di Giancarlo Liuti
La tardiva lettura di un libro uscito nove anni fa mi ha indotto a fare una scoperta che non avrei mai immaginato, cioè che Papa Francesco è argentino e precisamente di Buenos Aires ma in parte è anche italiano e precisamente di Montefano, dove si trova , nel convento dei “Figli di Maria”, il Centro di studi biblici guidato da padre Alberto Maggi. Fra questi due personaggi che pure hanno ruoli assolutamente incomparabili (l’attuale pontefice è un’autorità non soltanto religiosa su scala planetaria) trapela una notevole affinità di pensiero: l’idea dell’infinita misericordia di Dio – non c’è peccato (“errore”, preferisce dire il Papa) che non sia meritevole di perdono, il diritto di ogni essere umano ad esser “felice” anche nella vita terrena, la contestazione del principio per cui la sofferenza in terra sia il miglior viatico per la gloria dei cieli, la visione di una chiesa povera e non contaminata dal fasto, dal potere, dal denaro. Valori, questi, che appaiono a tal punto “rivoluzionari” da suscitare resistenze anche all’interno del Vaticano, nell’alto apparato ecclesiastico. E ancor più “rivoluzionario” parve il messaggio rivolto ai fedeli da padre Maggi, il quale fu pubblicamente avversato dal tradizionalissimo vescovo di Macerata Claudio Giuliodori che ne chiese il trasferimento d’imperio (fu invece Giuliodori ad andarsene, poi sostituito dal vescovo Nazzareno Marconi, la cui consonanza con padre Maggi, se c’è, sta anzitutto nel fatto che sono entrambi studiosi dell’antico e del nuovo Testamento).
Premessa: queste e altre mie considerazioni non vanno prese per oro colato, essendo io un agnostico che pur credendo in forme di trascendenza capaci di superare i limiti della pura ragione e di sorreggerci nelle avversità della vita non possiede alcuna competenza in fatto di tematiche religiose e si limita ad esserne un modesto osservatore che le guarda dal di fuori, cioè da giornalista. Ma questa sintonia culturale e spirituale fra l’argentino Jorge Mario Bergoglio, ora Papa Francesco, e il “montefanese” Alberto Maggi merita qualche riflessione nient’affatto superficiale.
Il libro che padre Maggi dedicò al “Cristo di Matteo” risale al 2006. E in quell’anno Jorge Mario Bergoglio, già cardinale primate d’Argentina, era ben lontano dall’immaginare che nel 2013 sarebbe stato eletto Papa e si sarebbe dato il nome di Francesco. Per quale ragione Alberto Maggi si occupò così a fondo del Vangelo di Matteo? Perché Matteo fu l’unico evangelista ad aver fatto parte anche dei dodici apostoli (s’è parlato pure di Giovanni, ma per motivi di età vi sono forti dubbi che il Vangelo di Giovanni, l’ultimo, sia opera di Giovanni l’apostolo) e ad esser vissuto a stretto contatto con Gesù ricevendone di persona l’insegnamento spirituale. Matteo scrisse il suo Vangelo nel Quaranta, appena sette anni dopo la crocifissione di Cristo, e il suo fu tutto un inno alla suprema missione di Gesù nell’opporsi al potere religioso degli Scribi e dei Farisei, i tradizionalisti di allora, nel cui autoritario potere c’era ben poco della misericordia e dell’amore per gli altri, tutti gli altri, gli uomini, certo, e pure le donne, che allora erano considerate esseri inferiori. E, oggi, Papa Francesco non si batte anche lui per l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani dicendo che Dio è uno solo nonostante i diversi nomi che gli vengono dati e occorre puntare all’integrazione materiale e spirituale fra loro e “chi non costruisce ponti ma alza muri non è un vero cristiano”?
Diceva Gesù, secondo Matteo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi farò riposare. Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre vite. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero”. E lo era in terra, ben prima di quanto lo sarebbe stato nell’alto dei cieli. Osserva padre Maggi, riferendosi alla moltiplicazione dei pani e dei pesci: “Il pane che sazia la fame dell’uomo non scende dal cielo, come la manna, per uno straordinario intervento divino, ma nasce dalla terra, per opera del lavoro dell’uomo, e va generosamente condiviso”. E aggiunge, sempre riferendosi a Matteo: “Quella di Gesù non è una religione in cui gli uomini devono adattarsi e sottomettersi a quanto è stato scritto in tempi passati ma una fede nell’uomo. La Parola di Dio non domina l’uomo, ma ne arricchisce la vita. Mentre le religioni sacralizzano il Libro (l’Antico Testamento o magari il Corano), Gesù ha reso sacro l’uomo”.
