di Giuseppe Bommarito
“Credo che un dono d’amore della città e dei paesani di Loro Piceno nei confronti delle suore non possa essere mercificato … lo stesso affetto che ha spinto i Loresi al gesto di donazione nei confronti delle suore, oggi, a fine d’uso, se così si può dire, deve valere affettivamente nella restituzione dell’oggetto stesso ai Loresi … non si può sempre e solo pensare di aver diritto a ricevere senza mai essere nell’obbligo anche di dare”. E’ il passo chiave di un’accorata lettera del dottor Giuseppe Giuffrè (l’editore milanese al quale si devono migliaia di pubblicazioni di stampo giuridico, di origini loresi e da tempo cittadino onorario del paese del vino cotto) indirizzata a suor Maria Pia Mecocci, l’anziana attuale Priora del Monastero Domenicano di Loro Piceno, una delle ultime due suore lì rimaste, e fa riferimento – nel tentativo di scongiurarla – alla incombente vendita ad un privato del Monastero-Castello che da secoli si identifica con l’essenza e la storia della piccola cittadina dell’entroterra maceratese, a suo tempo ricevuto in dono dalle suore.
Una brutta storia che, pur affondando le sue radici in un tempo ormai lontanissimo, nei suoi più recenti e preoccupanti sviluppi si trascina ormai da un paio di anni; che vede all’opera una priora ormai ottantaseienne, rappresentante legale dell’ente ecclesiastico divenuto proprietario (poi vedremo con quale trafila) del Monastero-Castello di Loro (o di Brunforte, che dir si voglia), ed un Vescovo, quello di Fermo, Monsignor Luigi Conti (già Vescovo di Macerata), che sembra aver preso gusto nell’autorizzare la vendita a terzi degli storici monasteri domenicani siti in provincia di Macerata, calpestando le aspettative e le sacrosante ragioni delle popolazioni e degli enti locali; che evidenzia una profonda divisione, e comunque una notevole sottovalutazione del problema, da parte degli enti territoriali coinvolti (Regione Marche, Provincia di Macerata e Comune di Loro Piceno), alle prese con un immobile (forse monumento nazionale) del valore di milioni e milioni di euro, problemi economici, sottili questioni di diritto civile e di diritto canonico, frettolosi e superficiali pareri della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche.
Prima però di scendere nel merito della vicenda, è bene ricostruire la storia e la struttura di questo complesso monumentale di eccezionale valore storico, architettonico ed artistico, anche per meglio comprendere la reale posta in gioco e gli appetiti che sono sorti al riguardo. Tuffiamoci quindi velocemente nel passato e nelle fotografie pubblicate ad illustrazione del presente articolo.
Ecco allora svettare in tutta la sua imponenza il Castello di Brunforte, il Castello di Loro Piceno, una delle rare fortificazioni medioevali del Maceratese. Un impatto visivo straordinario, con i suoi alti muri a scarpata e quattro torrioni ben conservati, purtroppo in parte deturpato ai suoi piedi da alcuni edifici realizzati, negli anni settanta, nella zona di rispetto sottostante.
Un vero e proprio complesso monumentale in laterizio e pietra naturale ancora con l’impianto e le strutture originarie, un aggregato di fabbricati con varia elevazione e dalla struttura particolarmente complessa e affascinante, frutto di un’evidente stratificazione storica, che tuttora domina, qualifica e caratterizza l’intero centro abitato. All’interno una superficie enorme di 1.600 metri quadrati, distribuita su quattro piani, con ben 65 vani interni perfettamente conservati (tra i quali la stupenda cucina seicentesca, il coro con scranni di noce e un organo settecentesco, il refettorio, le stanze dei telai, le antiche cantine ove già secoli fa veniva prodotto il vino cotto lorese) ed un’ampia corte-giardino.
Eretto tra il XII e il XIII secolo, da oltre novecento anni il Castello, con la sua possente mole, è – come già detto – il simbolo e l’emblema della storia politica, amministrativa e religiosa di Loro Piceno e, al tempo stesso, un bene storico-artistico dall’elevatissimo profilo culturale (come tale riconosciuto nel 1982 dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici di Ancona, e addirittura – occorre aggiungere – qualificato come “monumento nazionale” in numerosi documenti del competente Ministero, sia pure in assenza di uno specifico provvedimento, e dello stesso ente ecclesiastico oggi proprietario).
Ma la storia del sito dove sorge il Castello di Brunforte, che presenta tracce picene, romane e benedettine, è ancora più antica e si perde nella notte dei tempi. Una stele sepolcrale di età picena rinvenuta durante l’ultima guerra in un tratto della circonvallazione risale addirittura al VI secolo a.C.. Un’iscrizione apposta su una lamina di piombo, di cui v’è traccia documentale nella Biblioteca Comunale di Fermo, e numerosi reperti di età imperiale rinvenuti durante alcuni lavori di scavo effettuati nel XVII secolo, evidenziano invece che il Castello è stato edificato sui resti di un “castrum” di epoca romana, sicuramente in collegamento con la vicinissima “Urbs Salvia”. Nell’alto Medioevo, tra il VII e l’VIII secolo, ormai dissoltosi del tutto l’impero romano, nel sito lorese si insediano i monaci benedettini (in seguito arriverà anche una consistente presenza francescana, dalle cui fila proviene il Beato Liberato da Loro, menzionato anche nei Fioretti di San Francesco), ed è proprio durante il periodo monastico che il preesistente complesso difensivo, grazie anche ai vari Signori feudali che si succedono negli anni, prende la forma definitiva ed inizia così a presentarsi ai cittadini loresi e ai visitatori nella sua attuale consistenza, dotato di potenti mura e di ben cinque porte di accesso.
