La mostra dedicata a Scipione
La Fondazione Carima ha voluto ricordare, a novanta anni dalla prematura scomparsa, l’artista Gino Bonichi, in arte Scipione, promuovendo al Museo di Palazzo Ricci la mostra dal titolo Scipione e le ‘vie ‘ di Roma, affidata alla colta e raffinata curatela di Roberto Cresti. La mostra inaugurata il 26 luglio si è chiusa domenica. Paola Ballesi, docente, critica d’arte e curator, la recensisce così.
«L’esposizione presenta un ricco apparato narrativo, non riduttivamente didascalico, a corredo delle opere, per la maggior parte della collezione del Museo, per documentare, annodando uno ad uno i fili della storia dell’arte, le strade più o meno tortuose che da Macerata portano a Roma e viceversa. Perché se Scipione, nato a Macerata, sviluppò e alimentò il suo genio e il suo talento nella capitale, diventando il punto di riferimento della cosiddetta “Scuola Romana”, è anche vero che molti artisti suoi compagni di strada e di avventura, sono poi ritornati a Macerata grazie alle loro opere entrate a far parte della Collezione del ‘900 di Palazzo Ricci, tanto da costituire uno dei nuclei portanti della pregevole museo».
Paola Ballesi
Ballesi scende poi a descrivere la mostra nei dettagli: «In particolare nell’articolato percorso della mostra vengono fatte attraversare allo spettatore le tante ‘vie’ di Roma che, sviluppate attorno al centro nevralgico della Scuola Romana sono state tracciate e percorse dai molti artisti che, scrive il curatore , “si sono dati convegno per caso o superiore necessità di storia e di vita nel milieu romano degli anni ’20 –’30, e poi, con lunghe propaggini, attraverso la seconda guerra mondiale , fino agli anni ’50 e oltre”.
Un viaggio che parte dalla Roma antica, l’originaria “musa ispiratrice” della ricerca artistica di Luigi Bonichi, e che arriva alle soglie degli anni Sessanta, facendo aggallare una realtà di scambi culturali più o meno carsici tra artisti e cultori delle discipline più varie, dalle arti visive alla poesia, al cinema, alla musica, alla letteratura, che hanno caratterizzato il clima romano tra le due guerre. In questa sorta di barocco ‘attualizzato’ dalla dimensione esistenziale dei singoli artisti, le opere di Giorgio De Chirico, Fausto Pirandello, Giuseppe Capogrossi, Roberto Melli, Renato Guttuso o Antonio Donghi, solo per citarne alcune, si stagliano come contrappunti privilegiati di uno spartito che ha nell’opera di Scipione il tessuto armonico si base. Ma tra tutti è la poesia di Giuseppe Ungaretti a incidere in un raro cammeo il profilo di Gino Bonichi: “Quando, capìto il Barocco, Roma incominciò a diventarmi familiare, fu mediante l’avvicendarsi delle stagioni che incominciò a farmisi vicina […]Conobbi allora Scipione, e i rossi di porpora e i rossi in penombra, il rosso delle ferite e il rosso della passione, il rosso gloria, tutti i rossi nel rosso che il vecchio travertino e la torpida acqua del Tevere ingoiavano negli estivi tramonti di Roma”».
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