E ancora, a proposito del discorso di Gesù sulle “Beatitudini”, la prima delle quali dice “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”, padre Maggi commenta: “”Gesù non proclama beati i poveri della terra. I poveri sono sventurati che è compito della comunità cristiana far uscire dalla condizione di povertà. Il disegno di Dio sull’umanità, che Gesù è venuto a portare a pieno compimento, è che in terra non esista nessun povero. Non si tratta di aggiungersi ai tanti, troppi, miserabili prodotti dall’umanità ma di eliminare le cause della povertà rinunciando ai falsi valori dell’avere e del comandare che sono la causa della rivalità, dell’inimicizia e dell’odio fra gli uomini”. E ancora, citando proprio Matteo: “Con la beatitudine della povertà, Gesù non invita i discepoli a spogliarsi di quel che hanno, ma a vestire quelli che non hanno nulla”.
Molto altro ci sarebbe ancora da dire, ma un’ultima considerazione è indispensabile perché riguarda la chiesa in quanto istituzione e la monumentale e pietrificata sacralità del tempio come primario luogo di culto dove si va a pregare ma soprattutto ad ascoltare parole. Dice padre Alberto: “Più grande è la fede nel Signore e meno la preghiera ha bisogno di formule e di parole”. E ancora, citando Matteo: “Pregando non blaterate come i pagani che credono di venire ascoltati moltiplicando le parole. Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”. Così, ad esempio, la ritualità tutta esteriore del digiuno: “Gesù non chiede di digiunare ma di dividere il pane con l’affamato”. E, passo dopo passo, si giunge alla totale “gratuità” della fede, nel senso che i futuri messaggeri di Cristo – i discepoli come Matteo – non dovranno farsi dare dai fedeli “né oro né argento, né moneta di rame nelle cinture”. Il Dio di Gesù, un Padre che ama tutti incondizionatamente e che “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”, smentisce il dio delle religioni istituzionalizzate, un dio potente che esercita il suo potere discriminando e castigando gli esseri umani”.
Come per tutte le chiese, rispetto a quella di Roma le posizioni di padre Alberto sono radicali e si basano principalmente sulla già detta e assoluta “gratuità” della fede. L’ingresso di Gesù a Gerusalemme fu un vero terremoto. Per prima cosa Gesù entrò nel tempio e “scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano”. Secondo padre Alberto l’azione di Gesù non fu “mirata alla purificazione del tempio ma alla sua abolizione”, perché con Gesù non c’è più bisogno di offrire a Dio “come se Lui avesse bisogno di qualcosa” ma è “Dio stesso che si offre agli uomini”. Nessuna chiesa fatta a forma di Stato, dunque, con la severità e l’inflessibilità dei propri codici civili e penali. Il peccato? Gesù non soltanto lo perdona ma “lo condona”. Per queste ragioni, nei tempi del potere degli Scribi e dei Farisei, Gesù fu considerato un “bestemmiatore” e finì sulla croce. Posizioni estreme, quelle di padre Alberto, e non condivisibili dal Papa cui spetta il compito di “governare” la sua chiesa. Si pensi, comunque, a cosa ha prodotto nel corso dei secoli la Chiesa cattolica fattasi Stato: sanguinosissime guerre, sterminio di popoli, invasioni, alleanze politiche e militari con coloro che la parola di Gesù non la conoscevano o la disprezzavano.
