Grande cordoglio a Macerata e in tutta la provincia per la scomparsa dell’architetto Gabor Bonifazi, morto questa mattina all’età di 64 anni (leggi l’articolo). Di seguito il ricordo del giornalista Maurizio Verdenelli.
***
di Maurizio Verdenelli
Ricordo due giovani madri, Lucia e Giuliana, ai Giardini Diaz e due bambini piccolissimi, Eva e Benedetto. Oltre trenta anni fa. Ed un giovane cronista che aveva scelto, per suggestioni d’origini e familiari (recanatese la moglie Giuliana) di voler dirigere una redazione al confine del ‘grande impero’ diffusionale de ‘Il Messaggero’. Trovandosi subito a fronteggiare imponenti problemi d’isolamento culturale, politico e di credibilità nei quali si dibatteva la pagina maceratese del quarto giornale d’Italia. Quelle due madri, tra una passeggiata e l’altra, fecero inevitabilmente amicizia. Così conobbi l’architetto Gabor Bonifazi per il tramite della moglie che aveva conosciuto negli anni dell’università a Firenze: la bravissima arch. Lucia Cascini da Chieti. Gabor aveva appena redatto uno dei piani d’arredo urbano -credo fossero dieci- della città: gli era toccata la zona mussoliniana di piazza della Vittoria, da lui ambita essendo fortemente di destra. Bonifazi era sopratutto uno storico. Mi disse: “Come il Bazzani, mi presentai al sindaco dicendo di essere pronto a servire la città dopo aver appreso arte e mestiere fuori da questa”.
A Macerata, che molto ‘gli duoleva’ e che molto amava, non ebbe altri grossi incarichi pubblici. Amava anche scrivere, Gabor, leggere, studiare, apprendere, ricercare. Ed aveva, per questa inclinazione, grandi amici in biblioteca: Marconi e Paci, soprattutto. Con discrezione (perché non si sapesse che lui, di destra, fosse amico di un giornale antifascista) mi andava aprendo ‘chiavi segrete ed insospettabili’ della città. Gente dell’intellighentia ufficiale (lo storico Libero Paci e il critico Elverio Maurizi) e non. Soprattutto porte sempre chiuse per Il Messaggero, fino ad allora. Aprii, grazie a lui, alla chiesa locale tanto che il bollettino del santuario della Misericordia si stupì molto che un giornale laico come quello romano avesse scritto per la prima volta, dopo tanti anni, della tradizionale e popolare Festa delle Canestrelle. Gabor, soprattutto, ‘indusse’ e sollecitò a scrivere chi non l’aveva mai fatto. Fu un grande successo, perché aveva fiuto e sapeva riconoscere chi aveva la stoffa. La rubrica dell’avvocato Magnalbò fu subito un cult cittadino. Non a caso i ‘pezzi’ di Luciano sono andati a costituire il ‘corpus’ dell’ultimo libro di Bonifazi. Che naturalmente firmava anche lui. Trattando storie e persone che lentamente ma potentemente andavano a far parte di una ‘galleria’ umana, fortemente tratteggiata, mai illustrata da una pagina di cronaca locale. Storie e persone non soltanto del capoluogo, dove lui era conosciutissimo, ma pure e soprattutto della costa (l’amatissima Porto Recanati dove trascorreva le ferie estive in alloggi invariabilmente sul lungomare Lepanto) e dell’interno -sopratutto San Severino, dove è morto questa mattina. Autentico talent scout proponeva coinvolgendole ineluttabilmente altre risorse, altre firme da presentare ogni mattina sulla pagina maceratese del giornale romano. Penso sopratutto ad Hermas ‘Masino’ Ercoli. Fu Bonifazi e poi Paci ad indicargli, dopo l’uscita dal Pci e per un tratto dalla politica stessa, la strada delle ‘Historie’. Ricordo la prima conferenza pubblica di Ercoli. A Sarnano arrivammo in auto, io, lui e ‘Masino’ con uno schermo arrotolato ed un video proiettore per una ‘lezione’ nella sala consiliare.
Persona generosa ma che poteva prendere facilmente ‘cappello’ se non si riteneva compreso appieno. Ma è certo che si deve principalmente a lui la nascita di quella ‘scuola siciliana’ che ad un certo punto innervò e potenziò la redazione del Messaggero, affollandola di persone, talenti ed idee. Alcuni nomi? Emanuela Fiorentino, Maria Grazia Capulli, Laura Trovellesi Cesana, Luca Patrassi, Ermanno Calzolaio, Mario Cavallaro, Fulvio Fulvi.
