di Giuseppe Bommarito e Gaetano Angeletti (*)
Finalmente qualcosa si muove nell’ambito sin qui stagnante dei controlli sull’operato delle comunità terapeutiche della nostra provincia che, a seguito di accreditamento con la Regione Marche e di specifica convenzione, accolgono per le cure e le terapie del caso i soggetti tossicodipendenti avviati dal Dipartimento dipendenze patologiche dell’Area vasta 3 di Macerata. Si è infatti svolta nei giorni scorsi un’ispezione a cura del Dipartimento in questione in una delle sedi di Corridonia della comunità Pars, effettuata, a quanto pare, a seguito di una o più lettere anonime dal contenuto piuttosto pesante e di una serie di lamentele pervenute da qualche tempo, concernenti la qualità del vitto, il lavoro come esclusiva terapia, la scarsità del riscaldamento durante i mesi invernali.
Un’ispezione di cui ancora non si conoscono i risultati, e naturalmente va precisato che si tratta di accuse tutte da verificare, nella speranza che esse si rivelino infondate. Intanto però si può dire che l’accesso del Dipartimento ha finalmente e meritoriamente messo fine alla prassi assurda secondo la quale, in presenza di erogazioni da parte di un ente pubblico (in questo caso la Regione Marche) per le rette giornaliere dei soggetti ricoverati nelle varie comunità sparse nel territorio marchigiano, nessuno poi, a prescindere da esposti più o meno anonimi e da segnalazioni varie, va a controllare l’utilizzo di questi fondi, finalizzati – è bene rammentarlo – alle cure, alle terapie ed al reinserimento dei soggetti con problemi di tossicodipendenza. E non si tratta di pochi soldi, visto che la retta giornaliera, per i circa cinquecento posti disponibili nelle strutture accreditate nelle Marche, ammonta a novanta euro a persona e sale a cento euro e rotti nel caso di soggetti con doppia diagnosi (cioè con problemi non solo di tossicodipendenza, ma anche psichiatrici).
Ricordiamo che, specialmente per i soggetti dipendenti da eroina, il trattamento in comunità è senz’altro l’opzione preferibile, ove si voglia evitare la terapia ambulatoriale a base di metadone protratta spesso e volentieri per anni e anni (a dosi costantemente alte e senza alcun percorso di scalaggio, il che, in pratica, significa non uscire dalla droga, ma solo sostituire una droga con un’altra). Queste persone, anzi, questi malati (perchè la tossicodipendenza è una patologia molto grave, seppure autoindotta, con la tragica possibilità di esiti pure letali), che generalmente arrivano alle strutture pubbliche dopo anni di uso ed abuso delle sostanze ed innumerevoli sfaceli nella vita personale, familiare e lavorativa, spesso anche con problemi giudiziari, hanno difatti un grande bisogno di uscire dal loro ambiente (dove seguitano a gravitare spacciatori senza scrupoli e senza pietà, nonché amici e conoscenti ancora invischiati nel consumo di droga) per trascorrere un periodo di tempo significativo in una situazione diversa e protetta, in cui ritrovarsi, recuperarsi, ricostruire le basi della loro personalità e progettare il loro reinserimento nella società.
Ecco, quindi, dopo un periodo che dovrebbe essere il più breve possibile di disintossicazione fisica attraverso il metadone o farmaci analoghi, la necessità di una permanenza della durata di qualche anno in una comunità terapeutica residenziale. E tale comunità (sempre nell’ottica di un distacco significativo, anche a livello territoriale, dall’ambiente di riferimento e dalle persone che in tale contesto si sono frequentate) dovrebbe essere possibilmente scelta – questa almeno è la nostra opinione – non a due passi da casa, ma in una collocazione geografica distante dal luogo dove si è consumata la tossicodipendenza. Tuttavia la Regione Marche, in un presunto quadro di contenimento della spesa per i ricoveri in comunità terapeutiche extraregionali, ha deciso da qualche anno di ridurre, sino a bloccare del tutto, gli invii in comunità terapeutiche al di fuori dei confini marchigiani, in palese violazione del principio costituzionale della libertà di cura e con il risultato assurdo che a volte sono state fatte rientrare nelle Marche persone ricoverate in comunità esterne alla nostra regione ove la retta giornaliera era più bassa di quella qui riconosciuta.