Di recente papa Francesco ha incontrato Mario Lambertucci della Società Operai di Colmurano in piazza San Pietro
Papa Francesco, ripeto, non approva – non può approvare – il “radicalismo” di padre Alberto circa l’abolizione del tempio. Ma non va ignorato che da quando è salito al soglio pontificio egli sta percorrendo la via di ridurre la rigida monumentalità della Chiesa, rinunciare all’ingannevole fascino dello sfarzo e intaccare,dentro le mura della santa sede, i privilegi di casta e gli interessi finanziari che non di rado hanno caratterizzato l’azione ecclesiale. Una Chiesa più umile e povera, insomma. E fanno testo le sue uscite pubbliche: “La Chiesa non resti chiusa nella propria autoreferenzialità”, “la felicità nelle cose materiali significa non essere felici”, “certe nostre certezze sono un carcere che imprigiona lo Spirito Santo”, “non cediamo al pessimismo e all’amarezza”, “c’è dell’allegria nell’amore misericordioso per ogni essere umano”. Anche in questo, allora, Papa Francesco sembra esser passato, appena un po’, da Montefano. Rivoluzionario pure lui? Certamente sì. E tale, ormai, lo si considera nell’Occidente europeo, nel Medio Oriente, negli Stati Uniti, nell’America meridionale, nell’Africa. E immense moltitudini vedono in lui una delle poche speranze che si riesca a superare la “guerra mondiale a pezzetti” – egli stesso l’ha definita così – che dal Medio Oriente all’Africa sta mietendo milioni di vittime.
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La verità è una
Sò inutile, fijjolo, sti lamenti:
s’ha da sentille a ddoppio le campane.
Er Papa sce vorría tutti contenti,
ma sbajja tra la pecora e ttra er cane.
Li proverbi e ’r Vangelo sò pparenti:
si ttu li vòi scassà cche cciarimane?
Ggià sse sa cche cchi ha ppane nun ha ddenti,
e cchi ha ddenti a sto Monno nun ha ppane.
Che cqua li somaroni empieno er gozzo
lo disse puro ar Papa un Cardinale,
e cche, invesce, a cchi ssa jj’amanca er tozzo.
E er Papa sto discorzo pien de sale
lo sentí co la mano sur barbozzo:
se stiede zitto, e nnun ze l’ebbe a mmale.
https://www.youtube.com/watch?v=HD_MKV-d9s8
A mio parere si sopravvalutano i comportamenti dell’attuale pontefice. Certo, anche per chi non è cattolico è preferibile un papa che parli di più di giustizia sociale e di meno di etica sessuale, e un papa che adotti uno stile di vita meno fastoso e più conforme allo spirito evangelico di uno che si preoccupi dell’eleganza della stola.
Tuttavia, un’autentica riforma della chiesa (di tutte le chiese, perché quella cattolica non è l’unica chiesa cristiana), è un’altra cosa. “Ecclesia semper reformanda”, diceva Lutero; la tentazione del potere, nella chiesa e della chiesa, è sempre in agguato.
Ciò detto, da non cattolico e da conoscitore non profondo di cose bibliche molte cose che scrive Padre Maggi mi sembrano condivisibili.
Il che, però, suscita almeno una domanda.
Se sono condivisibili, e l’attuale papa sembra un’eccezione perché il suo comportamento sembra metterle nel giusto rilievo, come mai il comportamento dell’attuale papa sembra tanto straordinario? Se esso è l’eccezione benvenuta, come valutiamo il comportamento dei pontefici precedenti, a partire dal lodatissimo, e fresco di canonizzazione, Giovanni Paolo II?
Perché, se quella dell’attuale pontefice è solo una differenza di accenti, dov’è la straordinaria novità del suo pontificato?
E, se è una differenza sostanziale, dovremmo concluderne che, in precedenza, l’insegnamento (e, soprattutto, il comportamento pratico) della chiesa cattolica hanno quanto meno travisato il messaggio evangelico sotto numerosi, e non secondari, aspetti?
A questa domanda ognuno risponda come crede.
La Chiesa nel magistero petrino è infallibile nella conferma della Fede dei cristiani. Chi non accetta questa obbedienza alla Chiesa, tradisce Cristo. Il gregge è disperso quando i pastori si alleano con i nemici della Verità di Cristo.Tutti i sacerdoti che sostengono la possibilità di un dialogo coi negatori di Dio e coi poteri luciferini del mondo, sono ammattiti, hanno perduto la fede, non credono più nel Vangelo!
Per Meschini. E allora come si spiega la faccenda della pecorella smarrita?
