Come sopravvivere
senza la statua
a Matteo Ricci?

Riflessioni (anche ironiche)

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La statua di Garibaldi a Macerata

di Marco Ricci

Matteo Ricci fu tutt’altro che una figura statica.

Da giovane abbandonò  la sua città di origine, poi lasciò l’Italia, poi arrivò in una piccola colonia Portoghese ai confini con la Cina, e di lì – dopo vari tentativi – cominciò un viaggio geografico e culturale all’interno dell’Impero cinese non riuscendo più a tornare laddove era nato. Ora, di Macerata si può dire tutto il bene che si vuole fuorchè che sia una realtà particolarmente dinamica e incline al cambiamento. Se è già un problema far spostare un maceratese fino ad Ascoli, che Mattero Ricci sia arrivato in Cina è davvero un’enormità inaudita.

E mi pare quindi ovvio che noi oggi intendiamo immortalare questa figura assolutamente dinamica e viaggiatrice appunto niente di meno che una statua. Opera che oltretutto – da quanto dicono Monsignor Giuliodori e Adriano Ciaffi – pare essenziale per entrare a piè pari nel terzo millennio e sfondare dalle parti della Cina.

Le opere pubbliche infatti non sono cose da prendere così alla leggera. Sono importanti. Con i soldi della collettività si costruiscono acquedotti, areoporti, dighe, si bonificano terreni, si aprono scuole, si inaugurano teatri e biblioteche. Si fanno investimenti, insomma. Si tira la cinghia oggi per raccoglierne i frutti domani.

Possibile che questo non entri in testa a nessuno?

E in effetti la Cina, che di economia ne capisce eccome, cinque o sei statue di Padre Matteo Ricci già ce le hanno tirate su da un bel pezzo. Diamogli il tempo di costruirne un’altra dozzina e vedremo il loro PIL decollare a livelli mai raggiunti, con buona pace della CO2 e della biosfera. Da questo punto di vista non sarei quindi così tassativo nell’affermare che la statua a Matteo Ricci sia per forza un pessimo investimento nonché un oggetto inutile tale e quale alle torri di gesso che si compravano in gita scolastica a Pisa. Anche i più restii all’arte statuaria non possono non misurare già adesso la possente ricaduta economica e culturale prodotta sulla nostra città dalla statua al fu Giuseppe Garibaldi (se avesse anche il cavallo – dicono gli esperti di marketing territoriale – le cose andrebbero anche meglio. Si può fare qualcosa?).

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La statua di Cavour ad Ancona

Non si capisce quindi proprio perché – in tempi magri come questi – si debba sputare in modo irriverente su questo nuovo volano ecomomico che sarà la statua al gesuita maceratese. E il tutto – ci ricorda Monsignor Giuliadori – per soli 600.000 euro dei 750.000 iniziali. Sconto del 20 e passa per cento, rateizzazione compresa nel prezzo (tasso zero?).

Se poi riuscissimo ad evitare le polemiche e a metterci solo un po’ di fantasia invece di continuare a discorrere di questa noiosissima crisi economica in cui versano le famiglie, saremmo magari capaci di immaginare gli enormi flussi turistici che si spalancheranno verso Macerata. Basta fare due conti. Riflettiamo semplicemente su quanti maceratesi si recano abitualmente ad Ancona per una visita alla statua di Cavour e il gioco è fatto. Dicono siano migliaia, e le statue di Cavour, ovviamente, sono molto più abbondanti di quelle del gesuita maceratese che richiamerebbe un numero spropositato di maceratesi.