Di origine franca e di fede ghibellina, i Brunforte sembrano essere stati i più importanti Signori feudali di Loro, al punto da lasciare per sempre il loro nome al Castello. Secondo altri studiosi, invece, è la famiglia Gualtieri quella che lascia il segno nella fase feudale lorese. Sta di fatto che sin da quest’epoca il Castello diventa a tutti gli effetti la residenza, il “palatium”, dei Signori di Loro, e svolge quindi la più significativa funzione pubblica per la comunità lorese.
Durante il successivo periodo comunale il Castello – la cui storia si intreccia sempre più con le vicende della vicina città di Fermo – diventa la sede del Comune di Loro Piceno e viene definito negli antichi documenti come il Palazzo della Comunità di Loro. Tutti i più importanti luoghi di vita e di governo sono ospitati al suo interno: il Palazzo di Giustizia, il Palazzo dei Priori, le Carceri, la Sala Magna del Parlamento cittadino, la Cancelleria Comunale, nonché la campana, l’orologio del Comune, il pozzo, il mulino a vento. In quei secoli (dal secolo XIV al secolo XVII) la vita della Comunità si identifica totalmente con il Castello, attorno al quale nel frattempo si verificano eventi terribili e molto significativi legati all’eterna guerra tra guelfi e ghibellini, a tentativi locali di svincolarsi dalla sudditanza verso Fermo, a scontri con altre signorie vicine.
Nel 1600 inizia il periodo “domenicano” del Castello, ancora oggi in essere. Nei primi anni di questo secolo, infatti, il Parlamento lorese decide di ospitare una comunità religiosa, un Monastero, che potesse divenire luogo di preghiera e di penitenza, e quindi di protezione per l’intera popolazione. Il Municipio eroga consistenti fondi a questo scopo e per lasciare spazio alla struttura religiosa sposta altrove alcuni propri uffici, mentre tutte le famiglie loresi più abbienti concedono generosi lasciti, necessari per affrontare gli lavori di ristrutturazione durati diverse decine di anni. Si arriva così all’anno 1692, allorchè il Parlamento lorese dà finalmente l’assenso all’insediamento di un primo nucleo di monache all’interno del Castello, ponendo la condizione che il Castello rimanga per sempre Monastero. Ed ecco nell’agosto del 1693 arrivare il primo nucleo di suore domenicane, guidate dalla straordinaria Priora Madre Giacinta Bassi, che nello stesso periodo darà origine anche ai monasteri domenicani, anch’essi di clausura, di Macerata e di Montefiore dell’Aso. Preghiera, meditazione e lavoro scandiscono per secoli, per oltre trecento anni sino ad arrivare quasi ai giorni nostri, le giornate delle suore nel Castello, con l’annessa Chiesa del Corpus Domini, strettamente intrecciate alla vita del paese in una costante attività educativa, di formazione, di sviluppo e di stimolo culturale.
Ma l’integrazione è reciproca, testimoniata non solo dall’impegno comunale e dai contributi di tanti cittadini versati per l’originaria costituzione del Monastero, ma anche dalla costante e fattiva solidarietà, dall’aiuto fornito alle religiose nei periodi di soppressione napoleonica e poi sabauda, dalle ingenti spese continuamente affrontate dal Comune per la manutenzione del complesso monumentale.
Il tutto in un clima di continuativa e amichevole collaborazione tra l’istituzione comunale e quella religiosa, che va avanti per secoli. Alla fine del 1800 cominciano però i primi problemi, che a ben vedere si trascinano ancora al giorno d’oggi e sono tuttora fonte di grande preoccupazione per i cittadini loresi.
Nel 1890 un decreto ministeriale dello Stato italiano impone all’improvviso di concentrare le suore domenicane di Loro Piceno, ormai ridotte a cinque unità, nell’ex monastero di San Giacomo, a San Ginesio. Il Comune allora si muove su due piani: da un lato, cerca di ottenere una revoca del decreto in questione; dall’altro, chiede alle competenti autorità che il Monastero passi dal patrimonio governativo a quello comunale, dal quale, in assenza di atti di vendita o di donazione, formalmente non era mai uscito. La Direzione Generale del Fondo per il Culto risponde negativamente sulla base di un cavillo burocratico, però indica ai loresi una via di salvezza, immediatamente perseguita: potrebbe ottenere la restituzione del Monastero, lasciando comunque una parte del complesso all’uso delle religiose, qualora intendesse destinarlo a scopi di pubblica utilità o di beneficenza (asilo, scuola elementare, ricovero, ospedale …). Entrambe le mosse in breve tempo arrivano a segno, tanto che nel 1893 viene soppresso l’odioso decreto di concentramento delle suore e nel 1894 viene stipulato l’atto di cessione al Comune.
Un bel colpo per i loresi. Però la storia non finisce qui, anzi da questo momento, con un susseguirsi di colpi di scena non sempre ben comprensibili, inizia a complicarsi sempre di più, perché il Comune ormai non gliela fa più a sostenere le ingenti e continue spese di manutenzione del Castello-Monastero, ed è quindi giocoforza decidere nel 1904, con profonda tristezza degli amministratori comunali, di vendere l’intero complesso tramite una pubblica asta. Quando tutto sembrava perduto, ecco materializzarsi però un aiuto insperato: un mecenate, un benefattore di altri tempi, il facoltoso ingegnere di origini loresi Enrico Mori (il nonno dell’editore milanese Giuseppe Giuffrè, nominato proprio all’inizio di questo articolo) nel 1906 acquista dal Comune all’asta il Monastero per persone da nominare, che poi in sede di atto pubblico vengono dall’acquirente individuate nelle quattro monache rimaste nel Monastero. Il tutto al fine di perpetuare la destinazione del Castello e il suo simbiotico rapporto con la città di Loro Piceno e di garantire allo stesso sicurezza e stabilità per il futuro. Si tratta, senza ombra di dubbio, di una nobile e generosa “donazione di fatto”, che circa un secolo dopo non troverà tuttavia adeguato riconoscimento.
