quando 70 anni fa sbarcò in Normandia, il caporale Giglio aveva lasciato a Londra Matilde e tre figli piccoli. Carlo (Charles, nato in Belgio) di 4 anni, Giovanni (John Freddy nato a Oabdy), 2 anni e Riccardo (Richard Michael, alias Dick nato a Hinckley) di un anno. “Stefano, il pistacoppo, sarebbe nato a Macerata” dice Dick, ridendo per il soprannome che davano al fratello minore, l’italiano di Macerata, la città del buen retiro. Una famiglia già numerosa per affidarsi al whisky, al bourbon e al …poker sulla nave dell’immensa flotta sulla quale erano imbarcati 175mila uomini, il più grande esercito mai schierato sul Pianeta.. “Guardi, tuttalpiù mio padre giocava a bridge,di cui sono anch’io un appassionato” dichiara Dick a proposito di un episodio chiave della storia straordinaria del caporale Ferruccio. “Quella notte tra il lunedì 5 giugno e martedì 6 prima dell’ora X del Giorno più Lungo, sulla nave flagellata dalla tempesta, tra noi soldati ‘morituri’ si cominciò a giocare a carte. Ed allora avvenne un fatto straordinario. Fra tutti, io ero l’unico determinato a vincere. Gli altri facevano  di tutto per perdere. Quasi imprecavano se gli capitava la carta buona. All’improvviso compresi: erano superstiziosi. Speravano che di lì a poco, se avessero perduto a carte, avrebbero forse salvato per contrapposizione, la vita. Io mi mantenni lucido, non bevevo e  vincevo le partite… con grande soddisfazione di tutti gli altri. Ma salvai alla fine la vita. Fu davvero un miracolo. Quando arrivò la luce del mattino, mi guardai intorno e rimasi impressionato. Il mare era affollato letteralmente di navi, mezzi anfibi ed imbarcazioni: l’acqua quasi non si scorgeva! Mettemmo piede sulla spiaggia alle 18, nel pomeriggio, accolti dalle bombe degli arei nazisti. Intorno a me ci fu la decimazione: soprattutto per le mine di legno sotto la sabbia che sfuggivano ai metal detector. Fui tra i primi ad attraversare la Senna dopo la sconfitta tedesca in Normandia e a tappe forzzate raggiungemmo Belgio ed Olanda, poi a Berlino. Era trascorso un anno dall’operazione Overlod, dal D-Day”. Chiedo a Dick Giglio: Suo padre tornò mai in Normandia nel corso della sua vita? “Mai più. Aveva chiuso con quei luoghi pieni di orrore, sangue, morti, devastazioni, pieni di ricordi di una guerra orribile.

Era un pacifista che combatteva per la libertà. Suo padre l’aveva fatto in Italia, lui aveva scelto la divisione anglo-canadese e la giornata più gloriosa della storia di Liberazione, lasciando a casa la sua famiglia per rischiare di persona. Un miracolo davvero che si sia salvato”. E voi bambini a Londra? “Ricordo tutto distintamente. Mia madre ci faceva stare sotto il tavolo ognuno con una pentola in testa quando arrivavano sulla città i V2…sento ancora il terribile sibilo e le distruzioni subito dopo nelle orecchie”. Sua madre? “Se n’è andata poco prima, un anno credo rispetto a mio padre , di cui aveva qualche anno di più. Erano legatissimi, non si erano mai perduti di vista per tutta la vita da quando si erano incontrati ed innamorati a Roma in un breve momento di quiete. Poi su e giù per l’Europa, sempre insieme con la famiglia che cresceva laddove si fermavano per un po’. Infine Macerata, la città di lei, che lui scelse per fermarsi per sempre. Per amore. Una famiglia solidissima nonostante che mio padre, un bellissimo uomo, era ammiratissimo dalle donne…”.:

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