E i vari Dipartimenti dipendenze patologiche, che sono il braccio operativo dell’Asur Marche in materia di tossicodipendenza, si avvalgono molto poco anche della possibilità di inviare i soggetti che hanno bisogno di terapie residenziali in comunità terapeutiche gratuite, come quella di San Patrignano, che, come è noto, accoglie ragazzi e ragazze con gravi problemi di droga a titolo completamente gratuito e non chiede e non accetta rette dalle famiglie e da enti pubblici. Ed è, tra l’altro, l’unica comunità con riscontri certificati ed oggettivi sull’esito finale delle cure, riguardanti sia il momento dell’uscita dalla comunità a programma ultimato che la situazione degli interessati a distanza di anni. Detto questo, non resta che plaudire all’iniziativa senza precedenti del Dipartimento, che, nel corso di questa recente ispezione, è appunto andato a vedere presso la Pars in qual modo vengono spesi i soldi pubblici delle rette giornaliere che – ripetiamolo ancora una volta – devono servire solo ed esclusivamente alle cure ed al recupero di ragazzi sfortunati e malati, che già sono stati “utilizzati” per l’arricchimento degli spacciatori e dei loro mandanti (le grandi organizzazioni mafiose operanti in Italia, che detengono il monopolio del mercato della droga) durante la loro carriera di tossicodipendenti e non possono essere sfruttati a tal fine anche in fase di terapia e recupero.
La convenzione tra l’Asur e le varie strutture del privato sociale accreditate comporta infatti – e non potrebbe essere altrimenti – il rispetto di determinati parametri qualitativi e quantitativi circa la presenza e la professionalità del personale che opera nelle varie comunità terapeutiche, le prestazioni sanitarie, sociali ed educative erogate (che non possono essere costituite dalla sola terapia del lavoro, anche se questa è certamente importante), le caratteristiche delle strutture, il vitto e l’alloggio. Parametri che devono obbligatoriamente sussistere e non possono essere considerati un “optional”. Pertanto, nel mentre ci sembra giusto sottolineare la necessità di estendere le verifiche a tutte le comunità terapeutiche accreditate presenti nella nostra provincia e nel territorio regionale, siamo con forza a chiedere che vengano resi noti i risultati dell’ispezione intanto effettuata. Ciò nell’interesse pubblico, della stessa Pars e soprattutto nell’interesse dei ragazzi tossicodipendenti, che purtroppo, spesso e volentieri, insieme alle loro famiglie, vengono considerati solamente come strumento per più o meno veloci arricchimenti economici e non come persone da curare (oppure da curare solo in maniera fittizia, senza personale adeguato sia a livello quantitativo che qualitativo).
* Gaetano Angeletti, presidente dell’associazione La Rondinella, Giuseppe Bommarito, presidente dell’associazione Con Nicola, oltre il deserto dell’indifferenza
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Sarebbe inoltre interessante sapere chi distribuisce e chi gestisce la terapia farmacologica di questi ragazzi. Non vorrei si prospettasse un eventuale, quanto inaspettato, abuso di professione infermieristica…non solo alla pars, sia chiaro…
Se avete un pò di tempo leggete quanto da me già postato su CR. Attorno a questo tipo di coop. ci sono conoscenze che giocano molto a favore delle stesse.
