di Laura Boccanera
Se Hopper dipingeva uomini e donne sole, al bancone di un bar, davanti ad una finestra o negli interni delle proprie abitazioni, Monica Palloni li fotografa con la stessa intensità. Gente in quarantena, ripresa nei momenti di noia quotidiana, nelle nuove passioni scoperte grazie all’isolamento forzato.
Tutto rigorosamente non in posa e da lontano. La fotografa civitanovese non è che una dei professionisti che in queste settimane stanno portando avanti il progetto “Ritratti isolati”, un team composto da 8 fotografi che si sono chiesti cosa potevano fare in questo momento di sospensione forzata della nostra quotidianità. Da qui nasce l’idea dei ritratti tramite videochiamata. Un ulteriore filtro fra il soggetto e il fotografo, oltre la macchina da presa, che però non allontana, ma anzi, restituisce autenticità e concretezza. Un modo per connettere le persone e stare vicini a distanza. Loro sono otto fotografi e vivono in Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Marche. Oltre a Monica Palloni ci sono anche Marianna Molinari, Sergio Bruno, Barbara Malacart, Dante Marrese, Patrizia Galliano, Fabio Panigutto e Anna Vittoria. Ciascuno utilizza il medium come preferisce, sia esso il monitor del pc, la videochiamata su Skype o lo smartphone. E poi spazio alla propria sensibilità per realizzare uno scatto che racconta un’epoca (la vita al tempo del Coronavirus) ma anche le singole storie personali di ciascuno di noi. E per Palloni è stato anche un’ancora di salvezza: «prima di iniziare a far parte di questo progetto ho avuto quattro, cinque giorni di sconforto, all’inizio della quarantena, mi aggiravo fra divano e camera, non riuscivo a pensare al dopo, a darmi una prospettiva, “Ritratti isolati” è stata la mia scossa all’apatia, mi ha tenuto fuori dal limbo».
Per un fotografo un esperimento un po’ straniante, ma anche una sfida incredibile quella di andare oltre e aprire un varco laddove sarebbe stato impossibile raccontare con la fotografia una realtà così intima e in contemporanea su più fronti. «All’inizio vedevo tutto il limite del mezzo – racconta la Palloni – fotografare qualcuno attraverso un monitor o uno smartphone è qualcosa di estremamente complesso. Perché come fotografo posso individuare la luce che mi piace di più, l’angolo della casa che preferisco o suggerire una posizione a chi viene ritratto, ma il dispositivo poi restituirà sempre una luce differente. Per cui nei primi scatti vedevo tutti i difetti tecnici. Poi invece è emerso qualcosa. Si sono manifestati dei valori nuovi. E’ stato come aprire una finestra del tempo. Quando si abitava nei borghi uno di fronte all’altro e le persone si affacciavano e parlavano. Entri in una casa dal monitor, un appartamento che può non essere in perfetto ordine, il soggetto vive la sua quotidianità in tuta, in maniera naturale. Quando si viene in studio anche il ritratto è più artefatto, di solito si è pettinati e truccati a dovere. Al contrario ora emerge l’autenticità delle vite degli altri e la foto che ne esce è unica». C’è ad esempio lo scatto di Tiziana, la luce entra dalla sua finestra e ha una moka in mano, oppure quella di una mamma che tiene il suo bambino. E ancora la stessa Monica che fotografa un soggetto entrando essa stessa nell’inquadratura e rendendo l’opera un autoritratto e un ritratto al tempo stesso. «Un progetto che mi ha ridato la voglia di fare e che ha avviato anche una serie di nuovi lavori fotografici con molti dei soggetti seguiti».
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