Il presidente dell’Iran Hassan Rohani con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni alla Farnesina (foto esteri.it)
di Maurizio Verdenelli
Non ebbe alcuna risonanza mediatica, né locale (e naturalmente) né planetaria foss’anche soltanto nell’universo-mondo del regno papalino che vide dal 1846 al 1878 la guida del senigalliese Giovanni Maria Mastai Ferretti, Pio IX, il papa che visse più a lungo sul Soglio di Pietro. Pio IX, beato dal 3 settembre 2000 per volontà di Giovanni Paolo II, era pontefice da appena tre anni (rischiosamente, per via della Costituzione promulgata e poi ritirata) quando accadde il precedente che la storia, pure dei gossip, avrebbe passato sotto silenzio a differenza di quello che è accaduto ieri in Campidoglio, a Roma a margine del Business forum Italia- Iran (leggi l’articolo). La vicenda romana rimbalzata in tutto il mondo con le sue roventi ripercussioni politiche – opposizioni a parlare di “negazione di radici storico-artistiche”, Soprintendenza a chiarire che “gli ordini son ordini”, il ministro Franceschini e Renzi a smentire di aver dato tali ordini- è ormai notissima. Parliamo dei “mutandoni” messi pudicamente alle statue in Campidoglio durante la visita del presidente dell’Iran, Hassan Rohani. Il quale da parte sua, non commentando le notizie dei giornali, si è limitato a dichiarare che «l’Italia è un paese molto ospitale e sa come mettere a proprio agio gli ospiti». Tuttavia i rumor sono stati, come dicevamo, planetari.
Ma che c’azzecca Macerata, in questo caso, con le statue capitoline? C’azzecca. L’analogia storica con la vicenda risale al 1849, guarda caso, proprio nel palazzo dell’attuale ministro degli esteri, Paolo Gentiloni presente anch’egli ed attivamente (“S’avvera il sogno di Enrico Mattei in Iran”) al forum. Il palazzo avito sorge a Tolentino all’ombra del celebre santuario di san Nicola, che raccoglie fedeli da tutt’Italia anche con la sua festa di settembre. Proprio in quel nobile edificio, per non turbare Pio IX che vi avrebbe trascorso la notte (ancora esiste nell’antica strada che portava in città da Roma, un arco trionfale a ricordo del transito del papa) la contessa Gentiloni Silverj diede ordine non soltanto di coprire le statue del palazzo ma anche i putti seminudi delle belle volte affrescate del salone delle Feste dove il seguito del più longevo (tuttora) successore di Pietro avrebbe consumato la cena.
Per coprire le nudità degli angeli, benché privi di sesso come notoriamente, furono usate delle comuni fascine, dalle terre di famiglia. Il papa apprezzò, perdonò il suo antico palafreniere, il conte Domenico Gentiloni Silverj, avo dell’attuale titolare della Farnesina, dottor Paolo, per la scivolata nelle idee liberali con l’ospitalità data in occasione del Capodanno del ’49 a Giuseppe Garibaldi. Il quale aveva brindato con i conti (antica nobiltà la loro, proveniente direttamente da Filottrano, Cingoli e Macerata) in quella stessa sala dove un anno dopo avrebbe cenato il vicario di Cristo. Una sala allora dove i putti si mostravano settecentescamente sfrontati e le statue fiere delle loro splendide forme non ancora ammantate e dove Garibaldi, piacevole e al solito seduttivo, regalò al conte un bastone ‘animato’ (con la spada, cioè) in grazie alla generosa ‘sponsorizzazione’ in denaro. Una sponsorizzazione ottenuta in vista della spedizione in soccorso di quella che si sarebbe prefigurata dall’inizio di febbraio come la Repubblica Romana con a capo il Triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi. Al prozio del ministro degli esteri, l’eroe dei due mondi rivelò che dopo aver pernottato a casa sua, avrebbe raggiunto Macerata dove venne in effetti, a Capodanno, accolto trionfalmente e dove risiedette per più di un mese prima di partire per Roma, vincere la prima ed unica battaglia contro i francesi il 30 aprile (a porta San Pancrazio). Evento che annualmente si celebra nel capoluogo marchigiano che lo elesse deputato.
Caduta la Repubblica nel luglio dello stesso anno, messo da parte definitivamente il conte, il papa cominciò il lungo tour della restaurazione. A Tolentino la tappa, obbligatoria, fu a palazzo Gentiloni Silverj. Una bellissima serata, piissima. Alla contessa venne donato uno splendido ventaglio di penne di struzzo: «La mia antenata, nel ricordo di Pio IX, per non consumare il prezioso dono anche quando faceva caldissimo, muoveva lei ritmicamente il volto, tenendo il ventaglio immobile e fermo davanti a sé» raccontava il defunto conte Roberto Massi Gentiloni Silverj, deputato, sindaco della città, vicepresidente della potente fondazione Carima e membro influente dei Cavalieri di Malta (Cisom). Nessuno protestò per le statue e i putti “coperti” a palazzo Gentiloni Silverj in quell’anno di grazia e restaurazione del 1849. Ormai gli oppositori liberali erano stati tutti ridotti al silenzio, mentre Garibaldi trovava sulla strada della fuga verso la Romagna non più l’ospitale conte tolentinate, ma soltanto un fienile a Serravalle di Chienti ad ospitarlo. Nessuno protestò, dicevamo. Ad eccezione della contessa tolentinate allorché si apprestarono a togliere le “mutande” (delle gambe dei tavoli, vittoriamente, nulla si sa) e le fascine a salvaguardia delle pubenda dei putti. «Ma che fate? –disse la nobildonna mentre venivano apprestate le scale, alla bisogna- Aspettate un momento. E se torna il papa?». In ogni caso, la lezione – si può azzardare nell’analisi- ritornò utile alla dinastia dei Gentiloni Silverj. Passano i decenni, ad inizio ‘900 un altro avo del ministro degli esteri, conte Vincenzo Ottorino, fu protagonista con Giolitti del famoso patto che permetteva l’ingresso dei cattolici nella vita politica.
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Sarebbe interessante documentare (citando le fonti) quanto asserito nell’articolo, sia in relazione a Garibaldi che in relazione al Papa.
Allora i conti tornano.
e la domanda sorge spontanea: qualora venga in Italia Juncker, organizzeremo falloforie a iosa per esprimere tutti i sentimenti del nostro rispetto?
@Aldo Iacopini
Le fonti. Per Garibaldi a Tolentino e Macerata, il libro di Pietro Pistelli (‘Garibaldi nelle Marche’). La visita ‘a casa sua’ da parte del Papa mi fu invece raccontata da Roberto Massi Gentiloni Silverj (che era anche un attento studioso di storia patria) poco prima che dal palco di Palazzo Sangallo la riferisse ad una sala sold out, presente lo stesso Pistelli.
Maurizio Verdenelli