di Giuseppe Bommarito *
Nei primi giorni dello scorso mese di dicembre si è consumata a Macerata l’ultima tragedia dovuta ad un’overdose fatale da eroina. Vittima uno sfortunato ragazzo tossicodipendente di appena 24 anni, che da diverso tempo camminava sullo stretto crinale che divide la vita dalla morte, tra innumerevoli tentativi di smettere e ricadute sempre più pericolose. Pochi giorni dopo la Squadra Mobile della Questura di Macerata, con una brillante operazione,ha individuato ed arrestato due giovani, ritenuti responsabili dello spaccio dell’ultima dose, quella che non ha lasciato scampo al ventiquattrenne maceratese: una delle due persone assicurate alla giustizia è una ragazza di 29 anni, anch’essa tossicodipendente da anni, già arrestata per spaccio di sostanze stupefacenti appena un mese e mezzo prima e ovviamente in quell’occasione subito rimessa in libertà. Tante sono le riflessioni che possono farsi su questa tragica vicenda, su queste due vite irrimediabilmente spezzate, una pervenuta senza biglietto di ritorno al cimitero di Macerata e l’altra giunta per adesso al carcere di Camerino, ma comunque segnata per sempre.
Viene da chiedersi, per esempio, per quale motivo, nella stragrande maggioranza dei casi dopo un overdose mortale le forze dell’ordine individuano in pochi giorni gli spacciatori responsabili, mentre invece tanta solerzia investigativa (che potrebbe evitare tragedie irrimediabili) non si registra nel contrasto allo spaccio e al microspaccio quotidiano che comunque compromettono pesantemente la salute, le aspettative e la vita di tanti giovani e giovanissimi, nonché delle loro famiglie. Così come è difficile non tornare a riflettere su un sistema normativo assurdo che non assicura affatto la certezza della pena e non sanziona adeguatamente i reati connessi al traffico, al commercio ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, tutti reati con esiti potenzialmente mortali, e consente a migliaia di spacciatori di entrare ed uscire dal carcere nel giro di pochissimo tempo – come se,anziché istituti penitenziari, fossero alberghi ad ore con le porte girevoli – per poi riprendere, sempre più impuniti ed arroganti, il loro infame mestiere esattamente dove l’avevano interrotto.Infine un ragionamento molto approfondito andrebbe condotto anche sull’efficacia delle pratiche terapeutiche adottate in ordine alle tossicodipendenze consolidate, per le quali i soli farmaci sostitutivi (il metadone e il subutex) – diciamo la verità – nella maggior parte delle situazioni non risolvono un bel nulla, e a volte finisono anche per aggravere il problema. Tutte questioni fondamentali, che abbiamo già affrontato diverse volte su questo giornale e sulle quali sarà necessario comunque ritornare. Ora però, proprio partendo dall’ultima tragedia maceratese dovuta alla stramaledetta droga, vorrei portare, con una domanda molto semplice, la riflessione su un altro tema: il dramma di chi in questa occasione (e in migliaia di vicende analoghe) ha trovato la morte e quello di chi ha dato la morte sarebbero stati evitabili se in Italia fosse vigente un regime di obbligo di cura per il tossicomane? Detta in altri termini: un serio obbligo di cura avrebbe evitato la morte al primo protagonista della triste storia da cui siamo partiti? E avrebbe scongiurato alla seconda protagonista il carcere ed un rimorso che la schiaccerà per tutta la vita? Non è una questione nuova, se ne parla da anni: il primo a parlarne, se non sbaglio, fu il grande giornalista e scrittore Guido Vergani nel 1999 sulle pagine del Corriere della Sera; l’argomento è stato poi ampiamente ripreso da due psichiatri, Roberto Bertolli e Furio Ravera, nel più bel libro sulla droga che mi sia mai capitato di leggere: “Un buco nell’anima”. Però mi sembra utile ridiscuterne, partendo da un presupposto che ormai, almeno in teoria, è comunemente accettato, senza farne discendere tuttavia le dovute conseguenze: la tossicodipendenza non è un vizio, ma una vera e propria malattia, così come stabilito anche in sede scientifica dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Una malattia inizialmente autoindotta, certo, ma pur sempre una patologia, per di più grave, tendente alla recidiva ed anche a cronicizzare, con esiti pesanti e a volte pure mortali,da cui comunque con un determinato percorso si può guarire. Una malattia – è questo il punto centrale – che, per l’effetto delle sostanze sul sistema cerebrale, indeboliscesempre di più, sino a cancellarla, la volontà di chi le assume.
In altri termini, la dipendenza è, per definizione, schiavitù, capitolazione alla sostanza, un comportamento compulsivo che mette al centro di tutta la vita quotidiana la ricerca ossessiva e l’assunzione della droga, aggredisce la capacità di intendere e annulla del tutto la capacità di volere. Certo, stabilire un obbligo di cura per i tossicodipendenti apparentemente è poco democratico, poco rispettoso della libertà individuale: ma la volontà del tossicodipendente che nega a se stesso la malattia (giacchè anche tale negazione è una componente della malattia) e quindi rifiuta di curarsi, o fa semplicemente finta di curarsi con il metadone seguitando di fatto a drogarsi, è libera, oppure è una volontà coartata e intrappolata dalla sostanza? Se la tossicodipendenza intesa come patologia implica proprio l’annullamento della volontà, soffocata dalla ricerca compulsiva ed irrefrenabile di un piacere artificiale, non è un comportamento falso ed ipocrita delle istituzioni quello di lasciare ad un soggetto privo della libera espressione della propria volontà la scelta tra curarsi e no? Potrebbe anche sostenersi, ed anche con qualche ragione, che senza il consenso convinto del tossicodipendente qualsiasi terapia di fuoriuscita dalla droga rischia fortemente di essere inefficace. Il che, appunto, in molte situazioni è vero, ma è pur vero che in tanti altri casi una terapia iniziata senza convinzione o per sfuggire al carcere ad un certo punto, allorchè l’autodeterminazione è tornata ad essere realmente concreta,può acquisire la consapevolezza ed il convincimentodel soggetto interessato e diventare risolutiva.