Nascevano intanto i suoi primi fortunati libri da questa vocazione per la storia e dalla sua militanza giornalistica: tanti gli scoop anche nazionali, come quello legato alla messa in suffragio ai nobili martiri della rivoluzione francese officiata da mons. Carboni a Villa Luzi e la controversia tra lo stesso marchese Gianfranco e tre comuni per i piccioni torraioli ‘ladri’ di piselli. Dei libri, tanti, ricordo uno su tutti: “Oh, che bel castello!” scritto con Lucia. Ed anche sulle ville. E sopratutto sulle osterie. Perchè il grande merito di Gabor è stato quello di salvare letteralmente, grazie ad una legge regionale proposta da quello che è stato un suo amico sincero, il consigliere Enzo Marangoni, questa testimonianza di un passato recente. Dal ‘Giardinetto’ di vicolo Costa (che lui ebbe carissimo e che dovrebbe ora intitolarsi nel suo nome per ciò che Gabor seppe fare a favore dell’antico circolo garibaldino) alle osterie di campagna, agli uomini di quei luoghi trascurati dalla cronaca alla storia, ora tutto parla di lui.
Bonifazi si sentiva ancora il goliarda fiorentino che era stato ed ambitissime le feste che organizzava, appoggiandosi presso l’amico Gianfranco Luzi nel cui splendido giardino all’italiana aveva invitato un giorno Vittorio Sgarbi: finì in lite con il marchese che non aveva ben riconosciuto il critico, peraltro all’inizio della sua ascesa alla celebrità. “Bisogna avere la festa dentro, nell’anima” era una sua frase. Tuttavia, qualche volta, si racchiudeva in cupe indignazioni se riteneva ‘non osservato’ il patto di amicizia. A me capitò molte volte. Silenzi, intendo, non parole. Perché amare, lui non l’ebbe con nessuno. Certo, mi avrà tacciato d’infingardaggine (amava molto questa parola) per non aver criticato, come mi chiedeva, la Regione che sembrava ad un certo punto essersi disinteressata alla legge sulla storicizzazione delle osterie, nel cui calderone -lui diceva- rischiavano d’essere inseriti locali che non c’entravano affatto, ‘addirittura anche cartolerie’.
Una foto d’epoca con Gabor Bonifazi (primo sulla sinistra) nel terrazzo del palazzo del Comune di Macerata
Scriveva su Cronache Maceratesi: un suo pezzo sul Giardinetto ebbe un grande successo. Scriveva su tutto, Gabor “perché -diceva- si scrive per non morire”. E i suoi approfondimenti storici erano naturalmente a prova di smentita.
L’ultima volta che l’ho visto, in via Crescimbeni, l’ho riconosciuto dalla voce in quella barella diventata così grande e penosa per lui. Come stai? “Non tanto bene, dicono”. Gli mandai un bacio, credo stupendolo.
E stamani, in auto, Lucia mi fa: “Gabor non c’è più!”.
Lo storico che amava Macerata era morto in esilio volontario scegliendo la città dell’anima che l’aveva accolto ed ancor più riconosciuto: San Severino. Ciao, Gabor. Ti sia lieve la terra, amico mio anche se- e tu lo sapevi- chi scrive in realtà continua a vivere.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Un pezzo veramente bello! Ciao Gabor!!
Uno splendido ricordo, Maurizio. Gabor era proprio così.