Ma torniamo ai primi anni del Novecento. Pochi anni dopo la donazione, nel 1913, le monache, in violazione di uno dei vincoli posti nell’atto di vendita (cioè che nessuna, salvo l’ultima rimasta, possa disporre liberamente del bene), vendono l’intero immobile al loro confessore don Carlo Grazioli, il quale, a sua volta, nel 1937, lo cede (fatta eccezione per la Chiesa del Corpus Domini, peraltro in seguito acquisita per usucapione) all’ente morale ecclesiastico, nel frattempo costituito, denominato “Monastero delle Domenicane di Loro Piceno”.
A questo punto, sia pure tortuosamente transitato dal patrimonio governativo a quello comunale, e da quest’ultimo a quello di un ente morale ecclesiastico, il Monastero-Castello, l’unico esistente nelle Marche, più volte oggetto nel frattempo di manutenzioni ordinarie e straordinarie dal costo di svariati miliardi delle vecchie lire erogati dal competente Ministero e poi (in euro) dalla Regione Marche, sembrava ormai destinato a rimanere per sempre un patrimonio a servizio della comunità civile e religiosa di Loro Piceno. Senonchè – e qui veramente, per farla corta, arriviamo ai giorni nostri – nel settembre 2010 ecco che suor Maria Pia Micocci, l’attuale Priora ottantaseienne, legale rappresentante dell’ente morale eclesiastico di cui sopra, decide di sua iniziativa, all’improvviso e senza preavviso alcuno agli amministratori comunali (che saranno informati solo a distanza di diversi mesi), di attivare la procedura per la vendita del Castello presso la Direzione Regionale di Ancona per i Beni Culturali e Paesaggistici, peraltro senza disporre delle previe e necessarie autorizzazioni richieste dal codice di diritto canonico. Nell’istanza, una vera e propria bomba per la comunità lorese, poco più di tre righe per individuare il potenziale acquirente (la famiglia Mosiewicz, costituita da imprenditori operanti su Milano, anch’essi di lontane origini loresi, attivi nel settore del raffreddamento industriale e titolari di un’azienda vitivinicola in Urbisaglia) e la futura destinazione che lo stesso intende dare al Monastero-Castello: sede di rappresentanza per le sue società e le sue aziende, nonché spazi espositivi e museali.
(1/continua. La seconda e ultima parte dell’articolo sarà pubblicata nei prossimi giorni)
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Caro Giuseppe trovo questo tuo intervento molto retorico e tardivo per i seguenti motivi:.
Perché il castello non si può vendere?
Perché nessuno intervenne quando si costruì la filiale della Carima?
Perché non s’interviene anche quando chiudono tanti monasteri come “La Visitazione” di Treja?
L’oro di Loro
Dall’alto del monte, serrati nell’altero castello, ringhianti e torvi per detenere il potere, che allora si misurava mediante i larghi spazi del feudo, violenti, orgogliosi, lussuriosi e carnali, i Brunforte dominarono il territorio che da Loro Piceno discende alle valli circostanti.
Poi approdarono a Fermo e non v’è nobile famiglia fermana che non vanti vagazioni in casa di qualche spermatozoo dell’illustre famiglia.
Dei Brunforte a Loro è rimasto solo il castello, che poi identifica il paese in quella razza padrona che formalmente si estinse, ma perpetuata da qualche anonimo discendente da segreti amori tra padroni e servi, tra feudatario e femmine di valvassori, valvassini, militi e rurali.
I falchi addestrati per le lunghe cacce, gli straccioni di passaggio, i mercanti di spezie e tele non dovettero faticare molto per trovare la strada, vista la posizione dominante ed emergente dell’imponente blocco fortificato e borgo annesso, e così i fraticelli vaganti ed i mercenari di ogni razza in cerca di padrone pagante.
Poi, con il tempo, con il frazionamento dei fondi e con la polverizzazione del feudo, i palazzi si sono fatti più piccoli, sempre raggruppati attorno al vecchio castello divenuto presidio religioso, e sono emerse nuove ed importanti famiglie, sempre legate alla terra, ma senza truppe, vessilli colorati, falconi, armature, cavalli ombrosi e ius primae noctis: i Mori, i Cecchi, i Marchesini, i Mastrocola ed i Pascucci, per dirne alcune.
Oggi a Loro si organizzano extempore di pittura, e le eleganti e dignitose signore di quelle nuove e vecchie famiglie prestano la loro opera, sedute fin dall’alba di fronte ad un tavolino quadrato sotto il portico del Comune; la loro non sarà un’idea esclusiva, visto che tutti organizzano extempore, ma il paese, con il suo centro addormentato e gagliardo si presta, come si presta l’infinito paesaggio circostante completamente scoperto verso tutte le direzioni, tanto ché basta girare un pochino il collo per osservare i Sibillini o il mare o il San Vicino o il monte Conero.
