Alessandro Sbaffo, capitano della Recanatese
di Andrea Cesca
Che avrebbe potuto fare il calciatore ce l’aveva scritto nel dna. Il nonno materno, Gastone Ballarini, è stato il primo portiere di riserva nella storia del calcio italiano ad entrare in campo a partita in corso in Serie A. Correva la stagione 1965-66, al comunale di Torino si giocava Juventus-Foggia, Gastone (Fabio per gli amici) difendeva la porta dei pugliesi. Che potesse essere un predestinato lo ha voluto la terra di origine, Porto Recanati, una città ed una società sportiva sempre fertile per i giovani talenti: di Ballarini abbiamo detto, e poi Panetti, Di Giacomo, Boccolini, Attili, Monaldi, Orlandoni, i fratelli Piangerelli, i fratelli Palanca, i fratelli Morra.
Insieme al presidente Adolfo Guzzini
Alessandro Sbaffo ha seguito le orme dei suoi predecessori. «Da ragazzino, quando non c’era la scuola, uscivo di casa la mattina con le scarpe da calcetto ai piedi, il pallone in mano e rientravo la sera – racconta -. Giocavamo ovunque, all’oratorio salesiano, d’estate al mare sulla battigia e in acqua, in piazza, per strada. Si giocava alla tedesca, a fare i palleggi, le serrande dei garage facevano da porta. Sono cresciuto con il pallone fra i piedi».
Alessandro nasce a Loreto, all’ospedale più vicino casa dei genitori, il papà Giorgio e la mamma Aurora, ma fino all’età di 15 anni vive a Porto Recanati.
«Ricordo il mitico torneo dei rioni che si svolgeva a Porto Recanati nel campo dell’oratorio. C’erano i rioni Centro, Castelnuovo, Europa e Sammarì. D’estate non mancavano le sfide fra gli stabilimenti balneari, da Roma arrivavano tanti turisti, c’erano sempre giocatori bravi. Gare accese, partite sentite. Veniva tanta gente a vedere le partite, era bello». Nelle giovanili degli arancioneri i suoi allenatori sono Peppe Mataloni, Gianni Palanca, i compianti Pino Calendi e Pietro Durastanti. «Il professor Calendi ci insegnava a scuola la mattina e al pomeriggio lo trovavamo al campo. Conosceva tutti i nostri genitori, era un personaggio. Aveva un bel mancino, era un po’ duro, rude, ma efficace. E’ stato l’allenatore di tutti».
Finiti gli allenamenti al campo sportivo, si andava a giocare all’oratorio. «Ci sono cose che si imparano solo per strada. Gli allenatori ti insegnano la tecnica, come stare in campo. Ho sempre apprezzato nonno Gastone, lui era un super atleta, oltre al calcio faceva ciclismo, tennis, boxe».
Come mai tanti giocatori di buon livello sono cresciuti a Porto Recanati? «Me la sono fatta anch’io questa domanda. L’oratorio salesiano ha avuto un ruolo centrale nella crescita, e poi le ore passate a giocare in strada, tutti i giorni. I giocatori che si sono affermati sono stati tutti uomini di spessore, coraggiosi. Partire da un paesino è sempre difficile, bisogna fare tanti sacrifici».
Con la maglia del Chievo Verona
Al secondo anno della categoria Allievi, all’età di 15 anni, arriva la chiamata del Chievo Verona. «Mi è cambiata la vita in un mese, è stato un po’ traumatico. A Verona c’erano ragazzi strutturati fisicamente, che si allenavano tutti i giorni, che avevano indossato la maglia della nazionale di categoria. I primi tempi tornavo a casa con più frequenza, la famiglia è importante, poi dopo un paio di anni ho iniziato ad andare in ritiro con la prima squadra, gli allenamenti iniziavano ai primi di luglio. E’ stato difficile mantenere le amicizie».