La masturbazione visto l’isolamento dei giovani dovuti alla dipendenza da internet per cui vengono a cadere così motivi di incontri giovanili potrebbe anch’essa diventare una dipendenza. La Pars saprebbe subito come intervenire chiedendo fondi a destra e sinistra così come hanno sempre fatto tenendo un occhio fisso sui bilanci. Quanto sfruttamento, ipocrisia e finto perbenismo. Alla base di queste cooperative c’è sempre il business. Basta guardare gli stipendi di quei poveri cristi che fanno il lavoro sporco ( quello fisico e manuale per intenderci ).
19 – giu 1, 2014 – 13:02 Vai al commento »
Bisognerebbe conoscere meglio le realtà di certe cooperative sociali. Quella di cui posterò un breve commento, gira voce che si sia imparentata ultimamente con una coop. soc. molto conosciuta. Una recente sentenza del tribunale penale di Ancona n. 1954 del 13/12/2013, condannava il Pres. della Coop “Il Nodo ” al pagamento di 5000 euro di spese processuali, ravvedeva che all’interno della cooperativa, sfruttamento, lavoro nero a 2 euro all’ora e altre amenità del genere erano la norma, richiamava l’attenzione sul fatto che essendo questa cooperativa partecipata dal comune di Civitanova Marche, quest’ultimo visto che si trattava di denaro pubblico avrebbe dovuto accertarsi che i soldi della cooperativa venissero spesi per un vero ed effettivo inserimento sociale. Non solo non controllava ma sia dal comune ed altro arrivavano importanti somme di denaro pubblico usato per di più dai furbetti del quartiere. Inoltre il Presidente della Cooperativa e tutta l’associazione di cui è uno dei primi attori, con decreto ministeriale del Ministro dello sviluppo economico verso la fine del 2013 ( tutto documentato ), veniva diffidato a continuare in tutte le attività concernenti il suo gruppo. Attualmente come di consueto c’è il classico ricorso al Tar che a giugno dovrebbe sentenziare definitivamente. Va da se che ci sono tutti gli elementi per denunciare il Comune per mancata vigilanza delle partecipate, sprechi e uso degenere di denaro pubblico. Hanno fatto una legge nel 2013 proprio per questo.
Bene che ci sia un controllo sull’autorizzazione e accreditamento di questa struttura. La seguo da molti anni e nutro molti dubbi sull’efficacia del metodo educativo, terapeutico e gestionale degli ospiti. Ha acquisito negli ultimi anni un dominio sul territorio provinciale, su molti progetti di assistenza, promozione e sensibilizzazione nelle scuole che lasciano molto a desiderare sulle aspettative tecnico scientifiche e di efficacia degli interventi, sostegno psicologiche nelle scuole, doposcuola e sostegno agli adolescenti in difficoltà familiari, il tutto, appoggiati da esponenti politici di scarso valore e senza nessuna conoscenza del valore da dare ai servizi sociali. Ci sono dubbiosi periodi di “lungodegenza” di tossicodipendenti, e di chi soffre di disturbi psichici. Latitanti sul controllo sono i servizi sanitari che pagano le rette e delegano completamente i progetti di recupero. Ci sono state morti da overdose di ragazzi usciti dopo anni di permanenza alla Pars. Senza parlare di chi è stata in passato la Pars al tempo dell’intervento dei Nocs ai laghetti Mariotti di Montecosaro. Un’indagine amministrativa e giuridica sulla Pars è auspicabile da tempo. Che si inizi.
Era ora!!
Si parla da anni di nefandezze, è ora di fare chiarezza!!
Una montagna di soldi, spesso, offusca il nobile fine da cui si parte…..
Cosa ci si può aspettare da un Comune come Corridonia che anziché vigilare sul territorio, autorizza l’apertura di pubblici esercizi 24 ore su 24 creando luoghi di incontro per loschi personaggi dediti ad attività delinquenziali, riducendo, nelle ore notturne, tranquilli quartieri in territori pericolosi.
