di Ugo Bellesi
Avevamo accennato qualche tempo fa all’arretratezza delle Marche, ed in particolare della nostra provincia, per quanto riguarda le infrastrutture, la sanità, la banda larga ecc.ecc, non solo nei confronti dell’Italia del nord ma pure nei riguardi delle altre regioni dell’Italia centrale. Ebbene è di questi giorni la notizia che il governo ha varato un decreto per ridurre non solo il divario esistente tra il nord e il sud d’Italia “fortemente penalizzato nella dotazione di strade e ferrovie, ma anche quello riguardante le aree interne del centro”. Per la verità il Ministero competente è intenzionato ad estendere l’intervento per sanare anche le tante disparità riguardanti la sanità, le strutture assistenziali, la scuola, i porti e gli aeroporti. Infatti queste disparità “hanno minato e continuano a minare le possibilità di sviluppo di intere aree”. Purtroppo queste buone intenzioni, destinate a riparare i danni prodotti da decenni di mancati investimenti nel centro Italia, sono in contrasto con un investimento totale, previsto per il centro e per il sud, di soli quattro miliardi e 600mila euro. Per il primo anno di operatività, cioè il 2022, sono disponibili soltanto cento milioni, che però saliranno a 300 milioni per gli anni dal 2023 al 2027, e a 500 milioni annui dal 2028 al 2033. Un dato che non fa onore alla nostra provincia è che siamo indietro per quanto riguarda di digitalizzazione delle piccole e medie imprese. E pensare che da anni Confindustria, Camera di commercio, Confartigianato ecc. ecc. hanno promosso iniziative e organizzato corsi per far sì che le imprese si decidessero a passare alla digitalizzazione del proprio personale. Ora la Confartigianato ha pubblicato un elaborato sulle tendenze delle piccole e medie imprese verso la “transizione 4.0”. Da questa indagine risulta che la provincia di Ascoli ha un indice dell’1,84 in quanto in 378 piccole e medie imprese risultano 1.029 addetti ai servizi digitali, per questo appare al secondo posto nella classifica nazionale. Invece la provincia di Macerata avendo 1.021 addetti ma divisi in 444 imprese ha un indice dell’1,11. E tutti sappiamo quanto sia importante la digitalizzazione per il traino dell’economia di qualsiasi attività.
Su questa linea, il mese scorso l’ing. Francesco Merloni aveva sottolineato la necessità di realizzare un centro di competenza e di trasferimento tecnologico. “L’industria marchigiana è composta da troppo poche grandi aziende – aveva detto – che realizzano filiere di produzione, rispetto a quanto avviene in altre regioni. Tema cruciale da focalizzare per invertire questa tendenza è quello della crescita culturale e della formazione del capitale umano. Uno dei progetti fondamentali della nostra Fonazione è sostenere la formazione”.
Nei giorni scorsi sono stati resi noti gli ultimi dati relativi alle esportazioni ed in testa appaiono, come spesso accade, le due province di Ancona con un più 49,5% e di Pesaro con più 36,6% mentre la provincia di Macerata si ferma a più 26,1% superando agevolmente la più piccola provincia delle Marche e cioè Fermo che ha avuto una crescita dell’export del 13,4%. Purtroppo Ascoli è stata penalizzata dall’andamento negativo delle vendite di medicinali della Pfizer per cui il suo export ha fatto registrare un meno 22,6%. Da tutto ciò si rivela che la crescita delle vendite all’estero delle Marche è inferiore alla media nazionale. Non solo ma risulta anche che nel primo semestre del 2021 le nostre esportazioni (aumentate a più 20,5% mentre quelle del centro Italia registrano un più 25,4%) sono inferiori dell’1,2% anche rispetto al semestre precedente la pandemia. Resta il problema di fondo che le nostre piccole e medie imprese (pur avendo prodotti eccellenti) hanno poca propensione all’esportazione (per cui sono poco conosciute) e le vendite, pari a circa il 70%, sono destinate all’autoconsumo nella nostra stessa regione.