Cerchiamo quindi di uscire tutti quanti dall’ipocrisia di Stato e dai pregiudizi ideologici, visto che la lotta contro la droga e per le migliori terapie di fuoriuscita dovrebbe essere non solo prioritaria, ma anche assolutamente bipartisan, e proviamo a sostenere realmente chi è in difficoltà ed è in grado solo di prendere le decisioni più sbagliate. Iniziamo pertanto a discutere, almeno nei casi più gravi, degli strumenti per aiutare veramente chi, a causa della droga e della tossicodipendenza che questa innesca, rischia di uccidersi e/o di uccidere, nonché le loro famiglie, costrette ad assistere nell’impotenza e nella disperazione alla lenta agonia dei loro figli. Si potrebbe, in ipotesi, pensare di obbligare il tossicodipendente a curarsi nelle comunità terapeutiche nei casi di inutile frequentazione dei Sert per oltre un anno o due, nonché al primo o al secondo TSO (trattamento sanitario obbligatorio); oppure fare altrettanto sin dal primo reato connesso all’uso di sostanze (spaccio, furti, rapine, violenze in famiglia, ecc.), anziché mandare in carcere o, peggio ancora, rispedire a casa con il beneficio della condizionale un tossicodipendente reso ancora più spregiudicato da una distorta sensazione di impunità e pronto a reiterare il reato all’infinito. Sarebbe opportuno, in vista del medesimo obiettivo, anche utilizzare di più, nelle situazioni di tossicodipendenza prolungata, gli strumenti dell’amministrazione di sostegno e pure dell’interdizione.
Poi, dopo la disintossicazione fisica ed un periodo di comunità sufficiente a recuperare una reale libertà di scelta, gli interessati potranno tornare ad esprimersi in prima persona circa la loro ulteriore permanenza nella struttura comunitaria: ma in tal caso, a parlare e a prendere posizione saranno veramente loro, e non la droga che sino a quel momento ha comandato nel loro cervello. Certo, per imporre ai tossicodipendenti una cura prolungata e a lungo termine nelle comunità terapeutiche (che, in prospettiva, può anche ridurre i costi sociali e sanitari connessi a tossicodipendenze che si trascinano per anni, se non per decenni) bisogna avere il coraggio di raccogliere l’inespressa richiesta di aiuto di tanti giovani, incapaci di fermare da soli la loro corsa verso il nulla e l’autodistruzione, e quella invece urlata di tante famiglie, lasciate da sole a combattere qualcosa che nemmeno riescono a capire sino in fondo. Bisogna superare gli schematismi, i pregiudizi, i richiami solo formali ed ipocriti a valori certamente importanti come la libertà, la democrazia, che vanno però riempiti non di vuoti slogan, ma di contenuti reali. Bisogna cercare di fare qualcosa di concreto, e non riproporre all’infinito, senza metterli mai in discussione, modelli terapeutici che non garantiscono affatto la risoluzione del problema. Di tutto ciò, tuttavia, come peraltro anche delle varie problematiche giovanili connesse all’istruzione, alla formazione, alla ricerca ed alla conquista di un posto di lavoro, alla costruzione di un futuro decente per i nostri giovani, nessuno, nell’ambito della presente campagna elettorale, ha speso una sola parola. E questa è, a mio avviso, una grave colpa.
* Avv. Giuseppe Bommarito
Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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se ne faccia portavoce e lo realizzi …… a nome di tante famiglie che convivono quotidianamente questa realtà…..
Caro Peppe,
mi trovo perfettamente d’accordo con tutto quello che dici. Ho perso la voce a forza di dire, non in maniera chiara come sai fare tu, che non si possono tenere i tossicodipendenti per anni e anni a vegetare nei Sert o, peggio, in casa senza far nulla; e questo senza nulla togliere al dott. Giuli, al dott. De Rosa e ai loro collaboratori che svolgono il loro compito in maniera egregia. Ma è il sistema che è sbagliato, questi giovani non sono in grado di ragionare, la droga offusca la loro volontà, non sono in grado di decidere sul come recuperarsi alla vera vita. Ognuno di loro dice che è in grado di smettere quando vuole, ma sappiamo benissimo che così non è. Occorre una legislazione diversa che imponga l’obbligo di ricovero presso le Comunità terapeutiche. In campagna elettorale si parla di lavoro per i giovani, ma come può lavorare un tossicodipendente? Nessuno si prende la responsabilità di dire basta a questa rovina dei nostri giovani.Ogni sera vengono da noi famiglie disperate, non sanno più dove sbattere la testa, in casa loro non è rimasto più nulla perchè i loro figli hanno rubato tutto pur di procurarsi la droga, addirittura qualche famiglia, per tutelare il buon nome, paga i debiti contratti dai figli con gli spacciatori, siamo a questo punto. La libertà di ogni individuo è una gran bella cosa, ma finisce laddove diventa un peso insostenibile per la comunità. Riguardo al fatto che gli spacciatori vengono rilasciati ogni volta, voglio ricordare che lo spacciatore che dette la dose letale a mio figlio era stato arrestato già per ben sei volte ed ogni volta era uscito dopo poche ore, per di più era un irregolare senza visto di soggiorno. Dopo sette anni sto ancora attendendo che venga condannato. Provo tanta amarezza e non mi sento di dire altro. Noi della Rondinella inviamo ragazzi in Comunità e recuperiamo alcolisti che è una piaga non meno grave della droga. Occorre battere la strada della prevenzione in ogni ordine di Scuole partendo dalle Scuole Medie perchè i ragazzi cominciano a 11 anni a far uso di cannabis. Ma questi incontri non devono essere sporadici, qui serve un martellamento continuo altrimenti tra 20 anni avremo perso due generazioni di giovani. Grazie Peppe per il tuo articolo eccellente.
Gaetano Angeletti – Presidente Associazione “La Rondinella” – Corridonia
…per saperne di piu…..
http://www.espad.org/en/References–Literature/
http://www.drugabuse.gov/
Caro Peppe, ti leggo sempre con interesse ed anche stavolta condivido tutte le tue considerazioni. Aiutami, però, a sciogliere un dubbio. Le nostre carceri scoppiano e gli spacciatori (soprattutto gli ultimi anelli della catena rappresentano una grossa componente. Allora come conciliare l’isolamento di questi soggetti con una gestione carceraria accettabile e ad un tempo efficace? Se non si affronta questo nodo, si cade nello sconforto e non soltanto di fronte ai reati di droga, ma al valore della giustizia nel nostro disgraziato paese.
intanto che, giustamente, ci si preoccupa di imporre cure a tossicodipendenti, io mi preoccuperei soprattutto di stanare e mandare all’ergastolo chi, con mille coperture e impunemente, continua a fornire droga a chi è già caduto nella rete.