Chi controlla i bilanci e le spese della cooperativa? Ci sono parcelle a prezzi elevatissimi emesse da Specialisti Psicologi, soprattutto residenti al sud? Che fine fanno questi pagamenti?
Su questo qualcuno dovrebbe indagare.
Cari signori che sputate sentenze senza conoscere cosa è realmente la struttura, come opera e quale impegno mette tutti i giorni con gli ospiti. Sono una mamma di una ragazza che è stata per più di due anni alla PARS perche’ tossicodipendente da eriona. Ora è uscita da circa quattro anni e sta bene. Io è da molto tempo che non ho contatti con la comunità Ma posso dire IN ONOR DEL VERO che c’è un personale stupendo, qualificato e con mille attenzioni nei confronti dei clienti della struttura. A mia figlia oltre alle cure hanno data tempo, amore, e un progetto personalizzato. Anche fuori orario di lavoro sono rimaste con lei nei momenti più difficili,nessuno l’avrebbe fatto Per lei NON è stata la prima comunità. Le hanno insegnato il rispetto verso l’altro, la pazienza del giardiniere, e l’amore del padre Chi ne parla male NON LI CONOSCONO
Conosco la Pars, conosco gente che è stata nelle loro strutture ed è uscita dalla droga da moltissimi anni ed è grata alla comunità PARS che li ha aiutati.
In questo articolo e soprattutto nei commenti sottostanti leggo insinuazioni e calunnie gratuite…….
La struttura, per quanto mi riguarda e da conoscenza diretta, ha risolto più di un problema a persone che, sembrava, non potessero riuscire ad uscire dal famoso tunnel.
E’ chiaro, come deve essere fatto per tutte le “Organizzazioni sensibili”, che occorre monitorare metodi, conti e stato di conservazione della struttura stessa e quindi questo controllo è legittimo e, prima di dare sentenze, attendiamo il responso ufficiale.
Per quanto riguarda lo sfruttamento del lavoro con compensi modesti, invito tutti a verificare i compensi che Enti vari danno agli obiettori di coscienza, ai ragazzi che assistono gli anziani nelle varie strutture sotto presidio Asur etc etc, per verificare che spesso sono sotto ai 2 euro all’ora…..
Chi “sputa sentenze” rispetta la sofferenza delle persone che sono state coinvolte, ma siccome non esiste solo la Pars che si occupa di disagio giovanile e di tossicodipendenti, nesuuno e dico nessuno, può considerare intoccabile l’associazione Pio Carosi e ricordo a tutti che esistono leggi di tutela degli ospiti di strutture residenziali e semiresidenziali che devono essere applicate e sempre per legge, devono periodicamente controllate sul loro operato, sulla qualità delle prestazioni, sul rapporto costi e benefici, come vengono retribuiti gli operatori (spesso mal pagati e senza coperture assicurative di legge). Molto sarebbe da dire, ma non è questo il luogo. Ma che sia chiaro, basta con l’intoccabilità di certe strutture e i controlli vengano eseguiti. Inoltre avere opinioni diverse sull’operato della Pars, che anch’io conosco, perché è calunnia?
Le leggi esistono e devono sempre essere applicate. Ma a me sembra che ci sia in corso una sponsorizazzione verso una comunità fuori regione ( S.Patrignano…….) Questo modo di fare non mi sembra corretto.
In cooperativa abbiamo sempre vissuto in modo positivo i controlli dei vari enti: il
controllo o le verifiche servono affichè gli errori possano esser
corretti e le buone pratiche possano essere acclarate: non abbiamo nulla da nascondere, anzi i nostri eventi e le occasioni di incontro servono a faci aprire al territorio.
È chiaro però che sia il titolo che l’incipit di questo articolo servono per fare clamore, non costruiscono nulla, non sono edificanti, riescono solo a trasmettere supposizioni dubbie nella gente.
