di Giuseppe Bommarito*
Quando si arriverà al dibattimento ne vedremo delle belle, aveva assicurato il patron della Civitanovese qualche settimana fa (leggi l’articolo). In realtà già adesso, in questa fase di indagini preliminari, le sorprese continuano a non mancare ed arricchiscono il caso Cerolini di sempre nuovi particolari, tutti abbastanza sorprendenti.
I primi fuochi di artificio li ha fatti esplodere nei giorni scorsi lo stesso Cerolini, denunciando pubblicamente il suo sconcerto per pesanti episodi, non precisati, appena appena accennati, che, a quanto si è capito (poco, in verità), consisterebbero nell’anomala attività investigativa su di lui svolta da soggetti non in linea con le indicazioni della Procura di Macerata, i quali, a loro volta, non sarebbero credibili nel loro accanimento in quanto altrove si sarebbero resi responsabili di “fatti gravi, anzi gravissimi” nell’ambito di altre indagini. Insomma, il mistero arriva ai massimi livelli, visto che l’ignoto e inesorabile investigatore, che già sarebbe stato denunciato in un’altra provincia per questo inconsueto modus operandi e che ora parrebbe deciso ad inchiodare il Cerolini sulla base di un teorema ovviamente prestabilito e infondato, non avrebbe niente a che spartire con la Procura e con le locali forze dell’ordine: chi mai sarà?
Difficile dirlo, ma forse se ne saprà di più nei prossimi giorni. Per il momento, anche alla luce della secca smentita della Procura di Macerata, la denuncia del Cerolini – diciamo la verità – è sembrata una bufala bella e buona, nel tentativo di mettere le mani avanti prima che il colpo arrivi in piena faccia e lasci il segno. Sì, perché nel frattempo, mentre le indagini comunque proseguono, pare che la vicenda si stia ulteriormente complicando e allargando.
Ad indagare sul gruppo Cerolini, infatti, oltre alla Procura di Macerata e a quella di Fermo, ora c’è anche quella di Spoleto, che ha richiesto ed ottenuto nelle scorse settimane dal locale Giudice per le Indagini Preliminari un sequestro preventivo per circa 350mila euro, poi confermato anche dal Tribunale per il Riesame. Il destinatario del sequestro è in questo caso un uomo molto vicino al Cerolini, tale Angelo Recchi, un vecchietto ottantacinquenne ormai provato dagli anni la cui moglie – a quanto pare – cucina i pasti per i giocatori della Civitanovese. Il Recchi è titolare di un’improbabile ditta individuale che risulta aver utilizzato fatture false per somme enormi, tali da generare negli anni passati un debito Iva pari all’importo per il quale è stato chiesto il sequestro dai magistrati spoletini.
Il Recchi, d’altra parte non è nuovo alle cronache giudiziarie, sia perché nel passato è stato più volte protagonista di procedimenti legati al mondo delle bische clandestine a Civitanova e zone limitrofe, sia perché, come la Giusy Marinozzi (il vero braccio destro del Cerolini), compare anche nelle altre inchieste attualmente in corso dalle nostre parti sul gruppo civitanovese relative ad evasioni fiscali per decine e decine di milioni di euro.
Insomma, si direbbe che questa volta, vista l’enormità delle cifre che sarebbero state fiscalmente evase, le forze dell’ordine (e forse anche il misterioso investigatore) vogliano andare sino in fondo nell’individuare anche la fitta rete di prestanomi che sarebbero stati a disposizione del gruppo sia per l’intestazione fittizia di beni da sottrarre ad eventuali azioni di recupero che per costituire pseudo-aziende da utilizzare per illecite compensazioni fiscali o per voluti mancati pagamenti di imposta.
D’altra parte è innegabile che si tratti di una vicenda che esce sotto molteplici profili dall’ordinario, potenzialmente foriera di gravi danni per l’economia civitanovese, specialmente nella città alta, qualora l’impero del Cerolini si dovesse rivelare un castello di carta del tipo di quelli costruiti appositamente per le scenografie dei film, come diversi segnali, tutti da approfondire ovviamente, ormai potrebbero far pensare.
