La rubrica “Macerata sommersa”, a cura dell’architetto Silvano Iommi, si sposta nella frazione di Villa Potenza per esplorare i siti e i fontanili dell’area e ricostruire, grazie anche alle richerche dell’università belga di Ghent, la storia antica di una parte della colonia romana di Ricina che si estendeva, come un grande triangolo, toccando gli attuali territori di Treia e Montecassiano fino ad Appignano.
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di Silvano Iommi
I LUOGHI – La particolare qualità di alcuni fontanili nel territorio delle contrade di Santa Maria in Selva, Helvia Ricina e Cimarella incrocia fatalmente la straordinaria ricchezza storico-paesaggistica del luogo, contribuendo ad esaltare quel formidabile coagulo di natura e cultura che qui si è mirabilmente sedimentato. Un coagulo che certamente è più evidente nei ruderi della romana Ricina e nei reperti archeologici del più antico sito piceno di Santa Maria in Selva, ma che può essere apprezzato anche negli ampi terrazzamenti naturali che scandiscono l’andamento collinare della zona. Da ciascuna di queste terrazze si possono ammirare panorami di grande bellezza, sottolineati dai boscosi rivi alimentati da ricche sorgenti e segmentati dalle residue tracce di una possibile centuriazione basso- collinare “secundum naturam loci”.
Si tratta di un complesso ecosistema che per brevità e semplicità espositiva possiamo geometricamente assimilare ad una sorta di triangolo ambientale. La base del triangolo poggia sul tratto ricinese della “Flaminia Prolaquense” (S.S.77), l’altezza sul tratto della “Salaria Gallica” (S.S.362) e il vertice che si incunea per quasi 5 Km tra l’antica Trea (Treia) e il medievale agro Cassianensi (Montecassiano) arriva ad Appignano. Questa apparente anomalia geografica, che i confini comunali hanno disegnato interamente al di là del naturale e ancestrale confine fluviale del “Flosis”(Potenza), può essere spiegata soltanto dalla lunga storia del luogo esposta qui in una schematica ed estrema sintesi.
LA STORIA – In primo luogo è bene ricordare che questo ambito territoriale è un lacerto del ben più vasto “ager” della colonia romana di Ricina. In secondo luogo va detto che dalla frantumazione tardo-antica e altomedievale di questo territorio, sorsero nelle soprastanti terrazze della decaduta città romana i “castra” di Migliazzano (o Miligiano) e Noncastro, mentre vicino alle sue diroccate mura est nacque la Pieve di Sant’ Eutizio (sopravvissuta sino alla fine del XVI secolo). Ancora, vale ricordare che le “carte fiastrensi” ci attestano l’appartenenza di questi siti alla contea e alla diocesi di Osimo sino al 1239. In quell’anno, parte degli agri dei due suddetti castelli furono donati dal Re Enzo, figlio di Federico II, alla “ri- nascente” comunità di Macerata che stava cercando di passare dalla condizione di “nucleo” pre-urbano a quella di “centro” d’attrazione urbana, per poi diventare verso la metà del XIV secolo “polo” territoriale. Tralasciando le ragioni ideologico-identitarie implicite in detta donazione, non si può tacere della tristissima autorizzazione concessa dal Comune a chiunque volesse distruggere le ancora monumentali vestigia di Ricina per farne una cava di prelievo (“De cavatione lapidum ad muros Helvie Recine”- rubrica degli statuti del 1432).
Quello che non fecero i barbari evidentemente lo fecero i maceratesi ma per ironia della sorte i discendenti di quei popoli d’oltralpe che i latini chiamarono barbari sono oggi ritornati e, con grande civiltà, sapienza e ampiezza di mezzi ci hanno restituito un formidabile aggiornamento della mappa archeologica di Ricina. Grazie ai risultati delle ricerche dell’équipe dell’università belga di Ghent, conosciamo l’ubicazione puntuale dell’anfiteatro ad est del teatro, del complesso termale nella cisterna, del foro, del paleo-alveo di fosso “Caulae” e di molti altri edifici. Particolarmente significativa per il nostro racconto è la scoperta dell’originario tratto sud del fosso della Cavola (oggi della Cimarella) il cui corso, prima dell’attuale deviazione nel fosso monocula (menocchietta), costeggiava le mura nord di Ricina servendo sia la “citerna” che l’adiacente “balnea”, fino a congiungersi ad est con il fosso di Cassia e sfociare nel Potenza.