Per Francesca Acquasanta
Magari avessi la forza ed i poteri per imporre l’obbligo di cura di cui stiamo parlando. Ciò che posso fare, e che sto facendo, è porre la questione, sensibilizzare l’opinione pubblica, tentare di creare un movimento di opinione che possa in qualche modo obbligare la nostra classe politica ad intervenire con serietà e senza ipocrisie nella problematica delle metodologie di cura e reinserimento dei ragazzi tossicodipendenti. Tra l’altro, la vicenda di Niky (che conosco da anni e che ho in qualche modo cercato di aiutare), raccontata sopra in un altro articolo, dimostra in maniera certa quanto sia falso ed ipocrita lasciar decidere del proprio destino chi non è assolutamente in grado di farlo, proprio perchè la tossicodipendenza glielo impedisce.
Per Giuseppe Giampieri
Intanto ti dico: che piacere risentirti, dopo tanto tempo! Poi cerco di rispondere alla tua domanda. Secondo me, il legittimo diritto delle persone incarcerate a scontare la loro pena in maniera dignitosa si può risolvere solo costruendo nuovi istituti penitenziari, come da oltre un decennio promettono (a vuoto) di fare i nostri governanti sia di centrodestra che di centrosinistra. Un sistema carcerario efficiente, tra l’altro, potrebbe consentire anche di svolgere quell’opera rieducativa che la nostra Costituzione prevede. Un sistema carcerario inefficiente, invece, distrugge i reclusi e pone di tanto in tanto le condizioni per provvedimenti di amnistia che sono devastanti sotto il profilo dell’ordine pubblico.
Aggiungo che, anche se può apparire paradosale, solo un sistema di pene adeguate e la certezza della pena (per i reati connessi alla droga, ma anche più in generale) possono, con la loro sicura efficacia deterrente, contribuire nel tempo a ridurre il numero dei soggetti reclusi.
Quando gli ineterventi e le discussioni si mantengono ai livelli dei precedenti, torna la speranza che tutti insieme si possa fare qualcosa di concreto e costruttivo per quanto riguarda il problema “droga”.
Condivido naturalmente quasi tutto, soprattutto quanto detto in merito a certezza della pena e situazione carceraria, ma vorrei fare a Bommarito una domanda. Come si concilia la volontà di obbligare alla cura, con il pensiero diffuso tra i terapeuti che, per essere efficace, la cura deve prevedere la collaborazione del paziente e quindì la sua volontà di essere curato?
Per Cecco Angiolieri
In parte ho già risposto alla Sua domanda nel mio articolo.
Non c’è dubbio che il presupposto migliore per una terapia di comunità efficace sia la convinzione e la collaborazione dell’interessato. Tuttavia in numerose comunità terapeutiche si è riscontrato che molti soggetti, entrati in comunità “a forza” (ad esempio, in alternativa al carcere) e senza convinzione alcuna, hanno poi cambiato atteggiamento in corso d’opera, trovandosi a contatto, una volta effettuata del tutto la disintossicazione fisica ed in parte quella psicologica, con tanti coetanei sinceramente e realmente impegnati nella loro personale rinascita. Ovviamente non sempre ciò avviene, non sempre funziona quell’effetto di trascinamento e di solidarietà reciproca che è il punto di forza delle terapie comunitarie.
Molto dipende poi dalla scelta della comunità. Ci sono infatti comunità terapeutiche che considerano il tossicodipendente solo come “la gallina dalle uova d’oro” e non fanno nulla a livello di terapia cognitivo-comportamentale per aiutare i ragazzi a fortificarsi e a saper affrontare la vita una volta ributtati nel palcoscenico della vita. Si limitano a “contenere” i ragazzi, che rimangono lontani dala droga per il periodo di residenza in comunità, per poi, una volta fuori, ricominciare daccapo.
Altre comunità invece fanno un lavoro serio, disintossicano fisicamente e psicologicamente, fortificano, riabilitano i ragazzi, li dotano di una qualche professionalità per reinserirsi poi nella società.
Insomma, non tutte le comunità sono uguali. Resta comunque il fatto che la terapia comunitaria, rispetto a quella solo ambulatoriale, garantisce le migliori percentuali di reale recupero dei ragazzi tossicodipendenti.
Peppe,
Pur comprendendo il tuo ragionamento mi viene da pensare che a forza di “divieti” e “obblighi” in materie etico-sensibili ( passami il termine) in Italia le libertà individuali ( e i diritti) sono anadate a farsi fottere.
Altra cosa invece è l'” obbligo” dello Stato a garantire (sempre) tutti gli strumenti necessari a combattere il sistema che c’è dietro e consentire di “scegliere” liberamente. Da quelli preventivi ( “solerzia costante” delle forze dell’ordine e qualche indagine più approfondita nel riciclo di denaro “nero” di qualsiasi natura, anche le più insospettabili) a quelli riabilitativi ( cambiare la cultura e le funzioni dei “metadonifici” pubblici e pubblici/convenzionati).
Chissà se sarà il caso di investire moooolto di più e meglio nella prevenzione dalla droga e dall’alcool ( altra roba spaventosamente sottovalutata).
Ma anche tu avrai “notato” che questo tema non è molto popolare in campagna elettorale, no? Pensa ad un candidato che si presenta e nel suo programma dedica ( e discute pure pubblicamente) un capitolo serio e documentato a questa materia. Fantasia allo stato puro.
Con tutto il massimo rispetto a chi è coinvolto personalmente del problema della droga, ma è proprio per questo bisogna dire No a qualsiasi forma di droghe. Il link che metto non è una riflessione sull’ultima morte per droga nella provincia di macerata, ma è un esempio di come la droga direttamente o indirettamente è SEMPRE la causa di fatti drammatici sociali con protagonisti i giovani. Nessuno fa nulla a livello politico e legislativo. http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/02/23/news/ragazzo_accoltellato_muore-53228386/?ref=HREC1-9 Questo ragazzo morto accoltellato a Roma da un suo amico per “debiti di soldi per droga” è l’esempio che se a 15-16 anni invece di sentirsi grandi facendosi le canne, fumando di tutto sniffando di tutto, si fosse inculcato a lui e al suo gruppo di amici che la droga non ti fa sentire figo, ma tutt’altro, magari forse avrebbero preso altre strade meno pericolose. Oggi come oggi su qualsiasi fatto di cronaca, la droga è sempre la protagonista diretta o indiretta del fatto accaduto. Qualcuno più esperto di me parlava di prevenzione, ecco per me la prevenzione è partire dal basso, partire dai controlli, nelle discoteche nelle scuole, nei bar, con i cani antidroga dapertutto. Sconfiggere il piccolo spaccio locale casareccio da bar alla casa dalla discoteca al parcheggio da scuola alla casa ecc ecc. Stroncare in tutti i modi il piccolo spaccio di qualsiasi sostanza. Qualsiasi. E non è come dicono molti che non serve a nulla. Partire dai piccoli per prendere i grandi. Se nessuno compra più, il commercio si blocca. Quante altre morti simili dovremo vedere? Quanti morti per droga? Quanti drammi familiari ancora? Quanti furti scippi aggressioni rapine violente, dovute allo sballo del cervello annebbiato dalla chimica della droghe dovremmo ancora assistere? E nessuno fa nulla per sconfiggere questo CANCRO della droga. Nessuno. La campagna elettorale appena conclusa..avete sentito qualcuno parlare della droga? O della sicurezza sociale, che sarà la prossima bomba che scoppierà a breve? (e che guarda caso al 90% è sempre legata al discorso droga, e il cerchio si chiude)
Caro El Dindo, ti vorrei abbracciare!