Sinceramente mi sarei aspettato più chiarezza, meno informazioni vaghe, meno clamore e più fatti, leggo solo insinuazioni, e anche povere.
qualsiasi ente pubblico o privato va controllato periodicamente sopratutto quanto si trattano di strutture che operano nell’inserimento degli individui affetti da patologie di dipendenza di qualsiasi genere.
Lavoro da circa sette anni come educatrice alla PARS, nell’ambito della
tossicodipendenza. Per me questo è sì un lavoro, ma soprattutto un’esperienza
di crescita personale e di vita.
La nostra è una realtà fatta di Persone che si impegnano ogni giorno in
maniera professionale ma soprattutto umana per restituire una dignità ed una
vita a chi ci chiede aiuto, e alle loro famiglie.
Dato il mio “ruolo di educatrice” vedo ogni giorno coi miei occhi
l’impegno, gli importanti risultati del nostro lavoro e la dedizione di tutti noi che operiamo per far andare avanti e crescere la comunità, compresi i responsabili, i medici, gli psicologi, gli operatori, moltissimi ragazzi che ce l’hanno fatta e collaborano con noi, i volontari, le famiglie dei ragazzi, tutti testimoni e partecipi di questa grande realtà.Leggendo l’articolo e alcuni commenti mi sento profondamente addolorata e amareggiata.
A mio avviso è proprio questo che fa perdere alla gente comune che legge la speranza che dalla droga si possa uscire, insieme alla fiducia verso le Comunità (TUTTE, anche San Patrignano che viene citata), i Sert, le istituzioni.
..E alla fine, per assurdo, in tutto ciò ci rimettono proprio gli stessi soggetti
problematici, i “ragazzi tossicodipendenti”.
E’ piuttosto triste leggere “articoli” di questo tipo.
Il taglio giornalistico cede il passo ad un sottile “j’accuse” volto a insinuare, a gettare ombre, più che a chiarire fatti e/o episodi di interesse pubblico.
Per un intero anno ho vissuto il mondo-Pars impegnandomi in un progetto di volontariato (Servizio Civile) e non posso che annoverarla tra le esperienze più belle e formative della mia vita. Quello che ho visto e sentito nel corso dei dodici mesi trascende un puro e semplice servizio offerto alla comunità, è un lavoro sull’umano e per l’umano che porta i suoi frutti ben al di là delle belle colline che accolgono le varie strutture.
Capisco quanto, per un occhio esterno, risulti difficile farsi un’idea di cosa sia realmente una Comunità di Recupero, che tipo di lavoro venga svolto al suo interno, quali possano essere le difficoltà insite in una tale attività, quanta e quale complessità si trovi quotidianamente a fronteggiare. Ovviamente non si producono oggetti, non si maneggiano dati, non si vendono mercanzie di varia natura. Si affrontano “gli abissi più neri” del cuore umano, il disagio sociale e psichico, la patologia, le domande di senso e le risposte sbagliate a tali interrogativi. Si offrono alternative, si rieducano anime perse, si indica una via. Poi sta alla libertà di ognuno in ultima analisi (ove ne sia possibile l’esercizio), scegliere se credere fino in fondo in quella proposta (che spesso assume i connotati di un vero e proprio dono) o rifiutarla.
Nel corso della vita, tutti ingaggiamo una dura lotta con la verità. Ne abbiamo bisogno, ma la temiamo al contempo. Ciò che fa la differenza allora è il rifiuto di “raccontarsi storie”, la capacità di guardare l’esistenza dritta negli occhi, e sollecitare chi abbiamo accanto a fare altrettanto, a render conto di sé e del modo in cui ha trascorso la propria vita. La verità è ciò che incontriamo ogni giorno come esperienza nostra o altrui, e non è mai un possesso, ma un’iniziativa, un calarsi corpo anima e mente nella realtà, uno sporcarsi le mani, una sfida continua, un’amicizia che “come ogni autentica amicizia, lotta per ciò che ama”. E questa verità, la verità della vita (di ogni singola vita) restituita a se stessa, accolta e ricollocata in un orizzonte di senso più ampio, è esattamente ciò che in ultima analisi ho conosciuto e amato profondamente di tutta l’esperienza lavorativa e umana comunitaria, il centro pulsante di quello che realmente accade nell’arco di un percorso riabilitativo all’interno della Pars.