Così succede spesso che i nostri prodotti sono meglio venduti all’estero quando sono le industrie straniere che acquistano (spesso in comproprietà) le nostre aziende. E’ dei giorni scorsi la notizia che la Chanel francese ha acquisito il controllo del maglificio Paima di Osimo. La Eko di Recanati, nota per gli strumenti musicali, è diventata di proprietà della francese Algam ed è finita oltr’Alpe anche l’ascolana Hp Composites, specializzata in componenti in fibra ottica. Ma già in passato (2003) la Gucci controllata francese aveva acquisito il 70% del calzaturificio Pigini di Recanati portando poi nel 2017 nella città leopardiana anche la produzione della Crest di Montegranaro. Infine anche il calzaturificio Loro Piana di Porto Sant’Elpidio e il marchio Fendi di Porto San Giorgio sono finiti nell’orbita del gruppo Lvmh. E’ inutile poi consolarsi dicendo che la produzione resta in Italia perché questo significa che il lavoro continueranno a farlo gli italiani mentre gli utili finiscono all’estero. La provincia di Macerata purtroppo ha la maglia nera anche per quanto riguarda il consumo di suolo agricolo. Infatti tra il 2019 e il 2020 Macerata ha perso 54 ettari di terreno, contro 43 di Ascoli, 26 di Pesaro, 14 di Fermo e 8 di Ancona. Tra l’altro va detto che le Marche sono la seconda regione d’Italia per cementificazione a meno di 300 metri dalla spiaggia. Spesso i terreni agricoli sono occupati dai pannelli fotovoltaici mentre il fotovoltaico giusto è quello installato sui tetti dei fabbricati. Ma è anche assurdo rinunciare a terreni agricoli fertili per realizzare capannoni che poi restano vuoti. Ritorniamo ad occuparci anche delle zone terremotate la cui popolazione non solo diminuisce di anno in anno, ma lentamente viene privata anche dei servizi indispensabili, come ad esempio quelli bancari. Nei giorni scorsi le segreterie regionali di Fabi, First-Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin hanno denunciato che da una decina d’anni è iniziato lo smantellamento degli sportelli bancari in tutte le Marche. Questo aspetto particolare della desertificazione si è accentuato negli ultimi cinque anni tanto che i sindacati prevedono che entro dicembre 2021 risulteranno chiusi ben 40 sportelli nel giro di appena otto mesi. Così in dieci anni avranno soppresso un terzo delle filiali. E questo fenomeno ha colpito soprattutto le aree terremotate convincendo sempre più la popolazione ad andarsene ma mettendo anche in gravi difficoltà le imprese piccole o grandi del territorio che ancora resistono. E’ anche per questo che si aggrava lo spopolamento delle aree terremotate. E su questo problema va sottolineato che l’aver favorito, subito dopo il sisma, lo spostamento in massa della popolazione verso gli alberghi e le strutture ricettive della costa non ha fatto altro che invogliare a stabilirvisi definitivamente quanti, una volta ritornati nei loro comuni, per la gran parte interdetti all’accesso perché proclamati “zone rosse”, si sono resi conto che la ricostruzione si sarebbe protratta per molto tempo.
I centri della costa, già attrattivi per conto loro grazie allo sviluppo economico e alle maggiori possibilità di trovare lavoro, si sono visti aumentare la popolazione a vista d’occhio. E ciò ha provocato problemi per garantire tutti i servizi anche perché alcune strutture non erano “tarate” per tanti nuovi insediamenti. Il che però ha peggiorato la qualità della vita mentre ha favorito infiltrazioni mafiose, la diffusione della droga, l’aumento di episodi di violenza e di intolleranza. Dall’altro lato, la desertificazione dell’alto maceratese, i ritardi nella ricostruzione post sisma, con alcuni comuni che sono ancora “zona rossa” e con tonnellate di macerie che hanno cominciato ad essere ricoperte dalla vegetazione perché nessuno le porta via, hanno dato la possibilità ad altri comuni pure terremotati delle altre province, già “competitor” sul piano delle iniziative turistiche e commerciali, di diventare più attrattivi di quelli maceratesi. E possiamo citare ad esempio la vicina Amandola che, puntando su alcune sue specificità, come il tartufo nero, appare in pieno rilancio post sisma. E’ comunque da sottolineare che anche che la nostra Sarnano cerca di resistere validamente. Altra conseguenza negativa è il fatto che, essendo diminuita la popolazione, ci sono anche meno bambini da mandare a scuola per cui i plessi scolastici, non raggiungendo il numero minimo di scolari fissato dal ministero, rischiano di essere chiusi.
L’alternativa potrebbe essere soltanto quella di creare pluriclassi con conseguenze negative per gli alunni sul piano didattico. E’ per questo che giustamente il sindaco di Pieve Torina Alessandro Gentilucci ha pensato bene di offrire un benefit di 300 euro ai genitori che, per il prossimo anno scolastico, iscriveranno i loro figli alla scuola del suo Comune. Infatti era accaduto che l’Ufficio scolastico regionale non aveva autorizzato la formazione di una classe di dieci iscritti nonostante le deroghe in merito, previste nelle aree terremotate, lo consentissero. E questo senza tener affatto conto che Pieve Torina ha ricostruito una scuola senza gravare sulle casse dello Stato, grazie alle donazioni. Lo spopolamento ha creato anche una grave situazione per quanti si siano decisi a restare per portare avanti un’attività artigianale, o anche un negozio di generi alimentari, oppure una produzione tipica locale. Questo perché tali persone non hanno una sufficiente clientela per poter continuare la propria professione. Non bastano i visitatori di una domenica o di qualche festività particolare a risollevare le loro sorti economiche. Pertanto anche i più volenterosi si vedono costretti a chiudere inducendo così ad andarsene pure coloro che volessero continuare a vivere nell’area terremotata.