La parabola della pecora smarrita è una parabola raccontata nel Vangelo secondo Matteo (18,12-14), nel Vangelo secondo Luca (15,3-7) e nel Vangelo di Tommaso (107).
Oltretutto negare Dio non equivale ad essere diabolici. Infatti si può essere etici, bravissime persone, e contemporaneamente non religiosi, viceversa si può essere religiosi e nel contempo violenti (ad esempio pedofili).
Ci sono almeno 2 grandi inesattezze:
1) il Vangelo di Matteo non è stato scritto nel 40, ma tra il 70 e l’80 d.C., e non è neanche il primo dei 4, che è quello di Marco scritto tra il 65 e il 70.
2) Gesù non è morto nel 33, perché la sua nascita è collocabile tra il 7 e il 4 a.C., per cui la morte presumibilmente è avvenuta tra il 28 e il 30 d.C.
Inutile dire che, prendendo il Vangelo, tanto caro a Maggi, Gesù stesso dice a Pietro:”Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”, da qui all’abolizione del tempio di Maggi vedo una distanza abissale
Il nome di Pietro non appare in alcuno dei primissimi elenchi dei vescovi di Roma: Ireneo, vescovo di Lione dal 178 al 200 d.C. e primo teologo cristiano a utilizzare il principio della successione apostolica, cita con precisione la sequenza di “tradizione” vescovile fino a risalire direttamente all’apostolo Giovanni, elencando tutti i vescovi di Roma fino al dodicesimo, Eleuterio: ma, come primo vescovo, parte da Lino, e non da Pietro.
La “Costituzione Apostolica” dell’anno 270 afferma che papa Lino ottenne la sua nomina direttamente da Paolo, non da Pietro.
Non sono solito replicare ai commentatori di Cm ma stavolta lo ritengo necessario perché le “grandi inesattezze” attribuitemi dal signor Marco Petracci le ha invece commesse lui. Dall’edizione ufficiale della “Sacra Bibbia” varata dalla Conferenza Episcopale Italiana risulta infatti quanto segue. 1) Il Vangelo di Matteo fu pubblicato tra gli anni 40 e 50, ed è il primo (quello di Marco, il secondo, vide la luce fra il 65 e il 70); 2) In base al plurisecolare calendario tuttora vigente, Gesù nacque nell’anno zero e morì nell’anno 33. Le considerazioni del signor Marco Petracci sono quindi interessanti ma assai meno fondate delle mie e oltretutto le anima un’arroganza che sarebbe auspicabile non ci fosse in un rapporto fra persone civili.
In effetti i Testimoni di Geova sostengono, basandosi su non so con quali documenti storici, che Pietro non sia mai stato a Roma, ma sia andato nella città asiatica di Babilonia.
Caro Liuti, l’anno zero non è mai esistito (mi sembra che sia lo stesso errore commesso dal peraltro insigne professor Zichichi, il quale riteneva che il terzo millennio fosse iniziato il 1° gennaio 2000, anziché, come è giusto che sia, 2001). In effetti nei primi secoli dell’era cristiana il numero (meglio la cifra) ‘0’ non esisteva. Fu introdotta dagli Indiani, copiata dagli Arabi (bravi algebristi) nei secoli VII-VIII dopo Cristo e poi passata all’Europa. Quindi Cristo, secondo la tradizione, è nato il 1° gennaio dell’anno uno (non dell’anno zero) dopo Cristo.
La conferenza episcopale italiana potrà suscitare simpatia o tenerezza in qualcuno, ma quanto ad autorità non brilla granché presso gli studiosi seri…
Che anno è che giorno è… cantava Lucio Battisti, ma prudenza signori miei, perché i grandi scismi nascono sempre così, per futili motivi.
All’inferno ci va chi ci crede….
Sul punto dell’epoca della composizione dei vangeli ha probabilmente ragione @Marco Petracci. La maggior parte degli studiosi del Nuovo Testamento ritiene che il Vangelo secondo Matteo sia stato composto verso la fine del I secolo, probabilmente intorno all’85, comunque fra l’80 e il 100, per una serie di motivi sui quali non è il caso di indugiare. Inoltre, da decenni si ritiene che il vangelo più antico sia quello di Marco.