E’ giustissimo e auspicabile che dei controlli vengano effettuati periodicamente in questa come in tutte le altre strutture regionali, sono strumenti utili tanto a chi controlla quanto a chi viene controllato, nonché ai destinatari di tali “servizi”. Ma gettare ombre sull’operato della Comunità, insinuare inadempienze ben più gravi della mancanza di un’etichetta su un prodotto fresco o di un’informazione in un dossier, indicare velatamente altre realtà come migliori di questa va decisamente al di là tanto di un mandato giornalistico quanto della semplice informazione.
Apriamo gli dunque occhi e abbiamo la lungimiranza e l’intelligenza di guardare alla Luna, non al dito che la indica, e a quanto possa apparire malconcio, ferito, sproporzionato o sgraziato ai nostri occhi; quella Luna ha rischiarato molte notti, indicando una strada sicura ove tutto era smarrito e privo di riferimenti…in attesa di una nuova alba. Che per moltissimi ragazzi è arrivata e continua a risplendere. Questo conta, ed è di questo che parliamo…di questo che parlo, quando ripenso alla Pars e a quanto visto, vissuto, sentito.
Al di la del caso specifico, di cui non voglio entrare nel merito perché non conosco la situazione, il problema è che due o tre cooperative negli ultimi anni hanno preso il monopolio del sociale, facendo il bello e il cattivo tempo, senza di fatto poter far niente perché i bandi prevedono minimo 3/5 anni di esperienza specifica della società nel settore e un fatturato degli ultimi tre anni molto alto e quindi di fatto si creano dei monopoli, quando baterebbe che 10 persone si associassero e formassero una cooperativa (ma vera) e insieme potrebbero gestire una qualsiasi struttura, assegnandosi una stipendio adeguato e lavorare per loro stessi, potendo dare servizi ben diversi, ma dopo la politica come mangia?
si cita nell’articolo: “un’ispezione a cura del Dipartimento in questione in una delle sedi di Corridonia della comunità Pars, effettuata, a quanto pare, a seguito di una o più lettere anonime dal contenuto piuttosto pesante e di una serie di lamentele pervenute da qualche tempo, concernenti la qualità del vitto, il lavoro come esclusiva terapia, la scarsità del riscaldamento durante i mesi invernali”
Mi chiedo se chi scrive abbia verificato questo fatto: ci sono lettere anonime? Se sono anonime si può dare così tanto credito a delle voci non verificate da iniziare controlli a seguito delle stesse? Esistono queste lettere? E’ possibile che un dipartimento si muova seguendo voci anonime di paese?
Se voci non verificate e soprattutto dubbie vengono prese così tanto in considerazione sarebbe triste e soprattutto grave.
Ciao a tutti, mi chiamo Maria Grossi, vivo da due settimane in una casa a Macerata dopo essere uscita dalla comunità PARS da un percorso durato tre anni e mezzo. Sono entrata in questo centro perché in famiglia ne avevamo sentito parlare da amici e abbiamo voluto provarci,ci siamo affidati. Anche perché fino al giorno del mio ingresso in comunità ero stata in un’altra sede in Calabria . Un percorso durissimo durato due anni. Questo centro in calabria non è convenzionato ,funziona esattamente come il San Patrignano e mi permetto di dire ,anche per questo motivo, non funzionava in modo positivo. Quando una comunità è gestita solo dall’interno,come si fa a capire quello che accade?se ci stai dentro e sei tu che la mandi avanti, come fai a risolvere gli innumerevoli problemi che quotidianamente sorgono?