Quei signori che ancora parlano di legalizzare la cannabis, e coloro che anche in questa campagna elettorale nulla hanno detto sulla droga, sull’alcol e sulle varie problematiche giovanili, strafregandosene completamente, li porterei in qualche assemblea nelle medie inferiori (io ne faccio moltissime) per sentire cosa raccontano i ragazzi (ovviamente parlando come se si trattasse di un loro amico), come conoscono i punti di spaccio nei loro paesi meglio dei Carabinieri, come descrivono i rituali di fumo collettivo sempre più frequente e sempre più obbligatorio (perchè dopo qualche tempo non riescono a farne a meno), come parlano dei loro amici appena più grandi che sono già passati ad altre sostanze, come descrivono alcuni videogiochi in cui l’eroe è uno spacciatore che combatte contro le forze dell’ordine ed altre bande concorrenti di spacciatori.
Qui stiamo parlando di una vera e propria epidemia sociale e sanitaria a carico delle giovani e delle giovanissime generazioni, e la maggior parte delle persone e delle istituzioni ignora totalmente il problema. Fateci caso: se qualcuno oggi parla di droga, affronta solo la problematica della legalizzazione della cannabis. Tutto il resto, ed è un incubo che sta cadendo addosso a tutti noi, semplicemente non esiste.
Leggete la presentazione di questo libro,fatta da Aldo Cazzullo su corriere.it e vi renderete conto di quanto Peppe Bommarito abbia ragione:
Il libro di Parenti sui servizi preparati dopo quello sui parlamentari e mai andati in onda
Le Iene nel liceo milanese dove si droga
un ragazzo su due
Tamponi prelevati con una scusa. «E fuma un pilota su 4»
Il libro inchiesta «Droga» di Davide Parenti
«Prima andammo in una delle discoteche più famose di Milano, e scoprimmo che più della metà dei maschi aveva preso droga. Il servizio andò in onda e nessuno protestò. Così ci riprovammo con i parlamentari: su 50, sedici avevano assunto stupefacenti, in un caso l’eroina. Ma quel servizio non l’ha mai visto nessuno. Mi arrivò in casa la Guardia di Finanza alle 4 di mattina. Mi condannarono a 5 mesi e 20 giorni per nocumento alle istituzioni, poi commutati in 15 mila euro di ammenda. Nel frattempo ci era passata la voglia di mandare in onda le altre due inchieste che avevamo preparato: tra i piloti d’aereo, scoprimmo che uno su 4 – quando non era in servizio, tra un volo e l’altro – aveva fumato cannabis; e fuori da un liceo scientifico milanese. Qui la percentuale saliva parecchio: più della metà…».
Davide Parenti, 56 anni, è l’inventore delle Iene. E anche il curatore del libro-inchiesta che esce la prossima settimana e si intitola appunto «Droga», con la postfazione di don Gino Rigoldi. «Dentro ci sono le storie che abbiamo raccolto nei sedici anni in cui ci siamo occupati dell’argomento, e quel che abbiamo capito. Per scriverlo abbiamo incontrato il capo dipartimento Politiche antidroga Giovanni Serpelloni. Siamo andati a trovare i finanzieri che combattono il narcotraffico a Malpensa, uno pneumologo dell’Istituto dei tumori, un capo del Sert di Milano, uno psichiatra specialista delle tossicodipendenze, un genetista che lavora con i semi di marijuana che fanno da base anche a molte medicine. Ci siamo letti tutte le cose più recenti uscite nel mondo: manuali di pronto soccorso, opuscoli underground, ricerche sugli animali, libri di storia, articoli di neuroscienze. Siamo andati alle riunioni degli alcolisti anonimi e nei luoghi dove le persone consumano la droga».
Conclusione: «La droga è davvero molto più diffusa di quel che si pensi e soprattutto stanno cambiando i consumi. La cocaina non è più la droga dei ricchi ma imperversa dove c’è il disagio, il vuoto, la povertà di prospettive. La si compra al bar dove si prende l’aperitivo. In ogni discoteca ci sono almeno cinque o sei spacciatori che vendono di tutto. I prodotti più pericolosi sono le pastiglie che escono da laboratori improvvisati: neanche chi le vende sa cosa c’è dentro. I nostri ragazzi muoiono così. E muoiono dentro quelli che dalla droga non sanno ritrarsi». Dice Parenti di non voler «fare il moralista. Stabilire cosa sia droga e cosa non lo sia è una convenzione culturale: alcol e caffè sono socialmente accettati, ma hanno comunque effetto sul sistema nervoso; la percezione del consumo del tabacco è cambiata completamente, una volta la sigaretta era un elemento di seduzione, ora è un vizio. Io come molti qualche droga l’ho provata. Non è sfiga; è curiosità.
Quando facciamo le interviste doppie che mandiamo in onda alle Iene chiediamo sempre: vi siete mai fatti uno spinello? Tutti rispondono di sì. Sono molti meno quelli che hanno il coraggio di ammettere di aver provato altre droghe. Nel nostro programma c’è anche lo “Sconvolt-quiz”, in cui ai ragazzi in discoteca alle 4 di mattina vengono fatte le domande più banali: quanti mesi ci sono in una stagione? Quanto fa 3 per 2? Non sanno rispondere, perché sono completamente sconvolti». «Ci sono quelli che passano oltre. Ci sono quelli che ci restano impigliati. “Farsi” diventa l’unico orizzonte, l’unica ragione di vita. Perdono la socialità, diventano aggressivi, violenti, infelici. Per non parlare della dipendenza fisica. Peggio della cocaina è il crack: dà un effetto che finisce in un attimo, e ti spinge a ricominciare; come un motore che non parte mai. Ce l’ha raccontato un dipendente da crack: “Ogni volta che ci pensi ti dai del pirla da solo, però ogni cinque minuti ti viene voglia di fumare”».