LE FONTI – Altrettanto significativa è la probabile esistenza di un acquedotto (forse parzialmente aereo) che convogliava l’acqua dalla soprastante fonte Carradori alla già nota cisterna romana (oggi un rudere seminterrato, nascosto dalla vegetazione e con la volta interamente crollata). Giunti all’ancora attiva fonte Carradori (o calente) posta sul bordo della seconda terrazza, possiamo dire subito che si tratta del fontanile più interessante di Macerata. La sua particolare bellezza discende, oltre che dalla scala gigante della sua composizione, dal perfetto equilibrio tra forma, funzione e significato simbolico-paesaggistico.
La successione in linea delle funzioni inizia a monte con il prelievo manuale dell’acqua da due cannelle poste in altrettante nicchie absidate e racchiuse in una monumentale edicola con la sommità arcuata. In questo spazio, leggermente incassato nel suolo, si percepisce un senso di intimità che sembra contrastare, ma non contraddire, il gigantismo dell’intera composizione. La seconda funzione prosegue nel lungo abbeveratoio dal bordo stondato, che incanala l’acqua in una vistosa canaletta aerea con funzione di filtro ma anche di separazione netta dalla fase successiva. La terminale vasca-lavatoio con la sua forma esagonale di grande dimensione consente oltre che una migliore funzionalità pratica anche il formarsi di una atmosfera più propizia alla socializzazione.
La data del 1879 incisa sul cartiglio in cotto sembra riferirsi più ad un successivo restauro che non alla costruzione originaria, mentre nulla si sa delle tre lettere iniziali incise sul medesimo cartiglio. In ogni caso è noto che nel 1850 la proprietà del fontanile era già del Conte Telesforo Carradori, già ricordato nel come artefice nel 1832 della ristrutturazione di fonte Scodella (leggi l’articolo). Salendo sulla terza terrazza troviamo un’altro fontanile detto di Villa Bianchini. Una sorta di grazioso tempietto neoclassico di incerta datazione e recentemente restaurato. Nei pressi doveva sorgere quella fonte, censita col numero 42 dell’elenco del prg (piano regolatore), detta “del coppo cimarella” oggi demolita. Tornando indietro sulla prima terrazza, merita un cenno anche la fonte del comune detta del “coppo di Villa Potenza”, un volenteroso tentativo naif di imitare la monumentalità dei precedenti fontanili.
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Bellissimo saggio-intervento. Vi si legge la tua passione autentica, la folta analisi delle fonti ( storiche) il corredo fotografico prezioso e “narrante”. Una domanda. Come mai dal Belgio e non dalla nostra ? Italia sono venuti studiosi che hanno investito tempo e danaro? Vorrei invertire la posizione nella citazione latina che fai, a proposito dei “barbari”. Oggi si potrebbe dire, al contario, “quod non fecerunt italici, fecerunt barbari “.
Articolo bello ed interessante, complimenti a Silvano.
Non dimentichiamo un bell’articolo di CM di qualche anno fa:
https://www.cronachemaceratesi.it/2010/02/07/viaggio-attraverso-le-fonti-della-citta-un-patrimonio-da-tutelare-e-valorizzare/15890/ .
Il recupero come memoria di manufatti che fino a 50 anni fa avevano la medesima importanza che hanno avuto fin dall’antichità, è sicuramente il dato più importante della ricerca. A questo mi permetto di aggiungere l’importanza del recupero anche materiale di simili opere affinchè possano consentire la perpetuazione della memoria. La fonte Carradori potrebbe essere recuperata e trovandosi all’interno di un vigneto di nuovo impianto potrebbe diventarne anche il simbolo o il logo della produzione del vino. Voglio anche aggiungere che allo stesso livello di terrazzamento alla fine del vigneto in direzione Montecassiano esiste un’altra fonte che attualmente si trova coperta quasi per intero da rovi e cespugli.