Senza figure esterne come punti di riferimento, indicazioni da esperti del mestiere medico-terapeutico, chi è in grado da solo di guidare tutte queste persone in difficoltà?
Dopo due anni ho scelto di andare via poiché proprio questo meccanismo di chiusura nei confronti del mondo esterno aveva innescato processi violenti e distruttivi all’interno del centro e tra tutti noi i ragazzi.
Sono scappata senza avvertire perché se l’avessi fatto probabilmente la responsabile mi avrebbe fermata con violenza e sarebbe iniziata un periodo di ossessione violenta nei miei riguardi. Avevo paura. Con me ed altre ragazze era stata violenta.
Comunque decido di andare via ma di rientrare subito in un’altra sede,non mi sentivo ancora pronta per riprendere in mano la mia vita.
5 Dicembre 2010 faccio il colloquio alla PARS e in un mese riesco ad entrare, il tempo per il SERT (Servizio Tossicodipendenze), di completare l’ ITER medico-terapeutico e burocratico.
Dal gennaio successivo inizia il mio percorso. Ero sconvolta,confusa,piena di paranoie. Mi sentivo a disagio e sola. L’equipé della comunità aveva però deciso per tutti noi utenti,un preciso percorso fatto di obiettivi da raggiungere e superare.
Un gruppo di esperti composto da psichiatra psicoterapeuti educatori ed altre figure professionali. Una volta alla settimana,sempre, riuniti per noi. Per trovare le soluzioni migliori per farci stare meglio(inclusi i medicinali psichiatrici che vengono scelti dal medico psichiatra con il quale ogni utente manterrà un legame di monitoraggio per tutto il percorso terapeutico), metodi e approcci differenti in base al carattere della persona ed alla sua storia.
L’obiettivo è RICOMINCIARE A VIVERE.
Noi ragazzi lavoriamo si, alle volte capita di lavorare qualche ora in più in occasione di feste o di grandi raccolte di frutta. Ma ognuno di noi impara qualcosa e ci si impegna per realizzare i progetti che portano apertura alla comunità e perché no anche profitti. Ma non è male, sapete quanti centri esistono della PARS?L’ultimo aperto due anni fa,proprio al Villaggio San Michele di Corridonia, adesso ospita una comunità per minori. Non è una meraviglia?Questi sono gli obiettivi.
Ma non tutti riescono a raggiungerlo poiché non basta solo tutto l’impegno e le capacità dei nostri operatori..o terapeuti.. Serve la paura di ricadere, la voglia di cambiare. Il terrore di tornare come prima..quando tutto era sfocato,malato,morto. Io ero morta. e ho visto la morte davanti di quelli amici che come me non sono stati fortunati e la droga se li è portati via. Un ricordo a Pier morto l’8 dicembre 2008 a Roma, a casa mia, un ricordo a Mats morto lo scorso 4 gennaio nella sua casa di Tolentino.
Fin quando non si ha la consapevolezza di ciò che significa la droga e di ciò che può provocare ,può rimanere l’illusione di un mondo figo, senza regole, fatto di tante persone intorno senza nemmeno un amico,di musica alta o senza rumori. Un mondo ovattato, morbidoso, pieno di emozioni istantanee, spericolato, sfacciato..per questo attraente.
Le persone che restano legate a quest’idea di droga non riescono ad uscirne, neanche stando in comunità. Per questo i risultati dopo i percorsi comunitari, non sono sempre positivi. Non tutti fanno il percorso in maniera chiara, con la voglia di cambiare davvero.
Per questo aggiungo, stando questi tre anni e mezzo alla PARS di polemiche ne ho sentite. Ragazzi che non si fidano ne affidano, che portano all’interno del gruppo in comunità, atteggiamenti “da piazza” prendendosela con operatori,comunità.Anche i compagni che invece cercano di fare bene vengono criticati e allontanati perché per questo tipo di persone l’importante è portare avanti e mantenere la propria vita da tossico falso, senza “attributi” e tenere lontano chi cerca di rompere questo loro schema.