Anch’io il 23 agosto ho partecipato ad una extempore a Loro, era tanto che non dipingevo e il quadretto è caduto parecchie volte per terra a pancia in giù, mi sono macchiato con vera dovizia ed ho dovuto constatare che la piccola sedia di allora mi si è ristretta sotto di molto, come anche una bella e linguacciuta amica non ha perso tempo a farmi notare: all’ombra di un pergolato, con poco distante la benzinaia stesa sulla sua sdraietta in attesa dei clienti, e con vicino i miei amici pittori, tutti intenti alle loro opere che si sarebbero poi rivelate prestigiose, ho studiato il soggetto, cioè il famoso castello dei famosi Brunforte: ed alla base di esso, dove un tempo erano le sue segrete, e dove quindi erano rinchiusi i tesori della grande famiglia, esiste ora un’ordinata colata di cemento con vetri verdini infrangibili, ripiena anch’essa di altrettanti tesori, monete, cartamoneta, cambiali, assegni, e sulla cima di questa colata c’è scritto Carima.
Se onore e gloria va agli architetti per aver limitato il disastro con la essenzialità delle linee e la grigia semplicità dei materiali, viene lo stesso un po’ di nervoso nel trovarsi di fronte a tali insanabili contrasti di colori e volumi, ma probabilmente anche i Brunforte, se avessero avuto il miraggio di facili e ricchi affidamenti bancari, avrebbero rilasciato la concessione edilizia.
Comunque Loro è nobilissima, la strada che vi conduce è costeggiata da querce che non si trovano più altrove, i vicoli silenziosi ed i palazzi vuoti sono lindi, ordinati, puliti e conservati, non quindi come brache vecchie e rattoppate, ma come eleganti vesti di flanella o di lino, forse solo leggermente consunte sul fondo e nei gomiti.
Poi, da ottobre, palombe e tordi allo spiedo, ben ripassati con il pilotto, e vino cotto; questo per tutto l’anno, per ogni brindisi, per ogni occasione; si favoleggia in proposito di bottiglie antichissime, di botti profumate ed accarezzate come amanti di carne, di cantine gelosamente custodite con serrature a cassaforte.
Certo è che l’ultimo re di Loro, dal fisico spazioso e dalla grande specifica cultura, solido mangiatore, potremmo chiamarlo Nicola VIII, quel sabato 23 di vino cotto ne ha aperta una bottiglia eccezionale, del 1921, credo l’anno in cui la mamma lo fece.
(Il Messaggero, 31/08/86)
ancora un eccezionale articolo di Giuseppe Bommarito, speriamo che serva a salvaguardare questo eccezionale patrimonio dalla speculazione. Ora in Italia non abbiamo altre risorse se non quelle storiche,artistiche e naturali; se ci giochiamo anche queste siamo finiti.
A mio modo di vedere penso sia poco probabile il fatto che una 86enne decida di vendere un bene di proprietà delle chiesa ad un privato. Più verosimilmente ritengo che il capo delle curia alla quale la suora appartiene abbia trattato tutto l’affare, nascondendosi dietro la suora per non venire meno a chissà quali impegni testamentari (sembra sia accaduto nel caso del Boschetto Ricci di Sforzacosta, donato allo SMOM(!). Credo che l’mportanza di questo fatto sia di molto maggiore rispetto alla chiusura del monastero di Treia che però non è stato venduto e non ha la stessa valenza a livello cittadino del castello di Loro Piceno. Una domanda, se qualcuno può rispondere, chi ha pagato l’imu sul castello e per quale importo?
Visto che scrive l’Avv. Bommarito ne approfitoo per un quesito su Macerata: cosa sta succedendo vicino al vivai Santinelli sotto al tribunale? Sono giorni ormai che numerosi escavatori stanno sbancondo ed hanno perfino demolito il muraglione. Per caso un altra concessione edilizia a vantaggio dei noti padroni della città? Magari un altro supermercato con piccola rotatoria? Grazie se mi farà sapere qualcosa.
@ Giancarlo De Mattia
Basta con questo becero statalismo! Non ci troverei niente di male se il Vescovo decidesse di alienare la chiesa di San Liberato ad usi profani. Non ci trovo nulla di male se la torre del Parco viene adibita a discoteca silenziosa.
Dove stavi quando il Presidente della Provincia Pigliapoco e il sessantottino Renatino Pasqualetti hanno venduto Villa Lauri alla premiata Università?
Dove stavi quando Sensi acquistò il Castello di Beldiletto?
Dove stavi quando il Comune di Treja prelazionò Villa “La Quiete”?
Ora Villa Lauri sta crollando come pure Villa “La Quiete” e il Castello di Beldiletto è stato acquistato da un ristoratore. Solo quest’ultimo ha buone probabilità di essere riaperto al pubblico.
P.S.
L’Oro di Loro era di Luciano Magnalbò
Concordo, non mi scandalizzerei se la chiesa venisse adibita ad usi profani. D’altra parte anche a Macerata la chiesa di San Paolo è già utilizzata come auditorium,e si parla di una possibile riconversione ad usi civili della chiesa di San Giovanni. Quello che mi da fastidio è che la chiesa venda un bene che finora ha goduto di privilegi proprio perchè adibito al culto. Forse Verranno calcolate le plusvalenze come nelle normali società, Per quanto riguarda gli errori del passato ed i favori a petrolieri o industriali amici degli amici, sarebbe sbagialto continuare a farne solo perche sono stati già fatti a qualcuno. Basta, questa volta si, a questo vizio di dire sempre “e allora quello?”. Mi viene in mente che ci sono sempre grosse discussioni sulla costruzione di luoghi di culto per gli immigrati di fede non cattolica; potremmo mantenere in buone condizioni le chiese sconsacrate magari dandole in uso ai fedeli di altre religioni che, con l’accesso all’otto per mille, come accade già per la religione cattolica, potrebbero provvedere alla loro manutenzione. E si risparmierebbe anche suolo!