Dopo ciò che hai scritto, Maurizio, è difficile dire qualche cosa ancora di Gabor. Lui era proprio come tu lo hai descritto: con i suoi modi a volte rudi, ma sempre franchi, con la sua competente professionalità, con la sua umanità. Con te Gabor se ne va un pezzo di storia di questa Macerata “irriconoscente”
Cari amici
grazie di cuore per i vostri elogi. Temevo che l’emozione mi avesse preso ‘troppo’ (che mi avesse preso, lo sapevo!) la mano. Già, perchè Gabor è stato per tanti anni un mio compagno di viaggio nonostante che non ci legasse nulla. Anzi che ci dividesse il nostro sentire politico. Lui estremsta di destra, io di sinistra avevamo combattuto (nel vero senso della parola) su barricate opposte anche se in regioni diverse. Seppure in Umbria circolasse un libretto (e lui lo teneva religiosamente nella biblioteca di casa) a cura dei movimenti di sinistra che lo dipingesse, al pari di Giulio Conti, come uno dei ‘fascisti’ più pericolosi… ma era a tutti notissimo che Gabor non aveva mai fatto male ad una mosca. Pel suo tramite nel corso del tempo, poi ho ‘ritrovato’ nelle Marche, in esilio spirituale, tanti esponenti della destra perugina (i miei compagni di sinistra, no: erano già tutti nelle aule del potere istituzionale),. Gente che aveva conosciuto anche il carcere come Bobo che si firmava con due ‘ananas’ (bombe) e che poi ad ogni anniversario della sua scomparsa i ‘camerati’ ricordavano a Jesi ritualmente nel corso din un banchetto dove la presenza in spirito di Bobo era segnalata da un fiasco di vino…Con questi uomini della destra, io grazie a Gabor mi sono riappacificato; baci ed abbracci tra gente che qualche anno prima solo se si vedeva faceva a pugni, se non peggio. Invece contava essersi trovati e ricordare la nostra giovinezza e la nostra Umbria. Fascismo ed antifascismo non valevano più nulla.Scoprivamo di volerci bene, di essere amici dopo averci tanto odiati Con Gabor era normale che la magia dell’amicizia facesse capolino ogni volta alldilà di ogni differenza politica e pure sociale. Questo è stato il suo messaggio, in definitiva.
Grazie Maurizio. Non conoscevo purtroppo personalmente l’Architetto, ma, accidenti, mi hai fatto commuovere nel profondo.
Quoto Castiglioni, in toto !!!
http://www.radioerre.net/news/index.php?option=com_content&view=article&id=3927%3Aluciana-lettera-ad-un-amico&catid=104%3Anotizie-generali-recanati&Itemid=32
Innanzitutto condoglianze vere, sentite, profonde alla famiglia e a tutti coloro che lo hanno amato e stimato. Poi complimenti a Maurizio per aver disegnato questo ritratto dalle tinte forti ma vere e, per certi versi, bellissime. Infine alcune considerazioni personali. Ho appena finito di rileggere “L’osteria dei Pettorossi” e, seppur rabbrividendo di tanto in tanto per la ricorrenza dell’espressione “camerata”, non ho potuto fare a meno di apprezzarne l’originalità, la passione, l’amore grandissimo che ha legato Gabor al nostro territorio e alla nostra cultura. Recentemente, in occasione del 25 aprile, ci siamo “spizzicati” proprio su queste pagine ma, come scrive Maurizio, è inevitabile, soprattutto per chi vive le proprie idee con passione e intransigenza. Lui di destra, io antifascista fino al midollo, non posso fare a meno di esprimere un pensiero d’affetto e di stima. La sua scomparsa mi ricorda inevitabilmente quella di un’altra grande persona alla quale ho voluto un bene profondo: Mario Crucianelli. Che questa nostra adorata terra marchigiana ti accolga, caro Gabor, e ti restituisca l’amore che le hai tributato in ogni momento della tua vita.
Un pezzo sentito e vero, caro Maurizio. Chi dall’interno conosceva Gabor e apprezzava la sua scrittura, sa quanto amore e affetto “inseriva” nelle parole, nello stile, con, al fondo, una sorta di malinconico\romantico struggimento per un mondo che va veloce e si frantuma, dalle “belle architetture” alle voci popolari che Gabor, da medium quale era, ha saputo evocare. Rari autori, come lui, sono stati capaci di far “rivivere” per la nostra città la “compresenza” di passato e presente, di Tradizione e possibilità ( difficlile) di futuro.
Te ne sei andato in punta di piedi, così come hai vissuto gli ultimi anni: nessun impegno politico, poco lavoro (la crisi non c’entra), pochissimi amici. La Tua famiglia era il Tuo orgoglio, i Tuoi figli la prosecuzione logica della Tua vita.
Un abbraccio dal compagno Sisetto al camerata Gaborarch.