Lodevole l’impegno e la competenza in materia dell ‘Arch. Silvano Iommi, argomento affascinante che andrebbe divulgato, ma soprattutto sensibilizzare il restauro la valorizzazione e la salvaguardia di tali manufatti architettonici e segni storici del territorio prima che non resti più nulla.
Sempre più impagabili gli articoli di Silvano, che, un poco alla volta, ci sta letteralmente aprendo gli occhi, facendoci girare dentro e fuori Macerata alla riscoperta del nostro passato, sepolto dai secoli e soprattutto dalla nostra disattenzione.
ma quali barbari? A partire dai secc. 11° e 12° l’attività architettonica, di pari passo con lo sviluppo economico della città, assunse grande rilevanza: la prosperità del centro e, collegato a questa, l’incremento demografico resero di fatto Gand la città più importante a Nord delle Alpi, dopo Parigi.
Caro Silvano,
una volta di più sento l’urgenza di dare corpo a quel nostro progetto editoriale. Facciamolo! Per quanto avvincente la cadenza periodica dei tuoi interventi, diviene sempre più importante raccogliere tutto questo prezioso materiale in un libro (o più libri).
@ Guido
Una prima risposta potrebbe essere che i belgi hanno sempre avuto una grande passione per il nostro territorio e il nostro vino…(in una cantina verso Loro Piceno non è difficile trovarne).
La seconda risposta potrebbe essere che quando arrivò alla fine degli anni novanta il nuovo Soprintendente regionale, il fiorentino De Marinis (morto nel 2012), si interruppe il monopolio della ricerca archeologica nelle Marche detenuto dalle Università di Urbino e Macerata (che sono sempre state gelosissime). L’esplorazione venne concessa praticamente a tutte le Università sia italiane che straniere.
D’altronde San Giuliano nacque nell’attuale Belgio, benche’ in una regione diversa rispetto a Gand… Quello che un tempo arrivava a Macerata addirittura per donazione di re, ora, in termini di sviluppo generale e di crescita di ruolo e di influenza, puo’ nascere solo da logiche e pratiche di competizione e da alleanze e collaborazioni che prevedano una leadership territoriale di attivita’ piu’ che di identita’; i saccheggi che suscitarono e suscitano i vari “quod non fecerunt…” crearono anche nuove architetture che oggi assumono un senso ulteriore in virtu’ di quelle spoliazioni “barbare”; Fonte Carradori, dalle foto proposte e dalla descrizione suggestiva dell’arch.Iommia, pare davvero particolare se non unica; cio’ che memoria, storia e archeologia ci lasciano e ci mostrano dentro e attorno a quell’ideale triangolo insieme all’evocazione di Ricina possono suggerire anche l’idea che molto, nel passato remoto e prossimo dei nostri due secoli, da quelle parti e oltre nella valle del Potenza poteva essere pensato e fatto senza limitarsi a seguire, letteralmente, le vecchie strade, addossandogli pure case e capannoni.
@Filippo
Una esigenza condivisa anche dal Consiglio comunale che ha approvato all’unanimità l’odg presentato da Bruno Mandelli. Ovviamente una raccolta che si deve affiancare all’opera di recupero delle fontane e, quindi, delle vie dell’acqua.
L’interesse di tanti maceratesi a questi articoli dimostra che affascina la storia del nostro territorio. Questo interesse dovrebbe partorire iniziative sia editoriali che conferenze pubbliche che dia vita ad una riscoperta della nostra identità. Ci sono associazioni benemerite in città che potrebbero prendere iniziative in merito mettendo insieme le voci degli studiosi e dei ricercatori.
La suggestione del triangolo è buona, però da una Macerata sommersa perlomeno il rinvenimento di qualche traccia di Atlantide ce lo saremmo già aspettato.