di Fulvio Ventrone
Quanto sta succedendo in questi giorni in diverse zone della provincia, non è un fatto nuovo, anzi. Normalmente si dà la responsabilità delle esondazioni alle piogge eccezionali, alle opere di difesa attese da anni e mai realizzate, alla mancata rimozione di sedimenti e vegetazione in alveo, rendendo sempre più solida nell’opinione pubblica l’idea che la causa principale di queste tragedie sia da ricondurre ai mancati investimenti in argini, casse d’espansione, briglie, ecc. e all’insufficiente manutenzione dei fiumi (la cosiddetta “pulizia degli alvei”, i cui benefici sono spesso più immaginari che reali). Le risposte sono, invece, nella maggior parte dei casi, altre. Purtroppo la situazione attuale è dovuta in larga parte al fatto che lungo i fiumi ed i canali si è intervenuti e si sta intervenendo troppo e male. Si è sempre permessa l’agricoltura di rapina, che arriva fino ai margini dei corsi d’acqua e da qualche tempo si permette la costruzione di enormi centri commerciali ed aree produttive e/o residenziali, là dove non sarebbe affatto opportuno. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Una volta la gente sapeva che costruire nei pressi di un fiume era pericoloso, ora lo si fa passare per un vantaggio, ma solo fino alla prima esondazione, per poi chiedere i danni o lo stato di calamità naturale, che paghiamo tutti con le tasse.
In Italia, invece di concepire strategie di pianificazione incardinate sul concetto della non occupazione delle aree destinate all’espansione naturale dei corsi d’acqua, la difesa del suolo per troppo tempo è stata basata quasi esclusivamente sulla realizzazione di opere di ingegneria idraulica, disseminando i nostri fiumi di briglie, difese spondali e muri per la “messa in sicurezza”. In molti casi si è trattato di interventi puntuali, privi di una effettiva valutazione della reale efficacia e delle conseguenze a scala di bacino. Il rischio idraulico è stato spesso ridotto localmente, facendolo però aumentare a valle! I canali o fiumi resi rettilinei, sono pericolosissimi, in quanto l’acqua non ha modo di rallentare ed acquista grande velocità, provocando gravi danni. Questo è ciò che è successo, ad esempio, qualche anno fa ad Osimo, dove la gente dovette scappare sui tetti di una zona commerciale.
La gestione del rischio idraulico va perseguita non attraverso un’ulteriore artificializzazione dei fiumi bensì incrementando la loro naturalità, come da anni si sta facendo in Gran Bretagna, ad esempio, eliminando una volta per tutte l’assurda convinzione che i due obiettivi siano tra loro in contrasto. Assecondare – dove le condizioni del territorio lo permettono – le dinamiche fluviali significa migliorare le condizioni dell’ecosistema e al tempo stesso ridurre il rischio e le spese. Delocalizzare strutture a rischio, puntare al riequilibrio del ciclo sedimentario arrestando i prelievi selvaggi di inerti dagli alvei, restituire spazio al fiume allontanando gli argini e riducendo il consumo di suolo da parte di nuovi insediamenti, incrementare la capacità di laminazione del reticolo idrografico minore, abbandonare l’idea che si possa “mettere tutto in sicurezza” e gestire meglio il rischio residuo, ridurre la vulnerabilità degli edifici all’inondazione, implementare un razionale sistema di strumenti assicurativi sono solo alcune delle soluzioni possibili, sperimentate con successo in molti Paesi europei e ultimamente anche in qualche contesto italiano, come ad esempio in Veneto.
Va poi recuperato il concetto originario di protezione civile, ora spesso travisato e dimenticato: le 3P di Prevedere Prevenire Proteggere, mentre ora ci si preoccupa principalmente dell’intervento in emergenza, a cui vengono destinati anche buona parte dei fondi che normalmente venivano utilizzati per la manutenzione ordinaria e la riduzione della vulnerabilità.
Certo, interventi come quelli suddetti sono molto meno “visibili”di un’enorme argine e forse sul breve periodo possono assicurare un minore “consenso” da parte dei cittadini, ma mi sembra ormai improrogabile che gli amministratori pubblici, a tutti i livelli, si assumano la responsabilità di invertire la rotta: Ciò che serve ora è la rinaturazione dei bacini fluviali, che arresti l’artificializzazione e restituisca almeno in parte gli spazi per la libera esondazione che per troppo tempo sono stati sottratti ai nostri fiumi. Tali spazi si chiamano ‘zone di espansione’ appunto, e sono delle aree incolte ove il fiume in caso di piogge forti, possa tranquillamente e senza far danni, allargarsi a suo piacimento.
In conclusione, più il fiume o il canale ha un andamento ed una conformazione ‘naturale’, meno è pericoloso.
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Ottimo intervento; una precisazione doverosa rispetto alla disastrosa rapina di suolo, della quale siamo ormai abituati a vedere solo gli effetti piú macroscopici delle situazioni di emergenza, mentre non ci rendiamo conto della pazienza e dei tempi che bisognerebbe dedicare alla prevenzione, un aspetto della quale è quello così ben descritto nella comunicazione qua sopra. Per una città come Macerata dovrebbe essere una priorità la manutenzione quotidianamente ordinaria del suo “lato idrogeologico”, così come dovrebbe essere sempre piú sviluppato il senso dell’assecondamento della vita naturale del territorio in tutte le sue manifestazioni: come purtroppo la recentissima vicenda della minitematica non insegna.
Colgo l’occasione dell’articolo di Fulvio Ventrone per richiedere (richiedere perchè sono più di due anni che ne sollecitiamo la diffusione e il rispetto, vedi articoli di giornali o il nostro programma elettorale alle provinciali) il ripristino dei confini dei fiumi e corsi d’acqua pubblici.
Il genio civile, la forestale, hanno sicuramente le mappe, perchè non renderle note? Perchè non andiamo a rivedere tutte le varianti che le amministrazioni comunali hanno concesso per permettere opere, per lo più, speculative?
Non Ultima, concessa dall’amministrazione comunale di Corridonia, la modifica del vincolo di “alveo fluviale” a Sarrocciano, come richiesto dai progettisti, per permettere il nulla-osta ai 12 ettari di fotovoltaico a terra nella “proprieta Merloni”?
Scusatemi per il richiamo ad un fatto che sto seguendo da vicino in questi giorni con il Fronte Verde.
Ma ne troveremmo tanti e purtroppo tantissimi, anche di opere pubblico-private, vedi “lottizzazione Pegaso” a Morrovalle o lungo il Chienti a Tolentino, Macerata e Civitanova.
Un collega mi segnala che un’esperienza positiva è stata fatto molto vicino a noi, a Jesi.
http://www.sunesisambiente.it/progetti/progetto-di-riqualificazione-ambientale-delle-aree-di-laminazione-naturale-del-fiume-esino.html
Per non esser da meno, pure il Chienti
si prepara a imitare i suoi parenti
sparsi sul territorio nazionale,
esondando dal corso suo fluviale.
“Bello”, pensa, “se usando le tinozze
scendono verso il mare a darsi sfogo
i cittadini, dopo le carrozze
usate per girare il capoluogo!”.
Non l’otterrà. La gloria non risponde
al nostro amato fiume di vallata.
Gli resta da sognar tra le sue sponde
schiuse tra Corridonia e Macerata.