Come funzionano i test antidroga delle Iene? «La prima volta abbiamo usato un meccanismo ingegnoso ma scomodo – risponde Parenti -. Abbiamo applicato uno spugnetta negli orinatoi di una celebre discoteca, e ogni volta la sostituivamo e la analizzavamo. Poi siamo passati a un sistema più semplice. Si simula un’intervista su qualsiasi argomento. Con il pretesto di asciugare la fronte dell’intervistato, si preleva un campione di sudore con un DrugWipe, un rilevatore che ci dice se la persona ha preso droghe – e quali – nelle ultime 48 ore. Tengo a precisare che non abbiamo elenchi di nomi, solo dati di gruppo. I liceali li abbiamo scelti tra gli allievi degli ultimi due anni, e i dati in effetti sono impressionanti. Anche se basta poco per arginarli: una ricerca condotta in India dimostra che i controlli in famiglia funzionano; se anche solo il padre chiede ogni volta al figlio dove va la sera e cosa fa, la percentuale di rischio che diventi un tossico si dimezza. Quanto ai piloti, ci aspettavamo che prendessero cocaina per stare svegli; invece fumano hashish tra un turno e l’altro, per rilassarsi».
Ma il “permissivismo”, cioè il ” ‘fanculo” le regole, tutte e i “doveri” della convivenza civile, tutti (le regole che ci sono-di base in un Paese civile dovrebbero bastare ed avanzare senza tirar fuori un “divieti” ogni cinque minuti), è il “clima” che si respira nel Paese da anni. E questo non ha “aiutato” certamente a “discernere” innanzi tutto nella propria coscienza di “cittadino”, quello che è giusto e quello che è sbagliato (specialmente tra i giovani).
Secondo me la questione “droga” non “gira” intorno al dibattito “liberalizzare la cannabis” (che a mio avviso, nel merito non c’entra niente con il problema “sociale” della droga).
La questione “gira” intorno alla volontà o meno ( politica, siamo sempre lì purtroppo-e non si tratta di un “rimando” ad altri per “non fare niente”) di stroncare in primo luogo il giro miliardario di “ripulitura” ( rendendoli “contanti sonanti”) di capitali “grigi”. Per essere ancora più chiari: non mi rferisco soltanto quelli assai scontati ( e comodi da indicare) della criminalità organizzata ma anche quelli dell'” altra ” criminalità organizzata. Più o meno quella molto “irreprensibile” edalla faccia pulita e “rispettabile” ( se non “invidiata” e considerata da “emulare” da un certo “popolo”) che ha “scudato” i 100 miliardi che erano all’ “estero” con un “obolo” del 2-4% di “multa”.
Ecco, se si uscisse da questa pratica immonda forse gli “affari” degli spacciatori (piccoli-medi e grandi) già diminuirebbero sensibilmente.
Non sono uno studioso del settore ma non ci vuole molto a capire che agendo solo ( o prioritariamente) sulla “leva” dell’aumento della “repressione” sul “terreno dello spaccio minuto” e della “severità del divieto” non si affronti correttamente ( e simultaneamente in tutti i suoi aspetti) il problema. Lo si “sposterebbe” nella sua interezza dimensionale in un’area più “clandestina” e ancora più redditizia ( perché più rischiosa). E ne incrementerebbe il “valore” senza per questo avere garanzie che diminuisca la sua diffusione.
Anzi, ci sarebbe da analizzare ANCHE quanto pesa “la sfida al proibito” sul terreno del primo passo verso la “pasticca”. Ma questo è un’altro discorso da “specialisti” anche se io ho le mie idee (empiriche, sia chiaro).
Per dirla tutta, ho pure la vaga impressione che “incanalare” la discussione sulla “droga” in questa direzione faccia mooolto comodo ( ovviamente non mi riferisco agli interlocutori di questo post e tanto meno all’ottimo Peppe estensore dell’articolo)
In America il “proibizionismo” ( inteso come strategia repressiva di un fenomeno “ritenuto” criminale come l’uso dell’alcool) e le sue “retate colossali e spettacolari” che davano alle fiamme i “palazzi” e i “sottoscala” dove si consumava l’alcool e si produceva qualche bottiglia di pessimo e velenoso distillato ( mentre nelle confortevoli case dell “middle class” si continuava a bere liberamente dell’ottimo Whisky del kentuky o scozzese), non risolse il problema. Come è noto la qustione “iniziò ” ad essere “risolta” con l’arresto e la distruzione della “cricca” Al Capone; guarda caso attraverso la strada dell’accusa per “evasione fiscale”.
Con ciò non voglio dire che non si debba “migliorare” e rendere più efficente il sistema preventivo-repressivo che agisce anche sul terreno dello spaccio/consumo minuto e capillare del territorio. Sono convinto che sia indispensabile sul paino della semplice e doverosa repressione di un reato, sia sul piano del “valore sociale ” della lotta alla droga e del “recupero” dei soggetti coinvolti, nonché come risposta “visibile” e concreta dello Stato anche a quelle famiglie (lasciate sole) che “domandano aiuto” alle istituzioni.
Anche su questo terreno però smettiamola di “raffigurare ” o “raffigurarci” l’ambiente” dello spaccio e del consumo di droga come unicamente i luoghi dell’emarginazione sociale ( quelli sono a Napoli-Scampìa e nelle grandi concentrazioni urbane) dell’ “elitarismo politico estremista ” ( ovviamente di sinistra) o dell’alternativismo giovanile, nonché di un certo sottoproletario. Fa comodo questa pseudo-descrizione “sociale” ma non è così e lo sanno tutti. In certe case della “middle class” italiota, grassa e ridanciana, nelle serate di “festa o soiréé” ma non solo, tra una bottiglia l’altra di champagne o “buon vino”, circolano kili e kili di “ottima e purissima” coca del valore incommensurabilmente più alto del valore di centinaia di migliaia di “pasticche”( sintetiche e ipervelenose) diffuse nelle discoteche del sabato sera o ai “Giardini Diaz”. ” Certo, il “fenomeno sociale” non fa discure altrettanto.
Voglio dire semplicemente che se ci si concentra esclusivamente e prioritariamente sulla “base della piramide” ( del fenomeno), state certi che prima o poi le “soluzioni” che si rivendicano, in particolare quelle più spettacolare e dunque “visibili” per quella “parte del problema”, saranno tranquillamente date “in pasto” alla “folla che le richiede.