Le edizioni cattoliche della Bibbia di alcuni decenni fa indicavano date molto anteriori. Tuttavia il punto era marginale nell’articolo di Giancarlo Liuti, quindi non mi sembra il caso di puntare il ditino accusatore. Il Sig. Liuti è un commentatore acuto, ma non ha senso pretendere che scriva un articolo da biblista, soprattutto se il succo dell’articolo riguarda altro.
Se vuole sig. Liuti può continuare a sostenere ciò che vuole, ciò non toglie che siano comunque sbagliate. Non lo dico assolutamente con arroganza, ma studiando teologia, le posso confermare ciò che ho scritto sopra. Per documentarlo però dovrei scrivere un commento forse più lungo del suo stesso articolo. Ed ovviamente non ho il tempo di farlo dato che lo studio della teologia richiede appunto molto tempo. Io poi sarei arrogante mentre lei scrive che le mie considerazioni sono assai meno fondate delle sue. Ha mai sentito parlare di Qumran? Scoperta nel 1947? Si documenti poi ne riparliamo. Cordiali saluti da una persona incivile
Insisto, se su Cronache Maceratesi dovessero nascere contrasti di dirompente pregnanza teologica, quale potrebbe essere per esempio quello tra un Cristianesimo dell’Anno Zero ed un Cristianesimo dell’Anno Uno, o quello tra un Cristianesimo del Prima Marco ed un Cristianesimo del Prima Matteo, o simili, l’unità della Chiesa sarebbe in grave pericolo.
@Marco Petracci
Non è mica colpa di Liuti se sulla Bibbia della CEI c’è una datazione ritenuta poco credibile dalla maggioranza degli studiosi.
La tesi dell’articolo è chiara: l’attuale pontificato (anche se forse più nello stile che nella sostanza, aggiungerei io) sembra essere in sintonia con certe voci fuori dal coro della chiesa cattolica che altri, in passato, hanno cercato di mettere a tacere, e le osservazioni contenute nell’articolo sono tutt’altro che peregrine.
Non è l’articolo di uno studioso di teologia, suvvia. E’ chiaro che, su queste cose, lei ne saprebbe molto di più.
Ma, sui punti sollevati dall’articolo di Liuti, la sua opinione qual è?
Giorgi, son dibattiti molto belli, affratellanti: in fondo tutti abbiamo poche idee ma sbagliate… sarebbe anche molto utile un convegno organizzato dall’Unimc su “Penna San Giovanni, la città del quarto Vangelo”.
@ Pavoni, bellissima la frase: in fondo tutti abbiamo poche idee ma sbagliate….. Mi ci riconosco perfettamente. Certo che tra incontri, tavoli aperti, convegni, mostre d’arte, congressi, incontri teatrali, musicali, quasi quasi mi pento di aver chiamato il centro di Macerata ” L’Ateneo della Porchetta “, beh sempre meglio di come gli abitanti del centro di Civitanova definiscono il nostro: ” Cloaca frequentata da feccia umana incontrollata “.
Pavoni, se poi dovesse gettarsi in questa fiera mischia cristologica, estendendo ai primi secoli della nostra era uno sconvolgente metodo storico-deduttivo che già tante prove di sé ha dato, anche qualcuno di quei dotti maceratesi che sostengono ad esempio che la vera Roma, ai tempi di Dante, Petrarca ed Ugolino da Montegiorgio, si trovava a Corridonia, e quindi nella vera Francia, con tanto di plurisecolare esposizione della Sindone nella vera San Pietro – e già mi vedo il Chienti fungere pure da vero fiume Giordano – allora il Bergoglio potrebbe egli stesso reagire abbandonando la prudenza, potrebbe cioè dare un calcio a quelle remore di stampo altodirigenziale sulle quali il Liuti ha provato a richiamare l’attenzione, radicalizzare il proprio messaggio evangelico anche ben oltre la misura di padre Maggi, e quindi magari trasferire di brutto la sede del papato in Plaza de la Revolución all’Avana. Nel caso non mi si venga poi a dire che io non avevo avvertito del grave pericolo che correva la cristianità.
