«Pillole di iodio contro le radiazioni,
mai ricorrere al fai da te
Uso prolungato può danneggiare organi»

INTERVISTA a Francesca Capoccetti, primaria di Medicina nucleare all’ospedale di Macerata che spiega gli effetti delle emissioni radioattive sull'organismo, in particolare sulla tiroide. Sulla corsa ai farmaci: «Esiste un Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, dove sono pianificate tutte le azioni necessarie per ridurre al minimo gli eventuali danni biologici compresa l'assunzione di medicinali»
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Francesca Capoccetti

 

di Claudia Brattini

Le tragiche vicende della guerra scoppiata in Ucraina stanno sconvolgendo il resto del mondo e in particolare l’Europa.
Si insinua nell’opinione pubblica il timore di una possibile guerra nucleare, e anche se al momento non esiste una emergenza nucleare è iniziata una “corsa” all’accaparramento preventivo di compresse a base di iodio. Lo ha sottolineato nei giorni scorsi anche Andrea Avitabile, presidente di Federfarma Marche. Ma a cosa serve davvero lo iodio e come va usato? «Mai ricorrere al fai da te» raccomanda innanzitutto Francesca Capoccetti, primaria di Medicina nucleare all’ospedale di Macerata.

In caso di emissioni radioattive quali sono le conseguenze più immediate sull’organismo?

«L’esposizione a radiazioni determina eventi biologici più o meno rilevanti a breve e a lungo termine e il danno biologico da esposizione a radiazioni ionizzanti è correlato a diversi fattori. È direttamente proporzionato alla vicinanza alla fonte d’irradiazione (più si è vicini alla fonte e più il danno biologico è grave, cioè irreversibile), al tipo di radiazione emessa dal radioisotopo al quale si è esposti, alla sua energia, al suo potere di penetrazione nei tessuti biologici, al tempo di esposizione alla radiazione e se l’irradiazione avviene dall’esterno o all’interno dell’organismo.
Gli effetti biologici da radiazione possono essere irrilevanti, cioè riparabili, se la fonte d’irraggiamento è esterna all’organismo, e molto lontana, produce una radiazione a bassa energia, con un basso potere di penetrazione e con un tempo di emissione limitato; contrariamente radiazioni a elevata energia, con potere di penetrazione elevato, il cui irraggiamento perdura nel tempo, possono determinare danni biologici rilevanti anche molto gravi che possono condurre alla morte».

francesca_capoccetti-1Le radiazioni, però, non sono tutte uguali e alcune sono utilizzate a scopo curativo…

«L’uso di radiazioni ionizzanti è largamente impiegato in campo medico, in particolare in Medicina Nucleare, Radiologia e Radioterapia Oncologica, dove l’impiego di radiazioni ionizzanti a fini diagnostici o terapeutici è regolamentato dalla Normativa sulla Radioprotezione ovvero la protezione della popolazione, degli operatori sanitari e dell’ambiente dagli effetti nocivi delle radiazioni. Ci tengo a precisare che tutte le procedure radiologiche in campo medico sono controllate dal punto di vista radioprotezionistico. Infatti ogni qualvolta una persona deve esporsi a radiazioni ionizzanti per eseguire esami radiologici o terapie radianti, lo specialista valuta attentamente il potenziale rischio al quale deve sottoporre il paziente rispetto al beneficio che il paziente può ottenere. Si eroga sempre l’attività più bassa possibile per ottenere l’obiettivo prefissato».

L’esperienza di Chernobyl ha mostrato un incremento di tumori della tiroide, è l’organo maggiormente bersagliato in caso di emissioni radioattive?

