Il 6 aprile dello scorso anno nel nostro territorio venivano costituite, dietro decreto ministeriale, le Usca: Unità speciali di continuità assistenziale, dedicate all’assistenza domiciliare dei pazienti contagiati da Covid-19. Il personale, che volontariamente si è candidato ed è stato reclutato dalle Aziende Sanitarie, sono giovani professionisti, attivi sette giorni su sette, dalle 8 alle 20. Il loro ruolo è quello di prendere in carico la gestione del paziente con patologia conseguente ad infezione da Covid-19, su segnalazione del medico di famiglia. Obbiettivo è quindi di curare questi pazienti a casa, fintanto possibile, evitando così l’assalto dei Pronto soccorso, come si è verificato durante la prima ondata, il sovraffollamento ospedaliero e, in concomitanza, l’isolamento domiciliare di queste persone senza assistenza sanitaria. «All’epoca si pensava che l’Usca sarebbe stata necessaria per un paio di mesi, tanto che siamo ancora in un container: non si immaginava di arrivare a spegnere la prima candelina. Ora abbiamo acquisito molte informazioni sul Covid, ma all’inizio è stato un tuffo nel buio, in tutto e per tutto, ci siamo dovuti inventare un metodo di lavoro e confrontarci con livelli sempre crescenti di difficoltà». A parlare è la dottoressa Ilaria Pavoni, medico di famiglia a Recanati, attiva nella squadra del Distretto di Civitanova che copre il territorio di Montefano, Recanati, Porto Recanati, Potenza Picena, Civitanova, Montelupone, Morrovalle, Montecosaro, Monte San Giusto. Questo team ha iniziato con 5 medici e gli infermieri Asur in carico all’Adi, coprendo da solo un’area di 130mila abitanti e prestando inoltre l’assistenza medica in tutti i focolai nelle case di riposo limitrofe, anche se per decreto era prevista una unità Usca ogni 50mila abitanti. In autunno, con la seconda ondata in corso, è stata aggiunta una seconda squadra ed al momento i medici in servizio sono 11 coadiuvati da 4 infermieri fissi più altri in turnazione e 4 medici senior con la funzione di coordinatori che si interfacciano con i medici di famiglia.
«Oggi, oltre ad avere un’altra unità, siamo stati dotati di nuove strumentazioni come un’ecografo portatile a servizio delle due unità per poter effettuare ecografie polmonari direttamente a casa e gli strumenti per effettuare emogasanalisi. Al momento ci stiamo organizzando in prima persona per poter fare anche gli esami ematici a domicilio. È un po’ come quando si creano gli ospedali da campo: ogni tanto aggiungi un pezzo».
Quest’emergenza ha sicuramente un impatto forte anche dal punto di vista psicologico: insicurezza, confusione, isolamento sociale, si possono tradurre in una serie di reazioni emotive, come stress e paura. Le Usca hanno un ruolo fondamentale anche nel rassicurare le persone, soprattutto i casi più fragili in cui la solitudine diventa una vera e propria patologia. «Abbiamo lavorato tanto, spesso anche fuori orario, esaudendo, con spirito d’aiuto, richieste di servizi fuori dalle nostre mansioni. A volte ci troviamo davanti anche solo a sindromi ansiose dovute al bombardamento di notizie che da un anno ci assalgono. Altre volte condizioni di disagio sociale: si pensi alla condizione di confinamento a casa che può contribuire a creare tensione all’interno di una famiglia in quarantena o agli anziani che vivono la malattia e la paura lontano dagli affetti. Oltre che curarli nella maniera più efficace, per quanto in nostro potere e sempre di concerto con il medico li famiglia, li tranquillizziamo e le persone ce lo stanno riconoscendo, ci ringraziano e sono rassicurati dalle nostre visite». Il lavoro del personale Usca è sicuramente impegnativo, con giornate lunghe, scandite da orari per le visite, chilometri percorsi per arrivare dai pazienti, mesi di impegno senza mai sosta con un coinvolgimento totale non indifferente. «La seconda ondata ci ha travolto. La terza ci ha trovato preparatissimi: solo nel mese di marzo abbiamo visitato circa 500 pazienti, molti dei quali presi in carico e rivisitati più volte. Da una settimana a questa parte, stiamo raccogliendo i frutti della “zona rossa” con meno attivazioni ma, anche se la situazione sta migliorando molto, il Covid è insidioso, sparisce per un po’ poi esplode, lo sappiamo perché lo abbiamo già visto. Siamo lontani dal cantar vittoria. Ringraziamo la dottoressa Corsi che, prima che direttore generale di Area Vasta, è un grandissimo medico, un esempio per tutti noi: ogni tanto ci da una pacca sulla spalla e ci ringrazia per il lavoro che stiamo svolgendo con tanta dedizione, un grandissimo incoraggiamento»
Le Usca, al centro delle ultime proposte di Saltamartini sulle cure domiciliari, sono squadre formate da medici e infermieri motivati e molto preparati che, con la loro professionalità, in crescita ogni giorno, empatia e determinazione, rappresentano un nuovo modello di medicina del territorio che si arricchisce di nuove figure, punti di unione tra medici di famiglia e ospedale, diventando il vero raccordo di un sistema rimasto scollegato per troppo tempo.
Bravissimi equipe preparatissimi e gentilissima
Un ringraziamento al personale usca che si sono presi cura di me e mio marito durante la malattia in collaborazione con il nostro medico di famiglia. Personale competente e di un umanità unica!
Antonella ti ha beccato il.covid?.Tutto bene ? Buona guarigione a te ed a tuo.marito
Luciana Giustozzi grazie!
Io devo ringraziare chi mi è venuto a visitare, gentilissimi e con molta pazienza mi hanno consigliato al meglio!!! Un grazie doveroso!!!
Grazie a tutti loro dell'USCA, xche seno, tutti noi ammallati con positività, eravamo abbandonati a rimanere acasa senza che nessuno ci aiutasse....Grazieeeee...Grazieee a loro, gentilissimi e preparatissimi!!!
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Dottoressa Dondini medico di base a Bologna.
”Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, rischiando anche denunce per epidemia colposa, e non ho avuto né un decesso, né un ricovero in terapia intensiva. Ho parlato con una collega di Bergamo e un altro collega di Bologna, che hanno continuato a lavorare nel medesimo modo, e nessuno di noi ha avuto decessi e ricoveri in terapia intensiva. Anche l’OMS ha dato indicazioni problematiche: nelle prime fasi della malattia ha previsto solo l’isolamento domiciliare, nella seconda e terza fase, quindi condizioni di gravità moderata e severa, l’unico approccio terapeutico previsto doveva essere l’ossigenoterapia e la ventilazione meccanica. A mio modo di vedere c’è una responsabilità anche dell’OMS, perché non ha dato facoltà al medico di valutare clinicamente il paziente.”
https://www.openpolis.it/numeri/chi-finanzia-lorganizzazione-mondiale-della-sanita/