Padre Maggi non e’ tanto un interprete radicale del vangelo, vedi don Zeno o don Mazzolari o Carlo Carretto. E neppure si limita (si fa per dire) ad agire sulla pastorale, sul linguaggio, sulle riforme di diritto e di struttura, sul collegamento di tradizione ed esperienza, sul rinnovamento come Papa Francesco (che, dopo Scalfari, fara’ una telefonatina anche a Liuti, il cui agnosticismo d’altronde sembra meno spurio di quello del fondatore di Repubblica), poiche’ Maggi ripensa e riscrive la teologia, con notevoli assonanze con Vito Mancuso, altro che Bergoglio, e salta a pie’ pari la dottrina cattolica verso un cristianesimo di vitalita’, di sentimento e di desiderio che accetta il rischio di appiattire la vita eterna sull’umano, di sminuire la dimensione escatologica, di ridurre la stessa resurrezione di Cristo a simbolo e messaggio. Per conoscere meglio il pensiero e le meditazioni di padre Maggi, si puo’ anche partecipare ai periodici incontri presso la chiesa delle suore dell’Istituto San Giuseppe di Macerata.
Beh a questo punto voglio saper se è vero che Gesù è nato al freddo e al gel o se miracolosamente la grotta era riscaldata, se la stella cometa si è posata sulla grotta della natività, la verità sui tre magi e sui loro improbabili nomi e se è vero che hanno portato oro, incenso e birra. Poi che fine ha fatto l’oro, in che quantità era, generosa o solo un pensierino? I testimoni del parto, il bue e l’asinello che ci facevano nella grotta? C’erano già o portati là da furbi commercianti di venditori di statuine per fare il presepio? La teologia prima di addentrarsi in algoritmi, risoluzioni algebriche, ricostruzioni che a 2000 anni dagli avvenimenti trattati mica possono essere ” Vangelo ” ,devono dare risposte a quelle domande che ci facciamo da quando bambini innocenti vedevamo ogni anno il bambinello sempre piccolo sempre biondo, bello, riccioluto e con gli occhi azzurri.
@ Sauro Micucci
Presumibilmente il bambinello, nato e vissuto e morto da ebreo, era di carnagione olivastra.
E probabilmente non era certo di pura razza ariana…..
Gent.le Stefano Valenti,
mi fa piacere notare che anche lei sia informato correttamente in merito alla datazione del Vangelo di Matteo.
Ci tengo, tuttavia, a precisare una piccola cosa: se come dice lei, il Prof.re Liuti non è un biblista (e riporto le sue parole), non vedo per quale motivo si debba occupare e scrivere intorno ad un argomento di cui non è competente. Ritengo molto grave e contro ogni etica professionale scrivere articoli contenenti notizie approssimative e, purtroppo, anche errate (giusto per citarle un punto, il prof.re Liuti afferma che Matteo sia l’unico degli evangelisti ad aver fatto parte della ristretta cerchia degli apostoli. Questa è una notizia falsa e pretenziosa: se desidera le posso offrire una lunga bibliografia a sostegno di quanto sto affermando. I testi a cui faccio riferimento sono firmati da autorevoli studiosi come per esempio il Papa emerito J. Ratzinger (e non penso che si metta in discussione lo spessore culturale e la raffinata preparazione di un teologo come Benedetto XVI)). Questa è mala informazione e si rischia, in tale maniera, di diffondere notizie false che, ad un professore del suo livello, non fanno certo onore.
Rispondendo al suo secondo commento le vorrei far notare che le date riportate nella Bibbia dell’edizione curata dalla CEI sono frutto del lavoro di eminenti studiosi e non dei vescovi che si sono preoccupati di verificare la veridicità teologica dei contenuti. Non ritengo che nella Bibbia a cui lei fa riferimento siano riportate date approssimative: come già le ho detto precedentemente le posso fornire una lunga bibliografia in cui diversi autori e studiosi, di più confessioni cristiane e non, sono giunti unanimemente alla stessa conclusione. Per quanto riguarda l’inesattezza del prof.re Liuti in merito alla datazione di Matteo (e nelle introduzioni della Bibbia (definirla sacra è una tautologia inutile) della CEI non vi è alcun fraintendimento) è che l’edizione CEI riporta la data della redazione greca del Vangelo di Matteo (quello ufficiale), mentre il prof.re Liuti faceva riferimento ad alcuni frammenti (di cui davvero si sa poco) di un autore sconosciuto (che presumibilmente si pensa che sia Matteo) scritti in aramaico e che riportano alcuni loghìa di Gesù. Tuttavia si sta parlando di due testi assolutamente differenti e vorrei ben sperare che il prof.re Liuti non li abbia confusi soltanto perché portano entrambi lo stesso nome!