«La conoscenza degli effetti biologici da radiazioni ionizzanti è nota da molto prima dell’incidente avvenuto nella centrale nucleare di Chernobyl. Proprio per la conoscenza degli effetti biologici da radiazioni ionizzanti, queste sono state utilizzate in campo medico, sotto controllo radioprotezionistico al fine di ottenere i benefici attesi e ridurre al minimo gli eventuali effetti dannosi.
Ricordo che la scoperta della Radioattività, avvenuta accidentalmente da parte di Antoine Henri Becquerel alla fine del 1800 e poi dimostrata dagli studi del premio Nobel per la Fisica, Madame Marie Curie, nei primi anni del XX secolo, ha portato inizialmente ad un uso indiscriminato delle radiazioni ionizzanti, proprio perché non si conoscevano gli effetti dannosi a breve e lungo termine, evidenziatisi poi nel tempo. Non è difficile verificare, con i mezzi d’informazione oggi a disposizione, che all’epoca si pubblicizzavano come altamente benefiche creme e acque minerali radioattive. Poi si è sperimentato che l’uso smodato delle radiazioni ionizzanti portava a danni anche molto gravi. La stessa Madame Curie morì per una grave forma di anemia verosimilmente radioindotta, perché non era ancora a conoscenza dei danni a lungo termine dovuta alla prolungata esposizione a radiazioni, oggi minimizzati mediante l’uso di dispositivi di radioprotezione specifici.
Ritornando alla domanda, la tiroide non è l’unico organo radiosensibile, cioè che può essere “danneggiata” dalla radiazione. Anche altri organi lo sono, come per esempio il midollo osseo, il sistema linfatico, le gonadi (ovaio e testicoli), il sistema gastro intestinale e in generale tutte le cellule in determinate fasi biologiche.
Il danno d’organo dipende dal radioisotopo utilizzato, dalla via d’irraggiamento e dal tempo di esposizione. La tiroide è l’organo maggiormente sensibile all’irraggiamento da parte dei vari radioisotopi dello iodio. I diversi radioisotopi dello iodio, se ingeriti o inalati, possono danneggiare in modo irrilevante o rilevante la ghiandola, a seconda del tipo di radiazione emessa ed al quantitativo di dose assorbita.
La domanda che viene spontanea è: perché la tiroide è l’organo bersaglio dello iodio radioattivo? Perché lo iodio è l’elemento principale nella produzione degli ormoni tiroidei. Viene assunto con l’alimentazione, assorbito dal sistema gastrointestinale, quindi trasportato attraverso il sangue ai tireociti, cellule che costituiscono la tiroide, dove attraverso diverse fasi viene organificato per la produzione degli ormoni. È quindi intuitivo che se nell’organismo è presente iodio radioattivo, questo segue lo stesso ciclo biologico dello iodio stabile e una volta inglobato all’interno del tireocita può determinarvi un effetto da radiazione ionizzante rilevante o irrilevante a seconda del quantitativo di dose assorbita».

Perché lo iodio viene utilizzato nella cosiddetta iodoprofilassi?

«Lo iodio profilassi ha due scopi. Il primo è quello di fornire in determinate situazioni la corretta assunzione giornaliera di iodio, per la regolare produzione degli ormoni tiroidei, necessari per lo sviluppo e il mantenimento di numerosi organi, apparati e funzioni biologiche necessarie per la sopravvivenza. Attualmente, il quantitativo di iodio necessario per la normale funzione tiroidea viene assunto con gli alimenti e con l’acqua e generalmente chi assume una dieta variegata non ha la necessità di assumerne quantitativi maggiori. Contrariamente per i soggetti che si nutrono esclusivamente con alimenti poveri di iodio o in particolari situazioni come per esempio durante l’infanzia o la gravidanza, potrebbe esserne necessaria un’assunzione ulteriore. Il secondo fine della iodioprofilassi, è quello di “proteggere” la ghiandola. Questo evento si vuole ottenere in presenza di iodio radioattivo circolante. Questa eventualità si manifesta per esempio durante l’esecuzione di specifici Esami diagnostici di pertinenza Medico Nucleare, dove vengono utilizzati i radioisotopi dello iodio, oppure quando lo iodio radioattivo è presente nell’organismo per assunzione o contaminazione accidentalmente o involontaria.
Nella iodioprofilassi di “protezione” vengono somministrati per bocca farmaci ad elevato contenuto di iodio, come lo ioduro di potassio, che contengono una concentrazione di iodio tale da “saturare” la necessità di introdurne altro. Tale evento impedirà quindi allo iodio radioattivo di essere incamerato nei tireociti e determinare gli eventuali eventi biologici che abbiamo già detto. Si deve sottolineare che la posologia, la modalità ed il tempo di assunzione di questi farmaci deve essere fatta sotto stretto controllo medico, perché l’uso indiscriminato e prolungato di questi farmaci potrebbe determinare notevoli danni sia alla tiroide che ad altri organi».