Ecclesia libera in libera patria
Ecco a cosa si riduce la pompata religione cattolica, ad una misera e becera lotta di potere ed alla glorificazione dei beni materiali e dei soldi, altro che fede religiosa ed illuminazione mistica, questi parlano di 8 x mille, di esenzione dall’ imu, di cospicue donazioni.. la spiritualità in questo paese è ESTINTA, si è ridotta a preghiere vuote e sermoni detti giusto per dire da un pubblico inebetito da cerimonie religiose vissute solo per il rispetto delle abitudini.. altro che paradiso e canti degli angeli. riflettere… riflettere!
date a Dio quello che è di Dio , a Cesare , quello che è di Cesare.
costa mantenere un castello…..non è più l’epoca in cui ci si poteva permettere il LUSSO di poterlo mantenere….fra IMU, ICI e balzelli vari se non vi è ENTRATA è ben difficile MANTENERLO……se non si riesce a provvedere al mantenimento l’unica soluzione è VENDERLO…..augurandosi che finisca in buone MANI…..anche per quanto riguarda il discorso CHIESA….non credo che neanche più loro riescano a mantenere le loro strutture considerato che molte sono ABBANDONATE…..una BRUTTA FINE per tutte queste STRUTTURE……del resto anche la NOBILTA’ ha dovuto adottare soluzioni alternative per mantenere i loro palazzi….
Chi ama l’antichità, la storia, le tradizioni e in fondo l’autoctonia di un popolo considererà un male minore la vendita rispetto al degrado al quale nei prossimi decenni si andrà incontro per mancanza di fondi dei proprietari e del Comune. Continuiamo a non voler apprendere niente dalla storia ( peraltro misconosciuta) e continuiamo a perseguitare la CHiesa ( basta il titolo del video e gli strali alla gerarchia ecclesiastica locale, autorità di vera vita). Buona piccionaia a tutti.
Io abito a Mogliano//
e bravo Bommarito! vedo che segue molto Loro Piceno e si tiene (viene) ben informato sui fatti locali.
ha giustamente portato a conoscenza di questa posssibile alienazione un numero maggiore di lettori.
perchè non ci parla anche di come si pensa di poter mantenere il castello, che come sarà sicuramente stato ben infomato, necessità di importanti lavori di manutenzione? magari con i fondi, le capacità, la competenza e seguendo le etiche dei soliti amministratori pubblici di turno? della provincia, regione e soprattutto dei comune di Loro Piceno stesso?
si parla spesso di cronaca e malapolitica nazionale, con agenti spregiudicati pronti a tutto per inseguire i propri interessi andando sempre contro gli interessi del popolo e della comunità, ma raramente si guarda a quello che accade proprio vicino a noi, nel nostro piccolo. come nei nostri piccoli comuni: a forza di inseguire i propri interessi, con amministratori accondiscendenti sempre pronti a trarre benefici con la concessione di favori personali, si viene tutti danneggiati! è un circolo! finche non si segue un minimo di etica ma si guarda solo al mero opportunismo, si viene tutti danneggiati…chi prima e chi dopo.
…ricordo bene chi sosteneva a gran voce il nostro primo cittadino e i personaggi della sua giunta quando c era da ottenere permessi che facevano comodo per interessi personali, ma si sapeva andassero contro tutta la comunità , come ad esempio è stato per la selvaggia concessione dei permessi di installazione di pannelli fotovoltaici che hanno devastato lo stupendo paesaggio del piccolo paese …e che invece adesso vuole la sua testa per, restando in un tema d attualità, la mancata negazione dei permessi per l installazione impianto BIOGAS.
oppure possiamo parlare del borghese di turno che si faceva fare favori dal nipote assessore sempre per interessi personali a scapito della comunità…o quando nelle liste delle case popolari la povera famiglia di immigrati con 7 figli senza lavoro veniva prima di tutti…o dell assegnazione di lavori pubblici alla ditta amica, tanto poi, anche se si scoprono delle irregolarià nel bando paga sempre la comunità ed il responsabile resta impunito! potrei andare avanti per righe e righe nel descrivere i vari fatti che hanno reso il caro bel Loro Piceno un paese fantasma, fatiscente, moribondo, senza opportunità ne di crescità ne di svago ne professionali.
concludendo, c è ancora tempo per salvarci e tornare a crescere per migliorare tutto e tutti insieme, magari tornando pure ad essere Loresi orgogliosi; ma solo se si cambia al piu presto questa becera mentalità del solo opportunismo personale, perchè, forse non subito, ma alla fine ci si accorge che si perde tutti insieme….
anche i furbetti che inizialmente pensavano di trarre solo vantaggi…
a.b.i.p.p.
Bellissimo articolo, Giuseppe. Di grande utilità conoscitiva.
Ora dirò quello che mi ha sollecitato la sua lettura. In generale, non per questo monumento ora di proprietà ecclesiastica con tutte le implicazioni di Diritto Canonico, posto che le cose cambiano inesorabilmente come mostra la stessa storia del Castello di Loro, con tutte le sue diverse destinazioni d’uso e passaggi di proprietà che si sono succeduti in epoche passate, il nostro compito oggi- e direi sia anche ora tarda- non è quello di seguire i cambiamenti ma di precederli .
Vale per un monumento architettonico di grande valore storico artistico, vale per una più modesta sala cinematografica che, relativamente alla nascita e alla diffusione capillare del cinema, anche quella chiamiamo storica ,e non soltanto per questo motivo, ma a buon titolo perchè anche quando vai a chiuderti in una sala cinema che si trova in un centro storico, hai sempre una città intorno a te, cresciuta dentro la Storia.