Si parla, ad esempio, di affitti di azienda non rinnovati a causa di mancati pagamenti di canoni (come nel caso di un noto chalet sulla costa); di diversi dipendenti del gruppo mai messi in regola e di altri che sono in ritardo di mesi nel percepimento delle loro retribuzioni; di passaggi diretti di lavoratori da una ditta all’altra nemmeno comunicati agli interessati; di licenziamenti della cui data effettiva i soggetti implicati sono venuti a conoscenza solo a distanza di tempo, allorché era già scaduto il termine per richiedere i trattamenti di disoccupazione previsti dalle norme vigenti. Lavoratori che, a quanto pare, hanno iniziato a tutelarsi rivolgendosi preoccupati alla Direzione Territoriale del Lavoro, ai sindacati, ai Centri per l’Impiego, agli avvocati. Problematica potrebbe divenire anche la situazione relativa al versamento dei contributivi previdenziali per i dipendenti, visto che l’Iva a credito del gruppo, con la quale erano presumibilmente compensati gli oneri contributivi, è stata ora contestata dagli inquirenti in quanto ritenuta frutto di fatture false.
Mah, si vedrà quello che succederà quando sarà finita questa storiaccia, che, oltre ai risvolti fiscali e giudiziari, rischia pertanto di avere, come si è detto, anche delle forti e dolorosissime ricadute sul piano sociale ed economico.
Nel frattempo prosegue incessante l’opera di riabilitazione che alcuni componenti del clan Mellino, sbarcati dalle nostre parti grazie all’amorevole afflato filantropico di Giuseppe Cerolini, stanno portando avanti a Civitanova e dintorni. Nessuno tuttavia ne conosce gli esatti contenuti, fatta eccezione per la frequente attività di accompagnamento del Cerolini e – ma la circostanza è in fase di accertamento – per la riscossione del contante nei vari esercizi pubblici e nei distributori sparsi nel territorio facenti capo al gruppo, che, a quanto se ne sa, apprezzava molto poco l’utilizzo dei tradizionali canali bancari. I Mellino, come si è già detto, sono una sanguinaria costola di una pericolosissima cosca crotonese denominata Vrenna-Bonaventura. Essi, reduci dai lidi romagnoli ove hanno sparso sangue e droga in buona quantità, e dove erano specializzati pure nella gestione e nel controllo delle bische clandestine (che a Civitanova, sia pure attualmente in ribasso, sono sempre proliferate in considerazione della passione per le carte di molti calzaturieri), potrebbero aver trovato dalle nostre parti terreno fertile per ripulire milioni di euro, soldi sporchi provenienti principalmente dalla droga, che tanti giovani ha sterminato anche nelle Marche (la nostra regione – è bene ribadirlo – è la seconda in Italia quanto a tasso di mortalità per droga).
Invero i crotonesi, considerato lo scarso allarme sociale esistente nel maceratese quanto alla criminalità organizzata, secondo alcuni osservatori potrebbero aver investito (ovviamente per interposta persona e comunque in società di fatto con gente del posto) in attività apparentemente lecite, ottenendo così un duplice risultato, per loro sicuramente positivo: da un lato, i profitti ricavati grazie ai consueti illeciti magheggi di tipo fiscale operati da mani esperte in aziende compiacenti messe a disposizione; e, dall’altro, un’importante attività di ripulitura di denaro proveniente da attività illegali, svolta all’interno delle medesime aziende.
Adesso però, considerata la pericolosità della situazione (si pensi, ad esempio e tanto per volgere un occhio alle cose più visibili, ai numerosi roghi di auto avvenuti a Civitanova e dintorni negli ultimi tempi, che almeno in parte potrebbero essere legati a mancati pagamenti al tavolo verde), è il momento che la magistratura e le forze dell’ordine vadano oltre i consueti reati di natura fiscale e tributaria, sui quali le indagini sembrano già ben incanalate, e facciano luce in maniera compiuta su queste inquietanti presenze nel territorio provinciale che francamente sconcertano. A spingere in questa direzione anche il flusso senza fine nella nostra regione della cocaina (con due morti in pochi giorni proprio a Civitanova), della cui importazione e del successivo traffico è protagonista indiscussa, e non solo a livello nazionale, la ‘ndrangheta.