Con buona pace di tutto il resto.
(perdonate gli errori di “digitazione”, se ci sono)
Caro Sauro,
ma perchè una cosa dovrebbe escludere l’altra? Perchè il contrasto al piccolo spacciatore (che poi è colui che materialmente distribuisce la morte) dovrebbe escludere il contrasto e la caccia ai livelli più alti della criminalità organizzata, quella che gestisce l’intera filiera del commercio, del traffico e dello spaccio di droga?
D’altra parte, Falcone diceva: “Per arrivare a colpire la mafia, segui i soldi”. Io, nel nostro momento storico in cui l’80% dei reati – come dice El Dindo – è in qualche modo connesso alla droga, preciserei: “Per arrivare a colpire la mafia, segui i soldi e la droga”. Oggi, secondo me, l’attenzione costante delle forze dell’ordine dovrebbe essere concentrato sulla droga, anche a partire dai livelli più bassi, perchè da qui si può risalire sempre più in alto, sino ai livelli più elevati delle nostre mafie italiche.
Poi, certo, accanto alla repressione ci vogliono altre cose: la prevenzione, il ritorno al rispetto alle regole, esempi positivi che vengano dall’alto.
Quanto allo scudo fiscale, concordo con te: è stata una schifezza, uno degli errori più clamorosi di Berlusconi, un regalo fatto non solo ai grandi evasori, ma anche alla criminalità organizzata, che, pagando il 5% di ridicola sanzione, ha fatto rientrare in Italia miliardi di soldi sporchi, che oggi stanno inquinando, anche dalle nostre parti, l’economia legale.
Peppe,
siccome concordo con quanto sostieni ( anche nel merito di alcune proposte), al 100%, mi piacerebbe capire dove ho affermato che “una cosa dovrebbe escludere l’altra” ( o altre affermazioni con simile significato).
Io mi sono limitato alla discussione di “metodo”. Ho solo paventato il pericolo ( perché secondo me di pericolo si tratterebbe) che quando si affronta il problema, “concentrare” il dibattito e l’attenzione solo ( o prevalentemente/insistentemente) sulla questione spaccio/consumo e i suoi luoghi e i suoi rituali, possa mettere “in secondo piano” aspetti altrettanto fondamentali o, peggio ancora, abbassare l’attenzione dell’opinione pubblica meno accorta o “distratta” ( tra cui molti genitori con il problema in casa-senza saperlo ) sulla reale “dimensione” del problema.
Temo che per pura e semplice ” comodità” e relativa semplicità di discussione (parlo in termini generali) l’opinione pubblica “preferisca” discutere e prendere coscenza di un solo aspetto ( fondamentalmente quello più visibile e facilmente “indicabile” ANCHE sotto diversi punti di vista), e perda di vista gli enormi ( direi giganteschi) e ramificati interessi che girano intorno alla droga. Anche nei “santuari” dei salotti della “finanza”.
Ora, posto che la mia tesi abbia un qualche barlume di credibilità, mi pare possibile che possa arrivare “qualcuno” che decida di “affrontare” il problema della droga ” dando in pasto” ( mi autocito: come dicevo nel precedente intervento) una bella “lenzuolata” di “provvedimenti” “severissimi e durissimi” contro lo spaccio/micro-spaccio e il consumo, nonché “qualche ulteriore centro riabilitativo gestito dal “Don” di turno ( più o meno “convenzionato”) e relativo finanziamento pubblico, molto “soddisfacenti” e “spettacolari” ma di dubbia efficacia sul piano della “lotta” alla droga nel suo significato ( e relative implicazioni ) complessivo.
Insomma, tornando al metodo, ogni qualvolta si affronta il “tema” droga, i suoi molteplici aspetti non andrebbero “spacchettati”, proprio per non diffondere ( o avallare ) l’idea che un “aspetto” di questo gravissimo problema sociale, se affrontato in modo approfondito e mettendo in atto tutte le migliori proposte possibili, possa rappresentare una risposta obiettivamente efficace: cioè “la soluzione”.
Peppe,
aggiungo che un aspetto “pratico” ( passami il termine) non può essere eluso nel “frattempo”: lo Stato non può e non deve lasciare sole le famiglie, i genitori, ma anche gli stessi figli nel momento in cui “entrano” nel problema. Meglio ancora se aggiungesse a questo “dovere” anche l’altro “dovere”: “intensificare” fino allo sfinimento se dovesse servire, una azione di adeguata “educazione civica e culturale” fin dalle scuole elementari.
Dovrebbe funzionare come una “goccia cinese” al punto tale che la prima volta che si trovano di fronte a chi gliela offre sono in grado di rispondere ” non voglio quella merda, non ne ho bisogno”.
RELAZIONE ANNUALE 2011: EVOLUZIONE DEL FENOMENO DELLA DROGA IN EUROPA
http://www.iss.it/binary/drog/cont/Rapporto_EMCDDA_2011_IT.pdf
( fonte web )
Perché non pensare ad un obbligo di cura per i tossicodipendenti?
Per almeno due ragioni.
La prima è che i tossicodipendenti sono persone e come tali debbono essere rispettate. Anche se sono rimaste vittime della droga, non per questo hanno perso la capacità di decidere del loro destino. Sono perfettamente consapevoli che l’uso delle droghe distrugge la loro salute e che vi sono terapie e metodi per uscirne se vogliono. Ma debbono essere lasciati liberi di autodeterminarsi. Non sono pericolose per nessuno se non per loro stessi. Lo Stato e nessun altro ha diritto di decidere della loro salute. Se questo principio fosse incrinato, sarebbe a rischio il più generale rispetto della libertà individuale di decidere di come vivere e morire. Se fosse, infatti, lecito decidere di obbligare a curarsi i tossicodipendenti per il loro bene, dovremmo aspettarci che la stessa sorte possano subire i tabagisti, gli alcolisti, i giocatori d’azzardo compulsivi, gli obesi, i barboni volontari, i transessuali e magari tutti coloro che non rispettano gli standard di vita salutistici decisi da un organismo medico statale.
La seconda è che avrebbe effetti irrisori nella lotta alla droga. Sarebbe null’altro che un forma di repressione analoga a quella del carcere. Una punizione sentita dal tossicodipendente come una violenza che avrebbe scarsissime probabilità di evitare ricadute. Del resto, le risposte che vengono dalla pratica della cura quasi obbligatoria sperimentata per i tossicodipendenti in carcere per i reati connessi alla droga (comunità terapeutica in cambio della carcerazione) non sono affatto incoraggianti. I casi di recupero sono, infatti, molto pochi, nonostante che i tossicodipendenti abbiano comunque potuto decidere se sottoporsi alle cure disintossicanti, sia pure per sottrarsi al carcere.