Io credo che oltre ad avere riguardo agli aspetti economici perciò, sia nostro dovere etico ed estetico non consentire la svendita, anche quando pagato profumatamente di uno solo dei pezzi monumentali che fanno parte dell’assetto patrimoniale del nostro Paese. Il livello informativo attuale ci ha reso coscienti tutti che non siamo padroni di nulla di quanto ereditato, ma solo depositari, fruitori momentanei di tali bellezze artistiche come quelle paesaggistiche ,e quindi dobbiamo farci carico in qualche maniera di preservare e conservare i gioielli di famiglia in cassaforte, così da tramandarli alle generazioni future come cosa pubblica. Io non so, una volta acquistato da un privato, se questo abbia poi la disponibilità piena di fare della sua cosa ciò che più ritenga meglio fare. Voglio dire. Può arrivare a stravolgerlo per realizzarci sopra qualcosa di altamente remunerativo o avrebbe dei vincoli di destinazione? Io non riesco neppure ad immaginare che se ne fa uno di un castello di quattro piani con 65 vani. Ci va ad abitare? Beato lui.
E torno al dunque.
Precedere e non seguire i cambiamenti, sarebbe compito della politica, ma capito ormai che i nostri sono per gran parte degli scaldapoltrone, possiamo soltanto prendere atto di avere confidato nell’inaffidabile. Se oggi un privato è disposto a comprare tutto questo bene di Dio, vuol dire che ha un suo valore da cui ricevere una contropartita. Vedo l’interno di questo castello e penso immediatamente: perchè ad esempio non ci è mai stato girato un film? Non sono mancate certo sceneggiature nella filmografia nazionale e mondiale che si sarebbero prestate. O farne un utilizzo come in Inghilterra, come sale d’incisione? Lo stesso vale per lo Sferisterio: è stato mai teatro di una pubblicità? Ecco che ne consegue la solita domanda: che ha fatto la politica, che promozione hanno fatto i nostri amministratori e governanti di queste immense risorse?
I produttori cinematografici affittano appartamenti di un certo livello per girare scene d’ interno, pagati al giorno profumatamente nella centralissima Roma o Firenze o Milano. I nostri amministratori pubblici, da Regione a Comune, hanno la consapevolezza di avere in mano un tesoro da far fruttare? Non credo, no, se ci troviamo in queste condizioni.
Vendere un monumento nazionale , non è esattamente come mettere all’asta il golfino indossato dalla Monroe o gli occhiali di Jhon Lennon. I secondi appartengono ai miti di oggi, il primo alla storia, quella vera, universale.
E questa visione- lo dico rivolta a tutti i modernizzatori e rottamatori più oltranzisti – non è da conservatori, da passatisti, ma da avanguardisti.
E allora guardiamo in avanti adesso, tenendo bene a mente Charles Darwin, che bene si adatta al tema della conservazione.
“Non sono le specie più forti a sopravvivere, né le più intelligenti, ma sono quelle che riescono a rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti.”
Fosse solo il Castello di Loro Piceno che stiamo per cedere a un privato come monumento di storia italiana, sarebbe un male grave ma infinitesimo rispetto la concreta possibilità che è nelle intenzioni del Governo, questo o quelli che verranno, di mettere in vendita monumenti nazionali come il Colosseo o la Fontana di Trevi ( e purtroppo no come in Totòtruffa, ma seriamente, a qualche americano o cinese o arabo) per ripianare un debito pubblico insaziabile.
Perchè quindi non sostenere strenuamente l’obiettivo di Legge proposto dall’ex Ministro Galan che parla di adozione di un monumento in cambio di sgravi fiscali. Una legge che per me dovrebbe avere due due finalità precise:
-combattere l’evasione di capitali all’estero
-conservare il patrimonio artistico
In sostanza, rendere i nostri monumenti nazionali dei paradisi fiscali sul suolo italiano: tu adotti un monumento, te ne prendi cura, io ti sgravo fiscalmente, ma la proprietà resta mia, dello Stato. Tu investi in manutenzione, io ti riduco le tasse proporzionalmente al tuo impegno economico. Io Stato non avrò aumentato la mia liquidità di cassa, ma ho fronteggiato due problemi mantenendo valuta in Italia e conservando il mio patrimonio artistico.
Al momento questo avviene e funziona alla grande con le società sportive in Italia, di calcio in primo luogo, dove i grandi imprenditori investono capitali non solo per spirito sportivo, ma diciamolo tranquillamente, anche per gli enormi vantaggi fiscali di cui beneficiano. E va tutto bene, benissimo, finchè ricchezza e prestigio restano nel, del , nostro Paese.
Un esempio quindi da seguire anche nella cultura, per me.
Bellissimo articolo, era ora che i riflettori della stampa si accendessero sullo scempio che si vorrebbe compiere con la vendita di questo bene immenso che costituisce l’identità di Loro. E’ riduttivo e pericoloso pensare che il degrado avvenga solo se un bene rimanga allo Stato! Inoltre ci sono moltissime possibilità di far “fruttare” questa risorsa, come è stato già rilevato da chi è intervenuto prima di me…
Una curiosità e una domanda: nel libro “Città e paesi” della Casa Editrice De Agostini è scritto “L’antico castello dei Brunforte ostruito9, sembra, da feudatari normanni sulle mura edificate da Velerio Auronzio in epoca augustea…..”; qualcuno sa qualcosa dei feudatari Normanni e da dove è stata tratta tale notizia?
Io taglio le cose con l’accetta, rifilo gli orli, allargo i margini e parlo a titoloni per far sì che tutto sembri più complicato di quello che è.
(Nick Hornby, Alta fedeltà, Guanda, 1995).
Mi chiedo come un paese (l’Italia), e come una provincia (quella di Macerata) possano essere così miopi di fronte a contesti così già naturalmente ricchi di beni, la cui gestione, saggia, visionaria ed intelligente, permetterebbe la creazione di un’economia alternativa basata quasi esclusivamente sulla valorizzazione del Patrimonio culturale e di tutto il suo indotto. Questo tipo di spinta economica, in parte, servirebbe ad affrontare la crisi attuale.