CM
Per la precisione, nell’ultima foto Gabor è in casa di amici.
lucia, ti sono vicina
Molto bello, caro direttore, come sempre. Gabor Bonifazi non era di quelli che per caso attraversano la vita. E lo fanno con l’uso sapiente del tempo, ne’ in guerra col mondo, ne’ arresi alle piccole cose, come zattere. Gabor praticava la lunga durata, lo scorrere dei giorni con l’inesorabile succedersi del giorno e della notte, dell’inverno e dell’estate, con quel disicanto che solo un’ironia ontologica riduceva al nostro modesto protagonismo. Era un maceratese generoso, senza spocchia e senza riduzionismo dei luoghi della città, interpretando senza esclusioni un luogo-capoluogo, dove gli inutili fricchettoni del biliardo di fulignu non hanno passaporto. Così lontano dalla centralità ottusa di un provincialismo che spacca, di qua la gente del centro e di là quelli contado, Gabor aveva intuito che la ricchezza di un capoluogo d’area vasta aveva la sua ragion d’essere solo nella sintesi degli orizzonti. Quello sibilillo, presso Montecavallo dove ha deciso di interpretare l’ultima sua tappa, a quello del mare senza confini con Porto Recanati. Nel contado prossimo, la fabbrica diffusa che fatica, e pena e s’arrabatta, per la crisi, resta il serbatoio d’omini di lavoro, d’ingegno, di manifattura creativa che mantiene gli accrocchi “sopra la collina” di gente garantita, che rincorre – ma fino a quando? – il 27 del mese. Gabor coi suoi libri, il suo incedere rabdomante, le sue battaglie per castelli ed ostarie, ha raccontato meglio di tanti altri pusillanimi della storia locale, il sostare senza tempo di immobili e insegne, saper fare e pensare senza presunzione che questa terra antica esprime come un soffio d’anima. Per me, in fondo, rappresentava la chiave originale di una sinclinale senza tempo e senza spazio, di simboli modernissimi (ciauscolo e foietta) dando un senso universale allo sbattersi di mia madre e di mio padre, in quella bandiera che è la difesa e valorizzazione di una mezzaluna di terra, a metà strada. L’ho ritrovato ha recuperare il filo del discorso dei miei genitori, ora divisi dalla sostanzialità della morte, uno di qua e uno di là, stemperando quella ingenua presupponenza di viene dalla città quasi sono per discettare. Non basta mediare i riti metropolitani, imparare invano i falsi modi senz’anima che sono poi l’ennesimo tributo alla sopravvivenza di un’economia degli affetti, per cui si misurano le gradazione dell’anima. Gabor devastava questo minuetto, riconduceva alla immediatezza delle sensazioni profonde, scopriva come dietro ogni parapapà c’era una inutile e provvisoria consapevolezza di merito e di mito. Ciao, Gabor, grazie per avermi insegnato, senza salire in cattedra, a non aver paura.
LA SCAMPAGNATA DELLA NOSTRA VITA
Questa mattina davanti alla bellezza sfolgorante della montagna di luglio a Montecavallo ho pensato; “Gabor ci ha costretti a questa ennesima scampagnata, perchè potessimo ammirare la bellezza della ‘sua’, della ‘nostra’ terra, sopratutto quella più recondita”. Luciano (Magnalbò), di cui Eva in chiesa ha letto il brillante epigramma in morte dell’amico, l’avrebbe definita una ‘burla’. Gabor ci avrebbe dunque ‘uccellato’ (lper dirla con lui)? No, l’amico era maledettamente serio. La burla serviva per dare leggerezza, anche se lui l’amava da morire. Così una volta mi portò un articoletto, mirabilmente scritto con una ‘lettera 33’ Olivetti da un avvocato suo amico. Che descriveva un amico comune: il marchese Luzi. Gli dissi subito: Ma questa è una burla! Gianfranco ci fa querela, senza dubbio! ‘Ma nò, a Luciano Magnalbò che l’ha scritta, no di sicuro’ fu la risposta, sicura. Così l’avvocato iniziò la sua ‘avventura’: sembra ancora che fosse quello un pezzo ‘commissionato’ dallo stesso Gabor che come un redattore capo ormai sceglieva temi e ‘scrittori’ senza sbagliare un colpo. A tutto vantaggio, allora, del Messaggero. E ‘scoprì’ così anche Masino Ercoli, direttore artistico di Popsophia che oggi giustamente ha inviato a mass media, regionali ed italiani, il bilancio trionfale della manifestazione a Pesaro (4.000 persone a sera!) frequentata pure da Matteo Renzi. Poi nella stessa mattinata ricevo una telefonata commossa da un amico, Pietro Pistelli: “Devo tutto a Gabor”. Pietro è uno dei massimi storici garibaldini italiani; a Nizza, patria dell’eroe, ha ricevuto qualche giorno fa i massimi riconoscimenti letterari. Il suo libro; ‘Garibaldi nelle Marche’ ha venduto diecimila copie (adesso ne ha scritto un altro). Dice Pietro: “Avevo quel materiale da tanto tempo, fu Gabor a costringermi a scrivere il libro. Io quasi non volevo”.