Per me è stata una lotta continua con i compagni perché gli sono sempre andata contro.
Ma per vivere ci vuole forza e coraggio.
Chi non vuole vivere ha poche vie d’uscita..: il carcere, il cimitero. chi vuole vivere ha la comunità.
A me la PARS mi ha salvata, ripescata dall’oblio di una vita dura,confusa,dalle conseguenze psicofisiche che le droghe mi hanno lasciato,una vita oltre il confine.
Amo tutte le persone che sono lì. Tutti a combattere per aiutarci.
E invito chi è scettico e polemico ad andare di persona a visitare i centri, a vedere con i propri occhi cosa significa stare li. La comunità è aperta oltre che spesso si fanno feste aperte a tutti con ottimi pranzi e qualche attività. Un modo per conoscere da vicino questa realtà così tanto dibattuta!
E vi accorgerete che l’aria lì è diversa. C’è un occhio di riguardo per tutti, tutti si impegnano a Vivere e il clima positivo colpisce a attrae (certo da chi ha occhi e cuore aperti per vedere).
Grazie per la pazienza perché mi sono dilungata.
Maria Grossi ex utente della PARS, di Roma e trasferita a Macerata, vivo con il mio fidanzato e sono serena.
maria grossi,sei appena uscita dalla comunita’.mi sembra un po’ presto per fare questo tipo di discorsi da “redenta”visti gli ultimi fatti di cronaca di persone appena uscite dalla comunita’ ….detto questo ti auguro comunque ogni bene possibile….
Le persone uscite dalla comunità che non ce l’hanno fatta,quelle che conosco, tutte, sono quelle che per diversi motivi non hanno conclusi bene il percorso o in definitiva non lo hanno fatto seriamente.
Una realtà come questa, i suoi meccanismi, si può comprendere se ci si é entrati in contatto comprendendone il significato.
Grazie del vostro augurio.
Io ce la farò;)
Senta,siccome sono di macerata,non mi venga a dire che quelli che non ce l’hanno fatta sono solo quelli che non hanno concluso il percorso e “non lo hanno fatto seriamente”.Poi il discorso non era questo.Qua’ si sta parlando della gestione della comunita’,si sta’ dicendo che vengono spesi piu’ di 100 euro a persona (giornaliere) per far mangiare alimenti scaduti ai ragazzi e per farli lavorare come muli (e non mi venga a dire che non è vero perche’ conosco almeno 20 persone che sono state alla pars e quasi tutti mi hanno riferito le stesse cose).100 euro per 500 posti sono circa 50000 euro al giorno.In un anno sono 18 milioni di euro spesi dalla regione marche,quindi se si vuole far luce su dove finiscano questi soldi,non ci vedo nulla di sbagliato.La tossicodipendenza è diventata un bel businness al giorno d’oggi……
Prima di tutto non si lavora come muli, ma chi dice queste baggianate? Qualcuno sa cosa significa lavorare? Come muli? 100 euro al giorno per mangiare cose scadute? Sono stata li anni non diciamo scemenze. E non giudichiamo dalle voci ma solo da fatto constatati. Grazie. Comunque gli ospiti delle tre comunitâ non arrivano a sessanta.
E aggiungerei, coloro che hanno avuto forti ricadute fino alla morte, dopo la comunità sono sempre quelli che non hanno fatto il percorso con serietà e lealtà e voglia di cambiare. Percorsi interrotti per insistenza dell’utente o perché scaduti i termini di pagamento dal sert. Probabilmente.,nonostante il tempo a disposizione il ragazzo non avev fatto le cose seriamente. Sono dinamiche comuni in comunità. Lei lo sapeva? É stato in comunità? Sa cosa significa vivere in comunità?