Detto questo, e per evitare equivoci, io sono assolutamente contrario ad ogni uso non soltanto delle droghe illegali ma anche di quelle legali (tabacco e alcol) e apprezzo moltissimo l’impegno profuso dall’avv. Bommarito all’informazione e all’educazione dei giovani, ritenendolo l’unica arma efficace nel contrasto alla droga.
Ma l’informazione deve essere rispettosa della verità, altrimenti si perde in credibilità e si finisce per ottenere l’effetto opposto.
E la verità è espressa, in sintesi, da questi dati statistici relativi al 2009 che riguardano gli USA.
Consumatori di tabacco: 69.700.000;
Morti per tabacco: 440.000 (il 18% dei decessi totali negli USA);
Morti per tabacco in percentuale: lo 0,63% circa dei consumatori;
Consumatori di eroina: 399.000;
Morti per eroina: 2.000 circa;
Morti per eroina in percentuale: lo 0,5% circa dei consumatori;
Consumatori di cannabis: 4.299.000;
Morti per cannabis: 0;
Morti per cannabis in percentuale: 0%;
A ciò bisogna aggiungere che le morti per eroina sono nella gran parte dei casi morti accidentali da overdose. Come, presumo, sia stato il triste caso riferito nell’articolo. Morti, cioè, dovute ad un metodo errato nell’assunzione (associazione con altre sostanze) o nell’errata valutazione del principio attivo (sostanza tagliata o no), non all’uso della sostanza in sé. Morti, quindi, che si sarebbero con ogni probabilità evitate se l’eroina fosse stata legale, comportando la legalizzazione una maggiore informazione sulle modalità di assunzione ed escludendo i rischi di alterazione della sostanza tipici del mercato clandestino.
Non condivido, con ciò, l’affermazione paradossale secondo cui la droga non è proibita perché fa male, ma fa male perché è proibita.
Le droghe, tutte, legali e no, fanno sempre male. Il problema, però, non è questo. E’, invece, se il proibizionismo sia la strada più efficace per contrastarne la diffusione e ridurne il danno sociale.
Ebbene, l’esperienza fin qui fatta, non soltanto dall’Italia, ma da tutti i Paesi occidentali, sembra dimostrare il contrario.
Interessante è, ad esempio, il giudizio che dà sulle conseguenze della lotta alla droga negli Stati Uniti lo scrittore Don Wilson in questa intervista: http://www.lastampa.it/2012/12/11/cultura/guerra-alla-droga-la-peggiore-delle-cattive-soluzioni-nwr6r5hkQpdeDGTtuznOSI/pagina.html.
Caro Moby Dick,
pur nel rispetto delle tue opinioni, sono in quasi totale disaccordo con quanto hai scritto (perdonami il “tu”, che può senz’altro essere reciproco, ma è più pratico).
In primo luogo, è falso che i tossicodipendenti siano liberi di decidere del loro destino e di autodeterminarsi. Ciò può essere vero nella prima o nelle primissime assunzioni, poi è la droga a comandare, come ben sanno le centinaia di persone che frequentano il Sert.
L’obbligo di cura, poi, io lo prevederei anche per tutte le altre forme di dipendenza conclamata, non solo quindi per quella da sostanze stupefacenti, proprio perchè la dipendenza annulla, per definizione, la capacità di volere. Il ragionamento opposto è caratterizzato da ipocrisia e sostanziale indifferenza.
Quanto all’efficacia dell’obbligo di cura sulla lotta alla droga, hai perfettamente ragione. L’obbligo di cura ha rilevanza solo sul versante terapeutico, e non certo su quello repressivo, tant’è che io non ho parlato affatto di obbligo di cura in chiave di più funzionale attività repressiva delle forze dell’ordine.
D’accordo sul fatto che vi siano droghe legali (alcol e tabacco), consentite per ragioni “culturali” e soprattutto economiche, che, considerata l’ampia platea di consumatori, fanno sicuramenti più danni delle sostanze stupefacenti.
Assolutamente falso, invece, il discorso relativo alle overdosi da eroina, che secondo te dipenderebbero principalmente non dalla sostanza in sè, ma da combinazione con altre sostanze o dalla pericolosità delle sostanze di taglio. La maggior parte delle overdosi, infatti, concerne soggetti che, dopo una pausa più o meno lunga dovuta a tentativi di smettere, ritornano alla siringa, con il fisico non più abituato agli effetti della sostanza. In questi casi, più la sostanza è pura, maggiore è il pericolo di overdose mortale. Nella mia esperienza, potrei citarti proprio il caso di mio figlio, ma il dott. Gianni Giuli, direttore del Sert di Macerata e Camerino, ti potrà ragguagliare su decine di casi del genere. Poi, naturalmente, ci sono anche le overdosi per le sostanze da taglio, per l’interazione con altre sostanze o con medicinali, nonchè le morti per epatite e AIDS dovute alle siringhe infette.
Sul proibizionismo abbiamo già discusso. Pur con tutti i suoi limiti, continuo a pensare che sia meno dannoso di un regime di legalizzazione o, peggio, di liberalizzazione delle sostanze, cannabis compresa. E proprio i dati da te citati sui gravissimi danni alla salute causati da sostanze psicoattive legalizzate (alcol e droga) dovrebbero aprire gli occhi a tutti sui possibili pesantissimi scenari di una legalizzazione delle varie sostanze stupefacenti.
L’obbligo di cura non vi è solo da pensarlo ma anche da realizzarlo……purtroppo non vi è incontro tra i vari soggetti……se vi fosse tutto sarebbe più semplice…..strutture abbandonate da rimettere in sesto vi sono così come molti disoccupati del settore sanitario ed anche molti disposti a dare una mano……basta farglielo capire che lo fanno….la mano te la danno…..è fondamentale l’obbligo di cura prima per la persona e poi per chi gli stà intorno…..non prima uscire allo scoperto e chiedere una mano perchè non si è soli….ma vi sono tanti con questo problema……considerato che l’avvocato BOMMARITO……porta avanti questa BATTAGLIA in nome SUO e di NICOLA che ne sarebbe stato FELICE…..perchè non far PARLARE chi vi è PASSATO per questa ESPERIENZA….e non far vedere loro FOTO o FILMATI……molte volte un EFFETTO FORTE può portare a pensare……E FERMARSI PRIMA……ed invitare i GENITORI ……alle conferenze….parlare SOLAMENTE ai GENITORI un giorno e l’altro parlare SOLAMENTE ai RAGAZZI
Caro Bommarito, non sono un addetto ai lavori e, quindi, faccio delle osservazioni da semplice cittadino interessato al problema.