E, da questo punto di vista, forse potrebbe pure spuntare qualche interessante collegamento con il clan mafioso operante sino a qualche anno fa nel sud delle Marche e capitanato da quell’Andrea Maizzi, oggi nelle patrie galere, che a suo tempo, anche al fine di rifornire alcuni imprenditori civitanovesi legati al mondo dell’azzardo e della cocaina, potrebbe aver avuto taluni contatti proprio con i Mellino. Per concludere, e restando in attesa delle prossime novità, di certo può dirsi, con buona approssimazione alla verità, che a Civitanova di situazioni eccessive e particolari troppe ne capitano.
Basti pensare, oltre al caso Cerolini, all’allucinante vicenda Mattucci, che sta costando al Comune di Civitanova un occhio della testa, con ben due giunte indagate, sia di centrodestra che di centrosinistra, e ha visto i nostri amministratori privilegiare, anche a scapito di imprese locali, l’arrembante presenza del cosiddetto “imprenditore” abruzzese, realizzatore, come si sa, del secondo centro commerciale del centro Italia (e, come se non bastasse, pare che siano in arrivo nella stessa area altri seimila metri quadrati destinati alla grande distribuzione); alla presenza sul suolo cittadino – alla faccia del contrasto al gioco d’azzardo patologico – della più grande sala slot delle Marche, voluta e gestita addirittura da un gruppo sloveno-abruzzese; al pluriomicida seriale a suo tempo appartenente alla mafia pugliese e poi pentito, che, talvolta vantandosi del proprio passato criminale, ha di recente spostato il suo ristorante proprio a Civitanova. E si potrebbe continuare, sempre a proposito di cose strane, facendo riferimento a qualche presenza imbarazzante all’interno delle forze dell’ordine civitanovesi e agli inspiegabili ritardi nelle indagini sul caso Mattucci/Civita Park, poi decollate solo in quanto prese di petto dalla magistratura di Pescara.
Insomma, la situazione sta diventando molto pesante e tutta la società civile, visto che la classe politica ostinatamente e assurdamente tace, dovrà farsene carico prima che sia troppo tardi.
* Giuseppe Bommarito (Avvocato, presidente dell’associazione “Con Nicola oltre il deserto dell’indifferenza”).
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Grazie per questo aggiornamento. Vediamo se i ritardi nelle indagini spariranno, o se i troppo stretti legami tra politica e magistratura, senza contar della massoneria, continueranno a far passare i fascicoli in fondo alla pila.
Ciao a tutti , sono sempre Giorgia dalla provincia di Ravenna…
In primis ci tengo a precisare a tutti coloro che in precedenza hanno letto i miei svariati commenti e anche a coloro che magari li leggeranno, che con parole,aneddoti,sottiliezze amare utilizzate da me in essi, non siano stati o vengano intesi come una sorta di offesa verso le persone a cui ho risposto e anche verso al Sigr. Cerolini ma come un mio grido di aiuto, diciamo un modo diretto che in qualche modo potesse attirare l ‘attenzione su di me… sulla mia disperata richiesta di essere ascoltata e aiutata……e così è stato fortunatamente…
Ringraziando tutte le persone che mi hanno preso per “mano” e che tutt’ora stanno cercando di risollevarmi ci tengo a inserire alcune precisazioni concrete per quanto riguarda la parte dell’articolo in cui si parla di mancati stipendi,ecc…
Nel mese di ottobre 2015 è iniziato,per così dire,il mio rapporto di lavoro come dipendente della ditta Effemme s.r.l in Roma ,presso un impianto di carburante nella provincia di Ravenna del quale ,come dicono le svariate bollette della tim che ancora oggi arrivano solleciti x mancati pagamenti, risulta essere il sigr Cerolini Giuseppe il legale rappresentante e amministratore.
Premesso che MAI nessuno della ditta Effemme si è presentato all’impianto perlomeno per conoscermi,cosa che a mio avviso sarebbe più che ovvia che un’azienda si interessi della persona che sta per assumere, ma il mio rapporto con le svariate persone della Effemme è avvenuto sempre e solo telefonicamente..