Purtroppo i nostri “regnanti” e le nostre istituzioni (tutte! Dalla politica alla Chiesa, dalla destra alla della sinistra!) non sanno guardare al di là del proprio orto e degli interessi personali.
Sarà pur retorica la mia…ma paesi meno ricchi del nostro in quanto a patrimonio (America Latina, il Nord Europa..), oggi stanno puntanto anche su questo, sui beni culturali, tangibili ed intangibili, e sulla cultura (diffusa, di qualità, di tutti..non di pochi!), per ri-creare nuove economie e identità riconoscibile nel mondo della globalizzazione.
L’intervento di Alessandra mi trova pienamente d’accordo: ritengo che lei abbia evidenziato il cuore del problema: la GESTIONE INTELLIGENTE del patrimonio culturale, di cui abbonda il nostro splendido territorio marchigiano, da parte delle comunità locali, come volàno (proprio in questo momento di crisi) della loro ripresa economica e non come occasione di mero arricchimento di singoli privati.
Per fare questo occorrerebbe da parte dei nostri amministratori IMPEGNO, CREATIVITÀ, PASSIONE per il proprio territorio. Ma in più occasioni abbiamo toccato con mano che gli enti locali non hanno voglia di fermarsi a PENSARE. Tra di essi impazza, invece, l’idea di CORTEGGIARE e CATTURARE l’IMPRENDITORE PRIVATO, che viene visto come il SALVATORE che porta SOLDI in un territorio. Basti pensare alla recente sceneggiata (ostriche, champagne, corsa di cavalli) messa in atto dal governatore della Regione per sedurre un ricchissimo sceicco arabo e invogliarlo ad investire nelle Marche.
Questa politica di corteggiamento e di supino asservimento nei confronti degli imprenditori privati viene praticata a tutti i livelli: regionale, provinciale, comunale. Ne sono esempio gli scempi dei PANNELLI SOLARI e delle CENTRALI A BIOGAS: scelte politiche che mirano a favorire l’interesse privato anziché la tutela della SALUTE di tutti i cittadini e del BENE COMUNE.
La cosa che brucia è che ad attuarle non è la Destra, ma la Sinistra, che fino a ieri ci illudeva
Caro Peppe, chi tocca i fili muore…anche se si tratta dell’apprezzatissimo fustigatore dei politici locali e non.
Condivido pienamente gli interventi di TAMARA MORONI, di ALESSANDRA ed altri, che hanno capito pienamente perchè bisogna assolutamente che questo bene non cada in mano ai privati, ma soprattutto come valorizzarlo assicurandone la manutansione ed un ulteriore introito.
Biasimo chi negli interventi non ha capito nulla di come bisogna gestire l’immenso patrimonio culturale che abbiamo, sostenendo la logora visione, che allo Stato costa mantenere il suo patrimonio, quindi meglkio venderlo. Io proporrei a questi signori di vendere il patrimonio delle proprie sorelle (se ne hanno) per vedere l’effetto che fà.
Non aspettiamoci che la politica attuale, possa fare qualcosa. Il cambiamento viene sempre dal basso (quello buono), quindi bene le associazioni, il movimentismo volontario! Però bisogna organizzarlo e coalizzarlo per creare sinergie, facciamoci sentire! Magari andiamo a manifestare davanti alla curia di Fermo e non dalla monaca, che avrà avuto alle spalle un “gost writer” sicuramente. FACCIAMO QUALCOSA PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI, per questo e per altri monumenti, che sono la nostra storia e la nostra appartenenza ad una comunità.
Bye.
si si,,,lasciamo che rimangano pubblici. tanto poi ci penseranno gli amministratori comunali a farli cadere in stato fatiscente, cercando di massimizzare i finanziamenti pubblici per arricchire assessori, imprese amiche, dipendenti pubblici e comunali. e la comunità ed il paese intanto ci rimettono!
Loro Piceno ormai sembra un paese fantasma! invece di sfruttare queste opportunità e cercare di trarne tutti vantaggio, dagli enti, alle attività commerciali, agli abitanti ect…si pensa ancora una volta solo all ostracismo, all invidia, l egoismo… occorre guardare in faccia alla realtà ed accettare che purtroppo, come spesso accade in italia, non c è abbastanza moralità per gestire queste situazioni senza privatizzare.
La sezione Italia Nostra di Fermo, con 280 iscritti la più grande delle Marche e tra le più importanti d’Italia, si è tempestivamente interessata al problema della vendita del Castello di Loro Piceno segnalando la questione al Consiglio Regionale Marche dell’Associazione, che ha inoltrato al Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche un appello affinchè il complesso monumentale non venga alienato.
Italia Nostra segue con molta attenzione questa procedura, e chiede a tutte le autorità competenti, ai cittadini e alle istituzioni di mobilitarsi affinchè il Castello rimanga patrimonio della comunità locale.
Elvezio Serena – presidente Italia Nostra – sezione di Fermo “V. Vallerani”
Sono d’ accordo con tutto ciò che sta facendo il Comitato per evitare la vendita del Castello ai privati : Ho letto l’articolo dell’ avvocato Bommarito apparso su “Cronache Maceratesi “ , ne condivido lo spirito e le argomentazioni , come condivido le idee espresse nel video dalla signora Agnese Antinori .
Il castello per noi Loresi è il simbolo dell’identità civica, dell’unità, della condivisione, della fratellanza, perchè è di tutti…Rappresenta il nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro…Insistiamo su “nostro”.
Non per nulla il castello sta nello stemma comunale.