Mi sembra di poter, però, rilevare che, da un lato, la libertà assoluta non esiste (c’è, quanto meno, il condizionamento genetico) e, dall’altro, che la dipendenza non annulla la capacità di volere, come dimostrano i numerosi casi di tossicodipendenti che decidono volontariamente di iniziare un percorso di disintossicazione. E questa libertà di decisione deve essere salvaguardata, perché, ripeto, non c’è nessun motivo per il quale la costrizione dello Stato debba essere preferita a quella della droga. Tanto più che l’efficacia terapeutica del trattamento obbligatorio è comunque molto inferiore di quella che si ottiene quando il trattamento è scelto volontariamente.
Quanto ai casi di overdose dovuti a debilitazione fisica, non pensavo che la questione la toccasse così drammaticamente da vicino, ma ritengo di potere affermare che rientrino anch’essi nell’ambito degli effetti causati dal modo di assunzione della sostanza e non dalla sostanza in sé, se è vero, come credo, che un minor dosaggio del principio attivo avrebbe evitato il decesso.
Ed è, indubbio che se l’uso fosse regolamentato i tossicodipendenti avrebbero ogni informazione sul modo meno rischioso di assumere la sostanza, oltre ad evitare le adulterazioni pericolosissime connesse al traffico illegale.
Del resto, ci sono molte persone dello spettacolo che hanno ormai superato i settanta anni di età e note per essere eroinamani praticamente da sempre.
Una prova indiretta, ma piuttosto significativa, che l’eroina è una droga terribile, ma che non necessariamente determina la morte per overdose.
Infine, i dati relativi all’uso di alcol. Questi, mi sembra dimostrino che la società può tollerare e convivere con la legalizzazione di una delle droghe più pericolose per la salute fisica e mentale che si conosca. Il fatto che non si pensi di proibirla non è connesso semplicemente a ragioni economiche, ma anche alla consapevolezza che rendendola illegale la situazione non potrebbe che peggiorare.
Sia per le conseguenze dirette (salute dei consumatori, riflessi sulla loro vita familiare), sia per quelle indirette (spaccio, contrabbando, aumento della criminalità specifica ecc.).
Questa è, almeno, la convizione che mi sono fatto. Senza la pretesa, ovviamente, di avere la verità in tasca.
Per Francesca
E’ vero, vi sono tanti con questo problema, che dovrebbero farsi sentire, senza pseudo-vergogne e senza pensare di essere soli. Se può, si metta in contatto con me.
Per Francesca.
E’ vero, sono tante le persone che hanno questo problema, e dovrebbero farsi sentire, senza pensare di essere da soli e senza provare quell’indefinibile sensazione di pseudo-vergogna.
Per Moby Dick
Ribadisco che siamo in profondo disaccordo. Aggiungo solo, per non ripetermi, che quando il tossicodipendente, alla fine di un lungo disastro fisico, psicologico, familiare, sociale, economico e lavorativo, accetta di andare in comunità, non lo fa perchè ha riacquistato la capacità di volere, ma solo perchè ha l’acqua alla gola e spesso non ha altre possibilità davanti a sè. In ogni caso, se la costrizione dello Stato tende a favorire una guarigione (pur non sempre riuscendoci), è senz’altro preferibile alla costrizione della droga, che tende alla morte, reale o quanto meno potenziale.
Per il resto, senza avere neanche io la pretesa della verità in tasca, ma comunque profondamento convinto di ciò che penso anche per innumerevoli riscontri concreti, continuo a ritenere che il proibizionismo (quello vero, naturalmente, non quello da barzelletta che abbiamo in Italia) sia il male minore, sia cioè lo strumento “meno peggio” per contrastare la sempre più diffusa epidemia di droga. Al prossimo dibattito.
Già, Bommarito, il proibizionismo vero.
Se mi desse un esempio di un Paese in cui un tale proibizionismo sia stato mai attuato con successo, potrei anche rivedere le mie convinzioni.
Se quel ragazzo avrebbe preso l’eroina in una stanza del buco non sarebbe morto perchè ci sarebbe stato un medico che vegilava, la ragazza non sarebbe una spacciatrice perchè lo stato gestirebbe le droghe pesanti ed i derivati attraverso le asur e le mafie internazionali perderebbero la prima loro fonte di approvigionamento morendo in poco tempo…..ma chi se ne frega tanto da come si evincie qui non si lotta contro la droga cari signori, qui si lotta contro un idea di devianza prerchè il nostro problema non è combattere l’eroina con tutte le sue nefaste conseguenze ma giudicarla moralmente. Il proibizionismo produce morte e l’ignoranza produce violenza ed orrore come violenta e pericolosa è l’idea che ci si debba liberare delle devianze sociali per un non bene identificati doveri morali…….SORVEGLIARE E PUNIRE……..rileggiete M.Focault e meditate gente meditate……
La lotta alla dipendenza:
……….. assai diverse sono le impostazioni ideologiche in argomento, ed altrettanto diverse sono le teorie su quali siano le migliori tecniche per raggiungere il pieno recupero alla normalità dei tossicodipendenti.
Vi sono teorie che prediligono metodologie forzose ed altre che preferiscono un approccio più colloquiale, con tutte le estremizzazioni di effetti per le une e per le altre.
Al momento, però, non si individua una linea assolutamente da prediligere, poiché per tutte le metodologie oggi in uso la purtroppo vasta casistica presenta numeri sconfortanti in termini di “ricaduta”, il ché è secondo alcuni un segnale di remota distanza dall’aver trovato un metodo efficace.
In ogni caso si deve partire dall’avere “a disposizione” il soggetto, ciò che non è affatto frequente in assenza di una forma in qualche modo coercitiva.
Il tossicodipendente in realtà non sempre avverte il bisogno di essere “curato”, anzi spesso considera i tentativi di assistenza delle vere e proprie intrusioni nella sua espressione di libero arbitrio.
Ed anche quando lo desiderasse, non sempre si riesce – almeno da subito – a far prevalere questo desiderio sull’astinenza.
Per questo, molto spesso il c.d. “percorso terapeutico” non comincia se non per conversione di un provvedimento giudiziario detentivo in un obbligo di frequentazione (o di soggiorno) in una struttura specializzata, ad esempio una Comunità..
http://www.iltuopsicologo.it/Tossicodipendenza.htm