Già, quelle amicali ‘costrizioni’ di Gabor che ti spronava con una sola occhiata sulla via dell’impegno e dell’amore per questa terra …e tu capivi che lui aveva ragione.
Non ho avuto la fortuna di conoscere Gabor Bonifazi e me ne dolgo. Quello che scriveva e, soprattutto, il ricordo degli amici, mi danno la convinzione che egli rappresentasse il meglio che la nostra terra è in grado di produrre. Negli ultimi anni, almeno a mia memoria, invece è salita sulla ribalta locale una classe dirigente, per lo più, incolta, stracciona ed immemore della sua Storia. Questa “antropologia light” che tanti piccoli ras locali (in politica, nelle istituzioni, nella cultura) ci hanno ammannito come fosse un prodotto da banco di un grande magazzino ha prodotto il disastro che ci circonda. Caro Maurizio Verdenelli le faccio una domanda: quelli come Gabor sono delle rara avis nel nostro panorama locale ed anche se cosi fosse perchè queste voci non sono state aiutate ad esprimersi? Ne avremmo avuto tutti un giovamento!
p.s. @Renato Mattioni. Complimenti per l’intervento. Contiene molti spunti che, se applicati, aiuterebbero la nostra terra e noi stessi a vivere meglio.
Caro Alexis de Tocqueville
risponde da cronista, con due testimonianze. La prima, non in ordine di tempo. Ieri l’amico Mario Monachesi, un poeta vero, mi ha ricordato commosso di aver visto qualche settimana fa Gabor davvero affranto dirgli: “Qui a Macerata non sanno neppure dirmi di che morte devo morire…me ne vado via”. Ed aveva ripreso la consueta strada per San Severino Marche dove è deceduto serenamente all’alba di sabato, il giorno del Signore.
L’altra testimonianza è affidata ad una foto, purtroppo introvabile. La scattò tanti e tanti anni fa Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni, mitico fotoreporter del Messaggero durante una nevicata. C’è Gabor che tira una pallata di neve, con simulata violenza, contro Enrico Panzacchi, potentissimo direttore generale della potentissima Cassa di Risparmio di Macerata, che fa l’atto, come un martire protocristiano, di ricevere con umiltà l’atto di inaudita violenza. Naturalmente il significato della scenetta era tutto da rovesciare.
Così fu la vita di Gabor, tesa a tirare con infinito amore pallate di neve al potere, epifania dell’Altra Macerata, la città dei ‘senza voce’, dei senza rappresentanza, degli eternamente fuori da tutto: dagli intrighi delle lobbies (cui tocca iscriversi e magari attendere pazientemente in sala d’aspetto un paio d’anni…) e dalla spartizione degli incarichi. Alla città di serie B, degli eternamente ultimi resta solo raccomandarsi o incazzarsi, come faceva Gabor.
Ecco perchè sarebbe bello (e spero che Eva, Walter, Enzo Marangoni… e,… Luciano, vuoi esserci anche tu anche se questa non è una ‘burla’?) vogliano promuovere nel ricordo di Gabor un Premio, o qualcos’altro, magari di più creativo e ‘strano’. Tuttavia, mi raccomando, non salite per questo le scale del Palazzo… dove non capirebbero l’avventura di un uomo che diede molto avendo in cambio quasi nulla.
Da Pietro Pistelli riceviamo:
“Ho appreso in ritardo la scomparsa dell’amico Gabor in quanto.ero in Francia e precisamente a Nizza in rappresentanza ufficiale con il console italiano e Anita Garibaldi , ricevuti dal Sindaco in occasione dei festeggiamenti per la ricorrenza della nascita il 4 luglio,dell’illustre Nizzardo Giuseppe Garibaldi.
Se io sono diventato, a detta di molti, un grande esperto di Giuseppe Garibaldi lo devo innanzitutto a Gabor che mi ha dato lo sprone, per la pubblicazione del mio primo libro:Garibaldi nelle Marche che ha avuto un grande successo, tanto da vendere diecimila compie in cinque edizioni.
