Quando le telecamere se ne vanno

Riflessioni sul triplice suicidio di Civitanova

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laura boccaneradi Laura Boccanera

Ho passato 28 anni in via Indipendenza, è a due passi da Via Calatafimi, quella strada che oggi tutta Italia conosce, ripresa anche dalla Cnn, rigirata come un calzino da tutti i media, assediata per giorni. E in quelle immagini che giravano in tv non la riconoscevo, non era la via che mi ha cresciuto, dove andavo a fare la spesa o a comprare il giornale. E’ un pezzo d’Italia come tante, con le sue storie individuali che toccano una piccola comunità. E che succede se quel brandello di vita straborda e arriva fin negli Stati Uniti? Perchè il dramma di tre persone diventa interesse della politica, delle sorti del Governo? Erano queste le domande che mi facevo mentre lontana da Civitanova per qualche giorno di vacanza non ho avuto l’onere di occuparmi in prima persona del “suicidio di Stato” come l’hanno definito nella sintesi violenta e stridente i media di mezzo mondo.

suicidio_civitanova_0E da lontano non ho voluto commentare nulla, mi sono appositamente tenuta lontana dall’invasione di post su Facebook, tra chi diceva preghiere, chi metteva immagini di lutto, tra gli inni al populismo, mentre in mezzo mondo rimbalzava la notizia, le smentite, le accuse, le strumentalizzazioni, fortissime, di carattere politico. Me ne tenevo lontana e pensavo a due cose principalmente: la prima era che dovevo rimanere in silenzio. Chi sceglie il suicidio fa un atto rumoroso, chi vive, come avevano fatto i miei concittadini fino all’altro giorno invece lo fa in silenzio, sopravvive, con dignità, non chiede, non urla, non strepita, non si fa tinte ai capelli e messe in piega per apparire ai funerali, non parte da Loreto per manifestare in quella che è una celebrazione sacra e urla “omicidio di Stato” pur di attirare per qualche minuto su di sé l’attenzione di trasmissioni sulle reti nazionali (l’ultima lunedì sera a Piazza Pulita) che superficialmente hanno solo bisogno di qualcosa da dare in pasto alla bramosia di voyerismo popolare. La crisi è qui, la vedo ogni giorno negli occhi delle persone che incontro, nelle scelte degli amici che emigrano e abbandonano questo Paese col cuore gonfio, nella sfiducia dei coetanei, nella precarietà dei rapporti umani. Sicuramente la politica può fare molto, ma non perchè tre persone si sono suicidate, non per i morti, ma per i vivi che ancora resistono. E così ho scelto il diritto di rimanere in silenzio di fronte ad un dramma che ha le sue ragioni solo nell’individualità del singolo e che non conosce spiegazione. Quante e quali motivazioni possono celarsi all’interno di un cuore che conosce un coraggio e una disperazione tale? Mi auguro di non saperlo mai.

triplice_suicidioE mentre ero a 600 chilometri di distanza cresceva la rabbia per la strumentalizzazione politica e quindi sociale e quindi collettiva per quello che è un atto unico, privato, intimo e segreto. Poi però viene il dovere e così un altro pensiero si è materializzato nella mia testa. Si chiamava Fausto Castellucci, aveva 55 anni, era civitanovese, sarebbero bastati 300 euro per salvarlo. Si è gettato dal balcone della sua abitazione nel gennaio 2010. Era disoccupato e sfrattato. Vedevo i tre feretri in tv e pensavo a Fausto Castellucci di cui nessuno probabilmente ricorda il nome, la storia, il dramma. La sua vita non è stata scandagliata dai grandi inviati delle testate nazionali, a raccogliere i resti della sua sofferenza ormai senza voce solo i cronisti di provincia. E pensavo: perchè il suo dramma individuale vale meno di tutto il rumore provocato dalla morte di Romeo, Anna Maria e Giuseppe? Mi si obietterà che nell’ultimo drammatico caso i morti sono tre. No, non vale, una vita non si pesa sulla base della quantità. Per me non vale come obiezione. E quindi rimangono le domande. Dove erano i signori che oggi occupano i salotti televisivi per parlare di colpe dello Stato nel 2010? Dove erano coloro che attribuiscono alla politica scelte personali sulle quali nessuno, nessuno può obiettare quando Fausto Castellucci si è buttato dal secondo piano? E soprattutto coloro che oggi urlano e si dimenano pretendendo sostegno e aiuti economici dallo Stato (che tra l’altro da solo è una parola vuota, lo Stato sono io, siete voi, siamo tutti) quanto donano agli altri in termini di tempo, di ascolto e di umanità? la Chiesa era piena, la Piazza era piena, al cimitero in pochissimi. Eppure era un funerale.

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CRITICHE ALL’APPARATO DELLA COMUNICAZIONE e alla gestione mediatica del fatto di cronaca compaiono oggi anche su Il Foglio (leggi l’articolo). La testata nazionale diretta da Giuliano Ferrara con un articolo a tutta pagina dall’eloquente titolo “Grande Fratello esodato” smonta pezzo per pezzo e quotidiano per quotidiano la notizia fasulla della morte di un “esodato” appunto. Un errore dell’Ansa che ha scatenato un terremoto ripreso e amplificato a valanga da tv, giornali nazionali e rimbalzato su tutti i social network. Seppur falso per tutti ormai la tragedia di Civitanova è una conseguenza della legge Fornero. A poco vale che la stampa locale sottolinei che si tratta di un disoccupato ancora senza pensione (come riportato fin dall’inizio anche da Cronache maceratesi). Il Foglio scardina questa impostazione, riporta quasi come una rassegna stampa le dichiarazioni inesatte e imprecise del sistema media per media e parla di una “mostrificazione crisaiola” che ha raccontato il falso a milioni di italiani. Imprecisioni e smentite anche in merito alle contestazioni dei parenti nei confronti del Presidente della Camera Laura Boldrini che hanno costretto l’amministrazione e i familiari ad una smentita ufficiale.

 

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