In Italia fortunatamente non sussiste la carenza endemica di iodio grazie alla profilassi avvenuta mediante il sale iodato, questo fattore influirebbe positivamente in caso di emergenza?

«Il blocco tiroideo si ottiene con elevate concentrazioni di iodio, l’uso per esempio di alcuni integratori iodati, che generalmente non ne contengono alte concentrazioni, potrebbe non raggiunge lo scopo della saturazione ghiandolare. L’utilizzo di sale iodato, raccomandato dalla campagna del ministero della Salute “poco sale ma iodato” al fine di garantire il normale funzionamento della tiroide, potrebbe contribuire a proteggerla da un’eventuale esposizione a radiazioni».

Assumere di propria iniziativa delle compresse allo iodio senza una motivazione concreta che danni potrebbe causare?

«L’assunzione di sostanze a basso contenuto di iodio e per brevi periodi potrebbe non causare danni all’organismo eccetto che nei soggetti già tireopatici, in cui potrebbe aggravare la patologia. Mentre l’uso eccessivo di sostanze a elevato contenuto di iodio e per lungo tempo può causare, anche nei soggetti che non hanno patologie tiroidee, notevoli alterazioni della funzione tiroidea e di conseguenza alterare quegli organi e apparati che sono regolati dalla tiroide stessa.
Un’intossicazione da iodio può determinare sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo. Nel primo quadro patologico l’eccesso di iodio induce un’iperproduzione di ormoni tiroidei che immessi in circolo, non essendo necessari, determinano segni e sintomi particolari; i più frequenti sono: aumento dimensionale della tiroide, calo ponderale in breve tempo, alterazione dell’umore, intolleranza al caldo, aumento della sudorazione, pelle calda e umida, alterazioni del ciclo mestruale e disfunzione erettile, alvo diarroico, debolezza, insonnia, palpitazioni e aumento della frequenza cardiaca. Mentre nell’ipotiroidismo, dove il quantitativo di ormoni tiroidei è insufficiente, i segni e sintomi più frequenti sono: stanchezza, sonno eccessivo, apatia, eccessiva sensibilità al freddo, alvo tendenzialmente stitico, secchezza e pallore della pelle, gonfiore al volto e alle palpebre, voce rauca, bradicardia, riduzione della memoria e della concentrazione».

Ha avuto delle richieste di rassicurazione su questa situazione e in caso che raccomandazioni si sente di dare?

«Sì, diverse; e mi sono resa conto del potere che può avere “la notizia”, che a volte non fornisce elementi rassicuranti sulla possibilità della gestione di un evento, ma induce elementi allarmistici che spesso vengono percepiti dalla popolazione come senza possibilità di risoluzione. Le raccomandazioni sono quelle del buon senso. Cioè mai ricorrere al “fai da te”, ma seguire le indicazioni fornite dagli organi competenti. Ricordando che le istituzioni che gestiscono determinate situazioni di emergenza, non sono nate dall’oggi al domani, esistono praticamente da sempre, sono gestite da personale dedicato, le cui azioni sono basate su conoscenze specifiche, al fine di rispondere per tempo e in modo efficace ed efficiente a eventuali necessità anche di emergenza.
A questo proposito va ricordato che esiste un Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, dove sono pianificate tutte le azioni necessarie per ridurre al minimo gli eventuali danni biologici da radiazioni ionizzanti accidentali, e dove vengono dettagliatamente indicate le azioni di protezione da mettere in atto in diversi scenari e gli eventuali accorgimenti anche farmacologici da adottare, con posologie da assumere e tempi di inizio e durata da seguire».

Psicosi guerra nucleare: corsa agli integratori di iodio



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