di Ugo Bellesi
Il nuovo commissario per le aree terremotate, Paola De Micheli, ogni giorno che passa si sta rendendo conto che l’hanno lasciata con il cerino in mano perché ad un anno dal sisma siamo ancora in piena emergenza e la ricostruzione è lontana. Ma ha preso molto a cuore la situazione e sta cercando con tutti i mezzi di venirne fuori. Frequentissimi sono i convegni, gli incontri con i tecnici e con i sindaci, con i burocrati e con gli assessori e presidenti, per cercare di “sbrogliare la matassa” e l’energia che ci sta mettendo è veramente meritoria. I suoi obiettivi immediati sono quelli di rendere le normative più chiare e snelle e di avere una burocrazia che si prenda le sue responsabilità e risolva i problemi, anziché aggravarli e rimandarli alle calende greche con metodi borbonici.
I problemi sono certamente questi ma ce ne sono altri che bloccano tutto come macigni. Innanzitutto le macerie. Secondo dati ufficiali sono state rimosse 343mila tonnellate su due milioni e 360mila. Perché non si fanno intervenire altri reparti del Genio militare per accelerare i lavori? Ci sono ancora troppe “zone rosse”, in città e centri periferici che potrebbero ripartire, ma i lavori di messa in sicurezza degli edifici pericolanti vanno a rilento. Perché non si impiegano più squadre da destinare a questo compito?
All’improvviso, al neocommissario, hanno fatto la bella sorpresa di scoprire altri ottomila sfollati in più. Come è potuto accadere? Semplice: mentre le squadre incaricate dei sopralluoghi per verificare gli alloggi agibili e non agibili in Umbria (dove i danni all’edilizia sono stati molto inferiori) hanno iniziato a lavorare a novembre, nelle Marche (dove avevamo più fabbricati danneggiati) sono partite soltanto a febbraio. Inoltre sono risultate insufficienti in quanto per ultimare il lavoro di verifica mancano ancora 3.300 sopralluoghi. Il che significa che ci saranno altri fabbricati inagibili e quindi altre famiglie sfollate. Perché non è stato impiegato un maggior numero di squadre?
Sono questi i problemi che dovrà affrontare la De Micheli e le prospettive non sono rosee. Innanzitutto perché certi schemi operativi sono stati già impostati e sarà difficile rimuoverli. Ci riferiamo al fatto che per la microzonazione sismica di terzo livello sono stati messi a disposizione dallo Stato soltanto tre milioni mentre i geologi sono concordi nel dire che occorrerebbero 30/40 milioni. Se non si conoscono le condizioni del terreno sottostante gli edifici come si può pensare di fare restauri o addirittura di ricostruirli ex novo? Tra l’altro, spesso e volentieri, questi edifici non sono di recente costruzione ma potrebbero risalire a 40/50 anni fa e quindi sulla loro resistenza alle scosse sismiche non c’è molto da scommettere. Inoltre ci dicono che spesso, le aziende specializzate nella microzonazione, ricevendo l’incarico da privati, pretendono di essere pagate anticipo in quanto sono sicure che lo Stato non rimborsa queste spese. Un altro degli schemi operativi impostati da tempo, e difficili quindi da rimuovere, riguarda l’adeguamento sismico e il miglioramento sismico. Si è diffusa ad arte la convinzione che tra le due soluzioni ci sia pochissima differenza. Pertanto si indurrebbe la gente a preferire il “miglioramento” che, come è noto, offre minori garanzie rispetto all’”adeguamento” sismico per la tutela degli edifici contro le scosse di una certa violenza.
In concreto quindi l’indirizzo è questo: niente o scarsa microzonazione e riduzione al minimo dell’adeguamento sismico. Il tutto, si badi bene, non solo per risparmiare ma anche “per fare presto” a poter dire che l’emergenza è finita ed è iniziata la ricostruzione. Senza pensare che non solo le famiglie andranno ad abitare edifici non del tutto affidabili, ma che quando in un futuro (magari mai) ci fosse un terremoto con crolli, subito interverrà la Magistratura ad indagare costruttori, progettisti e proprietari dei fabbricati perchè “hanno beneficiato del contributo dello Stato ma sicuramente sono stati usati materiali scadenti, magari la sabbia – si dirà – al posto della calce, oppure non hanno eseguito i lavori con scarsa competenza”…) Invece la colpa sarà della burocrazia (o dello Stato) che avrà risparmiato non consentendo la microzonazione sismica ovunque fosse necessario (e quindi in tutta l’area terremotata) e favorendo il miglioramento sismico anziché l’adeguamento sismico.