Sbaffo, “Re Leone”
Arrivato a 32 anni, capita spesso che Alessandro Sbaffo si guardi alle spalle: «Rifletto, ripenso al passato, alle persone che mi hanno stimato di più, che mi hanno saputo consigliare. Non ero abbastanza maturo, sono stato fragile in tanti frangenti, adesso più di prima apprezzo chi mi ha voluto aiutare. Ho girato tanto, ho tante situazioni da analizzare. Più che la data di esordio in Serie A mi piace pensare a quando sono diventato padre». A Recanati lo chiamano “Il re leone” per via della folta capigliatura «mi chiamavano così anche ad Ascoli, per lo stesso motivo».
Alla soglia dei trenta anni, la metà dei quali trascorsi tra i professionisti, Alessandro Sbaffo accetta l’offerta della Recanatese in Serie D. «Erano tutti un po’ scettici, la mia famiglia per prima. Ero stanco, il periodo del Covid mi aveva buttato giù. Giocavo a Gubbio, ero il capitano, mi trovavo bene, pensavo di restare, poi cambiò l’allenatore, ci fu un’incomprensione e venni messo fuori rosa.
Sono stato avvicinato al Sudtirol, arrivarono le proposte di Grosseto e Casertana, ma non me la sentivo. Stava per arrivare il più piccolo dei miei figli, Achille (le altre due sono Penelope e Violante) il direttore Josè Cianni mi chiamava in continuazione. Ho deciso di risolvere il contratto con il Gubbio e di buttarmi in questa nuova avventura che si è rivelata incredibile, stimolante, non pensavo mai che potesse prendermi così tanto. Continuo ad emozionarmi quando scendo in campo. Il primo anno alla Recanatese sono rimasto fermo tre mesi per una lesione al tendine d’Achille, è stata dura, ma mi ha rafforzato tanto. Adesso ho il fuoco dentro, mi sento come se fossi ad inizio carriera, gli anni non mi pesano. Mi diverto a giocare».
Al secondo anno di Recanatese, con la fascia di capitano, mette a segno 26 gol e contribuisce a portare i giallorossi tra i professionisti. «C’è molto da lottare in questa categoria, siamo inesperti. La salvezza è il nostro obiettivo, sono convinto che ce la possiamo fare. Voglio che questa bella storia duri il più a lungo possibile. Recanati è una realtà interessante, il territorio si è affezionato alla squadra, la città ha dimostrato di essere molto legata ai nostri colori».
Alessandro Sbaffo ha mai pensato a quando smetterà di giocare? «Ancora no, non ci ho mai pensato, la fine non la vedo. Mi sento bene, mi piace giocare, voglio stare qui a lungo. E poi ho cominciato anche a fare gol. Prima giocavo più indietro, da mezzala o regista avanti alla difesa, non riuscivo a stare uno o due minuti senza toccare il pallone. Adesso gioco trenta metri più avanti, è venuto in modo naturale, il mister Giovanni Pagliari è da tempo che insiste a dirmi di stare più avanti».
L’obiettivo più immediato è quello di mantenere la categoria con la Recanatese e poi? «Non ho mai avuto voglia di arrivare, mi sono goduto il viaggio». E allora, buon viaggio Alessandro. Con la speranza che Porto Recanati continui a sfornare altri giovani talenti.
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L’amico Gianluca Guastaferro, profondo conoscitore delle vicende sportive e non di Porto Recanati, ci racconta un aneddoto a proposito di Gastone Ballarini, tra le altre campione regionale della categoria Allievi di ciclismo.
Gastone, che al tempo correva in bicicletta, era solito allenarsi al campo sportivo di Porto Recanati. Un pomeriggio quando erano in corso anche gli allenamenti della squadra di calcio, l’allenatore Vincenzo Monaldi ebbe uno screzio con il portiere, il compianto Tommaso Zaccagnini e lo invitò ad andare negli spogliatoi per la doccia. “Gastone fai il favore, mettiti in porta qualche minuto che finiamo la partita” disse Monaldi. Gastone (Fabio per gli amici) si mise in porta e cominciò a sfoggiare parate incredibili. E da ciclista divenne calciatore.
All’oratorio salesiano di Porto Recanati non solo campioni, c’era chi era schiappa e tale rimase. Un personalissimo ricordo.