“Michela, più forte di un ictus:
è tornata a camminare
ma la burocrazia rischia di sconfiggerla”

MONTELUPONE - La denuncia della sorella di una 34enne capace di riprendersi grazie ad una forza non comune: "L'Asur ci ha destinato al Santo Stefano, ma lì non c'è posto. E non vogliono concederci l'autorizzazione a un ricovero extra regione"

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Michela Trovarelli

 

“È possibile che la burocrazia possa sconfiggere un paziente che si è dimostrato più forte di un ictus e tre ischemie, che si è rimesso in piedi dopo essersi trovato con la parte destra del suo corpo completamente bloccata, che sa stendere il braccio fin sopra la testa dopo esserselo trovato attaccato all’anca, col pugno totalmente chiuso, come un’edera che cade lungo un muro? È possibile che il capriccio irragionevole di un direttore di distretto possa complicare la guarigione di un malato grave? Secondo lo strano funzionamento della sanità nostrana dovrebbe non soltanto essere possibile, ma praticamente inevitabile”. E’ uno sfogo amaro, misto di rabbia e tenacia, quello di Tiziana Trovarelli, artigiana di Montelupone. La donna denuncia quanto successo a sua sorella Michela, che nel 2010 all’età di 34 anni, è stata colpita da un ictus mentre era seduta al bar a fare un aperitivo. “Una botta tremenda per una persona che della sua attività di calciatrice dilettante ha fatto da tempo una ragione di vita – racconta Tiziana -. Nel giro di un mese Michela viene operata alla testa, ad Ancona, con un intervento ineccepibile. Dopodiché viene quasi abbandonata a se stessa, in attesa di fare le indispensabili cure fisioterapiche per recuperare la funzionalità di braccia e gamba destra, ma anche del linguaggio, fortemente compromesso. Dopo 3 settimane di nulla, in mancanza di chiarimenti da parte dei medici, accedendo alla sua cartella medica scopriamo finalmente che Michela è destinata da parecchi giorni all’Istituto Santo Stefano di Porto Potenza. Dove però non c’è posto“. E qui sorgono i primi dubbi per la famiglia: perché tutto quel silenzio intorno a una destinazione impossibile, perché imporre uno stand-by di questo genere a una paziente bloccata a letto, che nel frattempo sta perdendo tutta la sua muscolatura? E così, invece di continuare ad aspettare inutilmente, trovano un posto alla clinica convenzionata Luce sul Mare, a Santarcangelo di Romagna, dove Michela comincia velocemente la sua riabilitazione. “Ma ecco che la burocrazia torna a colpire – continua la sorella – perché per farsi riconoscere la convenzione bisogna che un fisiatra dell’Asur di competenza firmi l’autorizzazione alla riabilitazione extra-Regione. E qui cominciamo a scontrarci col fisiatra dell’Area Vasta 3, che di sbloccare questi ricoveri non vuole saperne. ‘Non serve a nulla – dice – chi ha avuto quello che è successo a vostra sorella è fortunato se resta su una sedia a rotelle, se fosse un mio familiare non l’avrei mai fatto’. A fatica riusciamo ad ottenere qualche autorizzazione, poi più niente, nonostante anche diversi contatti col direttore di distretto”.

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Nel frattempo però Michela, a Santarcangelo, con la sua tempra di atleta, fa progressi prodigiosi: sta in piedi, cammina, scrive con la mano destra, parla correttamente, guida l’auto. Tutto questo seguendo alla perfezione un metodo chiamato Bobath, tanto che nel 2013 viene chiamata a fare due settimane di trattamento a York, in Inghilterra, con Mary Linch, una tra le dieci maggiori esperte di questa tecnica al mondo. Tuttavia, a 7 anni dall’emorragia, Michela non è ancora in grado di distendere del tutto il piede destro. Deve portare un tutore alla caviglia e soffre di continue infiammazioni all’alluce. “Sicché  – aggiunge Tiziana – quest’estate decide di sottoporsi a un intervento ai tendini per stabilizzare la camminata: 10 tagli tra coscia destra, caviglia e ciascuna delle dita del piede. Il tutto richiede un mese di ricovero, da metà settembre a metà ottobre, alla clinica Torre Pedrera di Rimini. Avvertiamo per tempo il fisiatra che ci rilascia l’autorizzazione. Ma il 22 settembre il direttore di distretto invia una mail alla clinica e avvisa i medici di sospendere il trattamento per trasferire Michela al Santo Stefano. Dove, però, scopriamo ancora una volta che non ci sono posti letto. A questo punto i medici di Rimini chiedono via mail delle garanzie a Macerata, ma non arriva nessuna risposta. Nemmeno al telefono il direttore di distretto riesce a darmi delle spiegazioni, salvo obiettare che ‘da almeno sei mesi a nessuno è più concesso di poter usufruire di tale servizio extra regionale”. Così la famiglia, con l’ansia di non sapere cosa succederà in futuro, tiene in vita un ricovero delicatissimo fuori Regione, che comunque, terminando il 13 ottobre, dovrà essere seguito da un percorso di riabilitazione, a partire da un day hospital a tre mesi dall’intervento, che comprenderà l’analisi strumentale del movimento. “Quindi, all’Asur Area Vasta 3 io domando – conclude Tiziana – può garantire a mia sorella le cure necessarie? Ha intenzione, o no, di autorizzare un nuovo percorso di riabilitazione fuori Regione? Qual è il motivo per cui bisogna far spostare un paziente ospedalizzato da una struttura privata convenzionata in un’altra struttura privata convenzionata, a perfetta parità di spesa per il sistema sanitario? Non sarà ora di smetterla di fare scelte politiche sulla pelle dei pazienti? Attendiamo risposte. Intanto mia sorella ci ha raccontato al telefono che lunedì, dopo sette lunghi anni, per la prima volta è riuscita a fare dieci minuti di tapis roulant. E sinceramente, checché ne diciate voi, abbiamo l’impressione che solo Dio possa fermare i suoi progressi”.



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