Ma fra vent’anni chi si ricorderà di questa “impostazione” (o imposizione?) dello Stato? Ci sarà qualcuno che vorrà spiegare tutte queste cose alla De Micheli? Riteniamo di no ed è per questo che invitiamo il nuovo commissario a fare un’operazione ancora più concreta di quella di incontrare i burocrati e i capi dei burocrati, e cioè di parlare con la gente, di incontrare gli sfollati, di rendersi conto di persona delle loro condizioni. Qualche mese fa c’è stato un incontro all’università di Macerata con Edward James Blakely, commissario straordinario per la ricostruzione di New Orleans dopo la distruzione della città provocata dall’uragano Katrina. Era stato chiamato a Macerata dal rettore Francesco Adornato, proprio per parlare di come egli avesse affrontato quella difficile situazione. Ebbene egli ha spiegato che prima di prendere qualsiasi decisione da parte di progettisti, tecnici, funzionari ed esperti, c’era l’impegno di ascoltare la popolazione con incontri continui, anche di quartiere, addirittura di condominio. Questo per conoscere i problemi della gente e come poterli risolvere alla svelta. Ovviamente ogni problema importante richiedeva tempo e questo veniva impiegato per spiegare alla gente che magari doveva rinunciare a tornare nel proprio quartiere che era a rischio esondazione per cui doveva spostarsi in un’area più sicura. “Se non si parla con la gente, se non si spiega che ci sono cose non risolvibili, che c’è bisogno della collaborazione di tutti, che ogni decisione è per inell’interesse dei cittadini – ha detto Blakely – ogni problema diverrà difficilissimo da risolvere!”
E’ questa una bella lezione per tutti. Ma come incontrare gli abitanti dei Sibillini se oltre 40mila sono sfollati, molti dei quali, come trottole, debbono portare i figli a scuola in montagna, o andare al lavoro in qualche località lontana, e compiere ogni giorno centinaia di chilometri? Ma sarà proprio per questo – si chiederà qualcuno – che sono stati trasferiti tutti lungo la costa e comunque lontano dalle loro cittadine? E cioè perché non potessero neppure consultarsi tra loro e quindi né protestare per le cose assurde che hanno visto, né fare proposte concrete? “Solo con la collaborazione della gente che abita in un quartiere o in una cittadina e che conosce quel territorio – ha detto Blakely – si possono più facilmente risolvere i problemi”. Ed è lapalissiano che quei paesi, quelle comunità, quei territori potranno tornare a vivere soltanto se quei cittadini potranno tornare lassù. Ma più tempo passa più sarà difficile riportare i giovani là dove sono nati. Non si può fare la ricostruzione senza sentire la gente che dovrà andare ad abitare e vivere in quei luoghi e a farne ripartire l’economia, sia pure con immensi sacrifici. Ma prima di tutto bisogna restituire case sicure a quanti vogliono tornare. Il recente terribile terremoto di Città del Messico, in proporzione, ha provocato minori decessi rispetto al nostro entroterra. Questo significa che la sono state costruite case più sicure. Ma pensiamo soltanto al Giappone dove il rischio sismico è quasi scomparso perché tutti gli edifici sono antisismici adottando una tecnica italiana. E sono state industrie italiane a realizzare molti edifici in Giappone. Ora, in attesa che anche l’Italia si adegui (e ci vorranno anni e anche ingenti investimenti), perché non partire adottando, almeno nell’area terremotata delle Marche (ma anche Umbria e Lazio se possibile), i criteri di costruzione impiegati in Giappone? Sarebbe un segnale forte da parte dello Stato nei confronti di tutti gli italiani, ridando fiducia in un futuro migliore, fiducia che molti hanno perso da tempo.
Chi ancora non l’ha persa questa fiducia sono quelli che, dopo il sisma, sono rimasti sui monti, sotto la neve, a condividere con greggi e armenti il freddo, il terrore di nuove scosse e spesso anche la fame. Come quelli che, subito dopo le scosse più violente sono rimasti lì e hanno ripreso la loro attività di artigiani e di commercianti, anche investendoci tutti i risparmi di una vita nella speranza (fino ad ora vana) dei contributi dello Stato. Come anche coloro che, in attesa estenuante delle casette che non arrivano mai, hanno trovato soluzioni di emergenza, costruendo capanne e casupole di legno sulla propria terra, a proprie spese, in area edificabile, facendo risparmiare allo Stato il costo delle casette (a volte fino a 3mila euro al metro, più dei fabbricati in città. E proprio di questi cittadini parlava il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci, quando ha dichiarato: “La politica deve trovare il modo per aiutare i terremotati, Si trovi subito una soluzione. Queste persone meriterebbero un grazie per non aver lasciato desertificare il territorio e per aver fatto risparmiare al Governo”. Mesi fa Gentilucci aveva chiesto a Governo e Regione un provvedimento per garantire ai privati la possibilità di allestire ricoveri provvisori. Ma è stato inascoltato e il sindaco ha così replicato: “Se la politica non interviene, perché sorda, è evidente che la magistratura non può far altro che applicare giustamente la legge”. A questo punto la conclusione è una sola: molti tra gli abitanti dei Sibillini ancora ci credono in un futuro migliore, e rischiano in proprio. Chi dimostra di non crederci affatto è proprio lo Stato. Purtroppo…
Solo una domanda... Errani cos'ha fatto!?!?