Chanel investe nelle Marche e acquisisce maglificio di Osimo
Desertificazione bancaria nelle Marche «Colpito soprattutto il cratere nell’indifferenza generale»
Lo spopolamento dell’entroterra preoccupa e sembra inarrestabile Dal sisma persi 17mila abitanti
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Evidentemente Bellesi non ha letto la presunta intervista del Capitano Leghista di lungo corso che si sta avviando precipitevolissimevolmente ad un più breve corso, comparsa su CM proprio ieri dove almeno per i problemi riguardanti il terremoto ed eventuale sfollamento possiamo affidarci tranquillamente a lui che non esiterà a far trasferire tribù padane:
“Non è un caso che il primo provvedimento della Lega al governo abbia riguardato il terremoto, che a quello ne sono seguiti decine e decine e che non ci siamo ancora fermati”.
Con lui non serviranno nemmeno i quatto soldi del Recovery Fund che evidentemente avranno indirizzi più prestigiosi.
https://www.cronachemaceratesi.it/2021/09/12/lavoro-sanita-infrastrutture-salvini-indica-le-priorita-per-le-marche-stiamo-passando-dalle-parole-ai-fatti/1564318/
Per quanto riguarda la parte dell’articolo riguardante la chiusura degli sportelli bancari negli ultimi 10 anni le cause sono diverse: locali, nazionali e di cambiamento del modo di operare da parte dei clienti con un maggior utilizzo e diffusione dell’HOME BANKING che ha favorito le banche nate come online (FINECOBANK ed altre) che hanno aumentato notevolmente i clienti a discapito di quelle tradizionali.
La soppressione nelle Marche negli ultimi 10 anni di un terzo degli sportelli è quello che è successo in tutt’ITALIA con una diminuzione da n.34.036 a inizio 2010 a n.24.312 all’inizio 2020 con un calo di circa il 30%, con le dovute differenze derivanti da zone più o meno industrializzate e/o popolate, e tale tendenza non è finita perchè l’ITALIA ha ancora in eccesso 39 filiali ogni 100.000 abitanti rispetto alla media europea di soli 22.
Strillare come fa qualcuno per mantenere sportelli bancari oltre l’efficienza economica è un assurdo.
Ovviamente nelle zone terremotate la chiusura degli sportelli è stata determinata dallo spopolamento e trasferimento nella zona costiera sia di persone fisiche che di imprese derivanti dalle lungaggini e mancata realizzazione in tempi accettabili delle vane promesse fatte nelle varie passerelle dei politici subito dopo il terremoto che hanno tutte le colpe per non aver aiutato le popolazioni terremotate: quindi la chiusura degli sportelli è la conseguenza non la causa, d’altronde come si può obbligare una banca a mantenere gli stessi sportelli con un numero inferiore di clientela privata ed imprenditoriale precedente se non provocando inevitabili perdite…??? Che facciamo le perdite le accolliamo tranquillamente ai contribuenti privati ed imprese efficienti come è successo con una banca toscana di cui si parla da tempo per aver accumulato perdite per decine di miliardi messi a carico dello Stato (leggi contribuenti) perchè tecnicamente fallita ..??? Altro che “neo liberismo imperante” come ha commentato GIOVANNI BONFILI in due commenti lo scorso 11/9/21 sullo stesso tema…
Anche la pandemia COVID 19, con le restrizioni di accesso fisico agli sportelli e notevoli perdite di tempo con file estenuanti, ha favorito accentuando l’operatività bancaria dell’HOME BANKING con il quale si può fare ormai qualsiasi operazione senza spostarsi da casa o dall’ufficio.
La chiusura della ben nota vicenda ex BANCA MARCHE con l’acquisizione della rete sportelli ha provocato inevitabilmente la chiusura di altri sportelli perchè duplicazioni di quelli già presenti in possesso delle banche acquirenti.
Più che divario nord-sud, sarebbe da diminuire il divario con l’estero, con tutte quelle acquisizioni fatte per accaparrarsi marchi italiani, anche di un certo prestigio. Oramai il lusso è passato totalmente in mano francese, poi arriveranno i cinesi, i russi…. e pensare che negli anni 60-70, tutto il mondo ci invidiava, per come eravamo, e per quello che avevamo ! Che tristezza.
Chiamato direttamente in causa dal Sig.Castellucci per un mio precedente intervento sul comunicato dei Sindacati bancari,debbo replicare che mi convincerei dell’errore delle mie considerazioni nel caso si riuscisse a dimostrarmi che la chiusura di certi sportelli è legata alle perdite e non alla riduzione dei profitti,ipotesi oggi insopportabile per gli azionisti,come mille esempi in ogni settore produttivo dimostra a chi vuol vedere.Ma anche in zone periferiche dovessero sparire i profitti di una banca sovranazionale,che per tale caratteristica troverebbe compensazioni in altre zone,c’è un aspetto sociale che l’economia dovrebbe sempre tener presente.Ma oggi,poveri noi,sostenere queste tesi è una bestemmia.Resta,tuttavia,un dato : con l’evoluzione dei tempi bisogna sempre sapersi confrontare,nel bene e nel male.