Le promesse con cui la Effemme mi ha convinto a lasciare un lavoro a tempo indeterminato( il quale per svariati cambiamenti di zone lavorative su cui operare si stava rivelando purtroppo ,purtroppo perchè amavo quel lavoro,sempre più scomodo nel rapporto tra la difficoltà per svolgerlo/stipendio) erano un contratto a tempo determinato per qualche mese poi sicuramente fisso che prevedeva la somma fissa di euro 1.100 mensili più tredicesima,quattordicesima,ecc…
TUTTO CIO’ NON é MAI AVVENUTO…
Ad oggi mi ritrovo senza lavoro innanzitutto, senza MAI aver percepito alcun tipo di stipendio e quanto meno senza MAI AVER RICEVUTO UN CONTRATTO e quindi in mancanza di esso SENZA LA POSSIBILITA’ DI POTER PERCEPIRE UNA DISOCCUPAZIONE….per non parlare dei DANNI FISICI E MORALI causati dall’eccessivo stress per tutto quello che mi hanno obbligato ad affrontare…
Tengo inoltre a precisare che tutti i versamenti degli incassi dell’impianto da me gestito, sotto la RIGOROSA RICHIESTA della Effemme ,avvenivano solo ed esclusivamente tramite vaglia postali con un procedimento anteguerra che anche le impiegate della Posta mi chiedevano perchè utilizzare ancora questa forma preistorica quando ad oggi la cosa più semplice,veloce e sicura (soprattutto per me che ogni due gg dovevo recarmi in posta con in borsa somme di denaro in contanti che variavano dai 3.000 ai 4.000 euro) sarebbe aprire un conto corrente in posta dove poter eseguire le operazioni sia per me che per l’azienda.
L’ultima precisazione ,ma non meno importante, è come la Effemme mi ha rigorosamente imposto fin dal primo giorno ,in cui sbagliai nel grattare il codice di un buono cartaceo monouso cancellando così alcuni numeri del secondo codice di convalida non riuscendo così a convalidarlo con l’apposito pos, dopo aver esposto il mio errore al telefono con loro che,in tono quasi alterato, non dovevo assolutamente grattare il secondo codice del buono e quindi non convalidarlo ma tenerli da parte così e inviarli a loro in una busta a fine mese……………..Tutto ciò mi sembrava molto strano ma ho eseguito come ogni dipendente gli ordini del datore di lavoro..
Per concludere spiego per chi magari non può sapere come funziona effettivamente la procedura che risulta essere TASSATIVAMENTE da eseguire ogni qualvolta il cliente presenta il buono carburante MONOUSO al gestore che consiste nel CONVALIDARE la validità del buono passando al pos due codici posti sul retro: il primo visibile , mentre il secondo deve essere prima grattato come un grattaevinci… e infine il buono cartaceo in questione andrebbe gettato…tutto ciò è più che logico in quanto se il buono nn viene grattato e convalidato è solo carta………. e non credo che tutti i gg ci fosse una persona della Effemme che grattasse tutti i buoni raccolti dai vari distributori…non avrebbe alcun senso……
Sorridosempre ciao
articolo dettagliato ed eloquente. ad averne giornalisti di inchiesta così, anche per altri temi.
Al netto delle vicende giudiziarie di cui si sta occupando le autorità preposte nei confronti delle quali c’è la massima fiducia è incomprensibile che non vi sia da parte delle istituzioni locali, dalle associazioni di categoria una riflessione . Non si sta parlando di una modesta impresa ma di una media impresa commerciale impegnata anche nello sport cittadino .Una media impresa con i risvolti sociali compresi quelli occupazionali .Proprio per questo credo che anche un intervento di carattere istituzionale sia opportuno e legittimo anche per offrire ai cittadini, che comunque ne discutono, chiavi di lettura utli ,imparziali e una riflessione per contribuire a mettere su canali giusti la discussione.
La replica di Giuseppe Cerolini. Leggi l’articolo:
https://www.cronachemaceratesi.it/2016/05/17/cerolini-a-civitanova-non-siamo-criminali-e-sulle-aziende-nessun-problema/807967/