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Egregio Bellesi condivido tutto ma alla signora De Micheli non l’ ha ordinato il medico di accettare l’ incarico. L’ ha presa un po’ sottogamba? Forse, ma allora ha peccato di vanità e/o presunzione nonché scarsa conoscenza della situazione. Per dirla semplice: ha voluto la bicicletta….
Presidente della Lega Pallavolo Serie A. Mah!?!
Marina Santucci, mi hai tolto, come tante altre volte qui, le parole di bocca, fermo restando che anche per me, Ugo Bellesi, ci ha reso una chiara quanto drammatica fotografia della situazione attuale, e ahimé futura, per almeno i prossimi 20 o 30 anni.
Non soddisfacendo nei minimi dettagli tutte le richieste provenienti da quella che con tutta evidenza è la parte migliore del Paese lo Stato non farà che percorrere la strada dell’autodistruzione tracciata dalla perversione del potere.
La burocrazia regionale e comunale può essere forzata solo da chi conosce a fondo i problemi tecnici sottostanti alle innumerevoli problematiche della ricostruzione, non da una persona come la De Micheli che non ha la benmchè minima competenza specifica in materia e che è stata nominata solo per appartenenza politica.
ridateci Bertolaso!
Dott. Bellesi grazie per aver individuato il nocciolo del problema. Ovvero la differenza sostanziale tra miglioramento sismico e adeguamento sismico. Differenza che ad oggi è sotto gli occhi di tutti. Parlo da tecnico che ha visto la ricostruzione post-sisma 1997 e i risultati ottenuti con quegli interventi alla prima verifica. Distruzione pressoché totale. Dovuta principalmente a una serie di fattori che però possono sinteticamente riassumersi in due: scarsa competenza da parte di tutti gli attori in materia antisismica, enti pubblici (il genio civile di Macerata, per mera interpretazione della legge antisismica, come penso il Genio Civile di altre provincie, ha per anni imposto nei lavori di ristrutturazione la copertura in calcestruzzo armato anche su case di vecchia edificazione, impostazione che ha provocato risultati deleteri), scarsa competenza di tecnici e imprese che hanno partecipato alla ricostruzione (problema che si ripresenterà anche in questa ennesima ricostruzione), errore di impostazione nel consentire di fatto un ‘solo’ intervento di miglioramento sismico anche laddove può essere fattibile quello di adeguamento sismico. Ricordo che non sempre quest’ultimo è fattibile per motivi ad esempio di pregio artistico e architettonico o semplicemente per motivi tecnici.
Termino con la parte relativa ai sopralluoghi. Ho iniziato a farli a Dicembre 2016 con ancora le gestione centrale della PC di Rieti. Con tutto lo sfacelo che regnava nelle Marche, mi hanno destinato cinque giorni a fare sopralluoghi in un comune umbro dove non abbiamo trovato un solo edificio inagibile. Quando a gennaio 2017 abbiamo iniziato a lavorare nei comuni terremotati della provincia di Macerata, ancora non si era fatto nulla. Mistero su tempistiche e logistica della cosa. Ho abbandonato in sopralluoghi dopo mesi di lavoro, perchè, oltre al fatto di non aver ricevuto ancora un minimo cenno di rimborso per le spese sostenute, ma ho messo in conto che non avrò nulla a riguardo e poco importa pensando a chi ha perso tutto, dopo molto girovagare ho provato un certo disgusto nel vedere come il mondo dei furbetti non si fermi neanche di fronte a queste tragedie. Parlo di loschi figuri che appaiono dal nulle mentre si fanno i sopralluoghi e che sono già a caccia di lavoro, questi sì sono veri sciacalli e parlo dei soliti italiani furbetti che anche abitando tranquillamente dentro case perfettamente agibili, pensano che questa comunque possa essere un’occasione da non perdere per prendere un po’ di soldi.
La ringrazio per quello che scrive sull’argomento e soprattutto per come lo scrive.
Cordiali saluti.