Non penso che sia importante che gli studiosi, gli storici e gli archeologi che affrontano il problema della datazione della Sacra Scrittura siano cristiani (o come dice lei “dentro la Chiesa”)…
Ritengo, piuttosto, molto più grave quando chi è per consacrazione “nella Chiesa” poi si ritrovi ad essere per scelta “fuori” da essa.
Concludo dicendo una cosa: bisogna stare molto attenti a non confondere il piano della fede con il piano del rigore scientifico e storico altrimenti si corre il pericolo di giustificare dietro alla mancanza o alla presenza di fede errori e imprecisioni che invece con essa non hanno nulla a che fare. Come diceva il saggio Bernardino Telesio: iuxta propria principia!
Troppo semplice far dire alla parola di Dio ciò che si vuole: è facile trovare nella bibbia un’autorità maggiore che in se stessi…però in questo caso non si può parlare di esegesi…quanto più di pseudoepigrafia!
Guardi, l’edizione della CEI non ce l’ho. Ho una piccola biblioteca su argomenti biblici e teologici che, purtroppo, non ho mai avuto il tempo di leggere approfonditamente. Non credo ci sia bisogno di consigli: i due volumi dell'”Introduzione al Nuovo Testamento” di Bruno Corsani, anche se non recentissimi, credo siano sufficientemente istruttivi. Se Liuti dice che le date che cita le ha trovato nell’edizione della CEI immagino non menta; ma non è questo il punto.
Un giornalista non è necessariamente un teologo, e non è necessariamente un esperto di qualunque cosa scriva, anche se ci sono giornalisti che sono diventati esperti in ambiti specifici, dalla mafia alla politica estera. Non saranno gli studi biblici il forte di Liuti, ma le considerazioni in materia religiosa che fa nell’articolo non mi sembrano peregrine, anche se non hanno originato i commenti che sarebbero stati appropriati.
Gent. le Stefano Valenti,
innanzitutto le consiglio di andare a verificare di persona quanto riportato nelle introduzioni della Bibbia dell’edizione CEI. Ripeto, inoltre, quanto già detto: non ho mai messo in dubbio che il prof. re Liuti menta in merito alle date da lui rinvenute nella Bibbia CEI. Il prof. re ha soltanto (e cerco di usare un eufemismo) confuso l’ambito ed il riferimento specifico della suddetta data che lui stesso cita. Non è sufficiente fare un “copia ed incolla” senza sapere il contesto e l’oggetto a cui fa riferimento una data.
Per continuare a risponderle (e mi perdoni la ripetizione, la invito per l’ennesima volta a rileggere la mia risposta precedente) non ho mai affermato che è necessario (e riporto le sue esatte parole) che un giornalista debba essere teologo per scrivere in materia di Sacra Scrittura o massimo esperto della materia di cui si accinge a parlare; ho detto che è inammissibile che un giornalista riporti dati errati e approssimazioni non degne di un professionista, quanto più di un dilettante, in merito a qualsiasi argomento. Se poi il suo bagaglio culturale sia frutto di studi universitari riconosciuti ed attestati da certificati o semplicemente quanto appreso per passione non è importante.
Infine, nella mia precedente risposta avevo esposto la mia opinione in maniera più che esaustiva (come dietro sua gentile richiesta; cfr. commento 17) in merito ai punti sollevati dal prof. re Liuti. Sinceramente non riesco a capire con quali strumenti a sua disposizione lei riesca a giudicare l’adeguatezza o meno dei commenti scaturiti dall’articolo di Liuti visto che lei è il primo a dire (e le riporto quanto da lei affermato nel commento 25) di non essere un esperto in materia in quanto non le è stato mai possibile trovare del tempo per leggere i testi e manuali a sua disposizione. Pertanto, le consiglio di leggere il testo da lei citato (e le assicuro che è molto interessante) e, alla luce di quanto appreso, rileggere l’articolo di Liuti.