Ma per carità, non vorrei svilire l’impatto culturale e l’importanza della memoria affrontando il discorso solo con il metro del vil denaro. In caso contrario saremmo quasi costretti ad ammettere che la Maggior gloria di Dio che quest’estate è scesa su di noi è stata un fallimento quasi completo, piuttosto che quel successo planetario misurabile ampiamente dai titoli apparsi su tutti principali quotidiani mondiali (mi scuso se non riesco a riportare il bellissimo titolo della Pravda ma il mio PC ha problemi con i caratteri cirillici). Dobbiamo anche considerare che dal punto di vista della memoria le statue rivestono un ruolo primario nella cultura dei popoli, specie di quei popoli che come il nostro vivono momenti di crisi economica (vedi i coreani del nord e i cubani). Prima che ne cominciassero la sistematica opera di demolizione, pare anche che l’est europeo fosse pieno zeppo di Lenin e di Stalin con lo sguardo puntato al sole dell’avvenire. E anche gli Stati Uniti, a futura memoria della libertà, hanno inciso i volti dei Presidenti fin sui pendii delle montagne, mentre la scalinata del British Museum omaggia la vita e la scienza di quel grand’uomo di Darwin con una statua gigantesca. E come possiamo ingnorare che – quando passeggiamo per Roma – possiamo sempre rifarci della legge 30 lanciando una bottiglia di birra vuota alla statua di Giordano Bruno, come di solito capita dopo mezzanotte quando Campo dei Fiori si riempie di nottambuli?

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La statua di Giordano Bruno a Roma

La nostra movida in centro storico dev’essere per forza da meno?

A parte questo, qualcuno si è domandato perché tranne nei regimi dittatoriali sostanzialmente più nessuno costruisce statue di personaggi illustri da almeno mezzo secolo?

Forse è sfuggito che nel secolo scorso è avvenuto in Europa un fenome chiamato scolarizzazione di massa e oggi, non essendo più nel 1950, posssiamo ragionevolmente affermare che tutti i maceratesi sanno leggere, sanno entrare in una biblioteca, in un teatro, sanno utilizzare internet, sanno partecipare a manifestazioni e assistere a incontri pubblici. E oggi – ad eccezione della Corea del Nord – la memoria e la cultura non si fanno più né con gli inni, né con le statue, né con le bandiere, né con l’imposizione dall’alto. Memoria e cultura si fanno con le borse di studio, con i fondi bibliotecari, con le iniziative scolastiche e culturali, anche per evitare ai poveri nonni quelle imbarazzanti domande dei ragazzini quando tra trent’anni – puntando col dito la statua di Matteo Ricci– chiederanno: Ma quello chi è? Perchè ce l’hanno messo?

Ecco, proprio pensando ai nonni più che a Matteo Ricci, con 600.000 euro si potrebbe (ad esempio):

  • Ampliare notevolmente il fondo librario sul gesuita maceratese e sulla Cina, così da fare di Macerata un importante centro italiano di studi in materia (sia mai che qualche ricercatore straniero passi di qui e si accorga di noi).
  • Creare borse di studio per studenti universitari e per studenti dell’Accademia da spedire in Cina (sia mai che lì riescano a trovare lavoro o a concorrere per la realizzazione di una statua di Mao).
  • Passare due euro al malmesso Museo di Scienze Naturale per realizzare magari copie di tutti quegli strumenti scientifici (in primis gli orologi solari) che tanta importanza ebbero nel facilitare l’ingresso di Matteo Ricci in Cina e metterli a disposizione delle scuole.
  • Creare pubblicazioni sulla figura di Padre Matteo Ricci rivolte ai bambini e ai ragazzi
  • Finanziare maggiormente l’Istituto di Relazioni con l’Oriente (e se creassimo un import-export di statue?)

e via discorrendo.

Questa statua comunque comincia tanto ad assomigliare a una di quelle bandierine del Risiko con cui si giocava da bambini. Pianto una bandierina in Ucraina e guai chi me la tocca per i prossimi sedici turni di fila (una bandierina equivaleva a ben dieci carrarmati, un’enormità).

Le statue poi, se ci riflettiamo, sono più spesso a gloria di chi le mette che di chi rappresentano. D’altronde non vedo altre spiegazioni, considerato il momento storico che stiamo vivendo e dunque l’intempestività assoluta di questa proposta e la sua indifendibilità politica.

Pensateci un attimo, che vantaggio ne avrebbe la memoria di Matteo Ricci?

Con la crisi che c’è, con i rilevantissimi i tagli a cui sono soggette tutte le amministrazioni pubbliche, con l’enorme difficoltà dei giovani laureati e diplomati in materie artistiche e letterarie a fare il lavoro per cui hanno studiato, con questi 600.000 euro (uniti agli almeno 500.000 di buco della Maggior Gloria di Dio) non vorremmo per caso farlo diventare il maceratese più odiato da tutti i maceratesi in questo terzo millennio?



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