Da quando il castello è diventato sede del monastero delle suore domenicane, esso rappresenta anche la nostra identità religiosa, il nostro parafulmine, il centro della nostra spiritualità, della preghiera e della riflessione. Perchè dunque esserne privati?! Perchè venderlo?!
Chiediamo a chi ha il potere delle decisioni di agire affinchè il castello resti nostro, cioè della comunità lorese e della chiesa locale e continui ad essere un faro di luce che guarda verso l’alto….
Se il Castello e’ cosi imporatnte come descritto, e non ho dubbi, esso e’ già un Bene Culturale Tutelato e come tale, gli Enti pubblici hanno il diritto di prelazione in caso di dismissione da parte dell’Ente morale proprietario…….. Gli Enti prelatari possono essere il Ministero e quindi lo Stato, soprattutto quando i Beni sono classificati “ Monumenti Nazionali”, ma anche la Regione Marche, La Provincia e da ultimo il Comune anche attraverso le sue forme partecipative. (Fondazioni, Società pubbliche, ecc.) Come specifichero’ sotto e’ molto interessante la possibilità che un Ente pubblico possa intervenire nell’acquisizione del Bene anche attraverso la permuta con Beni appartenenti agli Enti Pubblici. Molto speeso gli Enti locali hanno una miriade di beni inutilizzati o sottoutilizzati e la possibilità di permuta riabilità la loro autonomia “fortemente costretta” negli ultimi anni da “patti di stabilità ed altri vincoli di bilancio”.
Infatti L’art. 55 del codice dei Beni Culturali prevede espressamente che “i beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale e non rientranti tra quelli elencati nell’articolo 54, commi 1 e 2, non possono essere alienati senza l’autorizzazione del Ministero”.
Il successivo art. 56, inoltre, stabilisce che “è altresì soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero:
a) l’alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1;
b) l’alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ad eccezione delle cose e dei beni indicati all’articolo 54, comma 2, lettere a) e c)”.
L’art. 58, infine, sancisce che “il Ministero può autorizzare la permuta dei beni indicati agli articoli 55 e 56 nonché di singoli beni appartenenti alle pubbliche raccolte con altri appartenenti ad enti, istituti e privati, anche stranieri, qualora dalla permuta stessa derivi un incremento del patrimonio culturale nazionale ovvero l’arricchimento delle pubbliche raccolte”.
In questo caso, al di là del problema dell’inclusione nel patrimonio definito come “ Monumento Nazionale” valgono ancor piu’ la tracciabilità nella storia e nelle tradizioni popolari (locali) incentrato nella concezione di patrimonio culturale come insieme sia di opere d’arte, monumenti, strumenti scientifici, reperti storici ivi compresi i significati simbolici che la comunità attribuisce al Castello. Certamente il nuovo Codice dei Beni Culturali definisce questi “tesori” anche “economicamente valorizzabile” ma tale valorizzazione non puo’ essere disgiunta – dal permanere del signicato storico e simbolico per la Comunità Locale.
Il significato profondo di patrimonio culturale è infattin quello dell’azione (individuale e collettiva) di conservazione delle memorie di una comunità o dell’umanità intera, mediata negli oggetti (“patrimonio culturale materiale”) o estrinsecato in opere letterarie e in espressioni della tradizione (“patrimonio culturale immateriale”).
Il suo sfruttamento dal punto di vista economico quindi deve, per quanto possibile, tendere al mantenimento della forma “pubblicisticaa dell’utilizzo, e non puo’ essere totalmente privatizzato” sia nell’uso che nel sentimento di accessibilità in qualsiasi tempo e in qualsiasi modo “regolamentato” per la comunità locale.
Franco Capponi (già Presidente della Provincia di Macerata)
Caro Franco,
anch’io ho cercato di spiegare con poco successo la stessa procedura in un altro pezzo sensazionale. Tuttavia dovresti raccontare anche a che punto sta Villa “La Quiete” (vulgo Spada), l’edificio sul quale nel 2000 hai esercitato il diritto di prelazione in qualità di Sindaco di Treja.
Una coincidenza curiosa è che l’ultimo proprietario fu la “Fondazione Mastrocola”.
risposta a ettore ausilio n.15
mi sono chiesto anch’io il perchè del riferimento ai normanni per il castello di loro. un’altra citazione in tal senso è nel libro “macerata e il suo territorio – urbanistica ed archeologia” in cui la scheda su loro è redata da A.A. Bittarelli. in quel caso il riferimento ai normanni derivava dalla forma quadrata dei torrioni della fortificazione, tipica anche dell’architettura normanna. Mi sono un pò occupato di capire meglio questa attribuzione, se fosse solo basata su criteri morfologici o se ci poteva essere dell’altro. Anche se i testi più comuni di storia del territorio non citano mai i normanni una qualche possibilità di presenza potrebbe esserci, ma l’assenza, per ora, di fonti dirette rende la questione solo ipotetica. Per l’idea che mi sono fatto ci potrebbe essere una relazione con la fondazione di abbazie cistercensi nelle posizioni strategiche a limitare la possibilità di una risalita dei normanni dal sud dell’italia tra fine dell’XI e inizio del XII secolo quando Bernardo da Clairvaux intervenne in Italia in chiave anti-imperiale. Alcuni antroponimi farebbero pensare in effetti alla possibilità di insediamento di nobili normanni e sicuramente ci furono spedizioni normanne per allargare i possedimenti a spese sia del ducato di spoleto sia di quello fermano.
Alcuni storici ginesini dell’inizio della prima parte dell’Ottocento parlano di presenze normanne a San Ginesio che proprio grazie alla loro presneza si dotò di mura e aumentò la sua influenza sui territori circostanti, ma bisognerebbe valutare meglio l’attendibilità di tali scritti.