Mi ricordo nel lontano 1990 quando Gabor ed io ci frequentavamo spesso, in quanto entrambi collaboratori del Messaggero,anche se io a Pesaro e lui a Macerata.
Ma la conoscenza con Gabor risaliva alle nostre scorribande giovanili sui campi in terra battuta dello stadio dei Pini io e lui nel campo di San Francesco dove oggi ci sono le villette dell’Ina casa.
Anzi mi ricordo Marconi al tempo responsabile del CSI, Centro Sportivo Italiano guidato a livello regionale dall’arbitro di calcio a livello internazione Cesare Jonni,che si battè fino allo stremo per far rimanere quel campo a San Francesco dove Gabor, con il suo carattere imperioso, dettava legge.
Certo Gabor non era un uomo facile,ti aggrediva ma scoprivi in lui una umanità, una voglia di aiutarti non comuni,un altruismo che mi aveva conquistato e che voglio ricordarlo non con le solite parole di circostanza, bensi con quelle che ti scaturiscono direttamente dal profondo dell’anima.
Grazie Gabor per gli aiuti che mi hai dato, per quelle ricerche che si sono sviluppate sino alla pubblicazione di altri tre libri e l’ultima pubblicazione, che sto presentando in tutta Italia: I Preti di Garibaldi.
Gabor era anche un garibaldino in quanto si era formato nel circolo del Giardinetto di Vicolo Costa,a Macerata,fondato dai reduci garibaldini della battaglia di Digione in Francia, l’unica vittoria ottenuta da Garibaldi nella guerra del 1870 contro i Prussiani .
Gabor era un assiduo frequentatore del giardinetto dove amava stare con i vecchi maceratesi fonti inesauribili di storie vere che lui tramutava in splendide pubblicazioni
Un personaggio unico che aveva avuto anche una fortuna di aver conosciuto a Firenze Lucia, una ragazza compagna di università, una donna eccezionale che gli ha dato oltre che l’amore anche due figli le sue costellazioni….
Grazie Gabor per la tua amicizia e un saluto, di cuore, alla famiglia”.
Mio padre mi ha chiesto più volte di commentare su Cronache Maceratesi. Ma nonho mai voluto, anche quando avrei desiderato urlare la mia opinione, perché nonavevo voglia di iscrivermi. Oggi ho deciso di farlo perché, anche se è vero chelui detestava i commenti di condoglianze per i defunti soprattutto da parte dicerti politici (diceva: perché non le fanno ai familiari), non ci sono dubbiche questi li avrebbe apprezzati e probabilmente conservati. Vogliorassicurare Alexis De Tocqueville che, anche se non vi conoscevate, mio padrenutriva una sincera simpatia nei suoi confronti per via del quadro e del nomescelto e naturalmente perché reputava i suoi interventi intelligenti.Grazie a Renato Mattioni per aver scritto delle cose così vere e in modo cosìelegante. Mi aveva portato varie volte al museo della Nostra Terra dicendomiche bisogna apprezzare certi mestieri quando sono ancora vivi e non solo quandofiniscono nei musei. Perché in quel momento è già troppo tardi. Con questospirito iniziai a intervistare tutti i vecchietti che venivano al mercato diAscoli a vendere frutta e verdura, ultimi superstiti di una civiltà rurale,disintegrata dalla grande distribuzione e non solo. Anche quando era difficilecapire cosa dicessero. Purtroppo mio padre, a differenza di quanto si è scritto, se ne è andato conl’amarezza di non esser riuscito nel suo intento di salvaguardia delle ultimeosterie perché la Regione, per accontentare tutti, ha aperto anche a farmacie equant’altro. Si prese anche un’ennesima arrabbiatura ultimamente leggendo sul Carlino unarticolo su villa Lauri, copiato per molti tratti dai suoi scritti senza citarela fonte. Ma per citare la fonte bisogna già sapere cosa è una bibliografia ein un mondo di compilatori non è un fatto scontato.Mi ha fatto piacere avere notizie di Pistelli, di cui ricordo il nome evagamente i tratti ma di cui non ricordavo cosa lo legasse a mio padre nei mieiricordi di infanzia.Naturalmente ringrazio te Maurizio (babbo temeva il tuo ‘coccodrillo’) perchéle tue parole ci hanno commosso e anche sorpreso. E’ proprio vero, lui scriveva perché aveva capito che è l’unico modo percontinuare a vivere.