Robert Plant Saving Grace
di Marco Ribechi
La leggenda di Robert Plant porta lo Sferisterio alle radici del rock. Luna quasi piena e vento di tempesta, queste le premesse che anticipano il concerto nell’arena maceratese dove la voce dei Led Zeppelin è approdata con il progetto Saving Grace. Dati i ritmi onirici che ricordano le campagne gallesi forse nessun meteo poteva essere più appropriato, come lo stesso Plant esclamerà proprio a inizio serata: “Hey, mi sembra di essere a casa, sembra l’Inghilterra!”. La verità è che stanotte a Macerata è atterrata la stella più brillante della storia del rock, la voce che ha per sempre dettato gli stilemi del genere, influenzando tutti coloro che successivamente si sono cimentati con un microfono in mano. Per questo il pubblico presente in arena appare assolutamente variegato, a volte un po’ pittoresco ma puro e desideroso di ascoltare un altro mostro sacro, dopo che a fine giugno lo stesso palco era stato calcato da Ian Gillian (leggi l’articolo). Se però la voce dei Deep Purple aveva optato per riproporre il suo storico repertorio, Mr Plant preferisce tornare alle radici del rock, quelle dei campi di cotone, quelle degli States, in uno show confidenziale che sa di tributo ai suoni e ai brani che lo hanno accompagnato durante la sua vita.
Ma da un fuoriclasse non ci si può che aspettare una squadra fantastica e così è: i musicisti che lo accompagnano sono sublimi nel loro ruolo e perfettamente accordati con il leader. Fatata è la voce della cantante Suzi Dian, scovata in un localino dallo stesso Plant e subito catturata per collaborare, incalzanti come gli speroni di un pistolero le percussioni di Oli Jefferson, quasi psichedelico al sapore di bluegrass il banjo di Matt Worley e infine essenzialmente rock la chitarra di Tony Kelsey che nelle sue variazioni sembra dipingere a grandi tratti le varie epoche del genere. Lo show inizia praticamente al contrario: all’uscita della band, prima ancora della primissima nota, già parte una mezza standing ovation, doverosa, pensando al contributo che Plant ha lasciato ormai già da 50 anni. Ora si può iniziare. Il primo brano è un gospel, si intitola appunto Gospel Plow ed è una vecchia canzone folk degli Stati Uniti, è da questi luoghi che il gruppo attingerà gran parte del repertorio poiché, come spiega lo stesso Plant: «Prima ascoltavo solo musica inglese. Poi, dall’altra parte dell’oceano, ho scoperto la musica dei neri nei campi, poi il sound di Chicago che è arrivato in Inghilterra. Quello ha creato tutto, quello ha creato i Led Zeppelin». Dopo il banjo delirante di The Cuckoo, Plant fa sentire che è ancora il re del rock con l’ottima Let The four winds blow che anticipa come un tornado il pezzo Friends, tratto dal terzo testo sacro dei Led Zeppelin. Il pubblico esplode letteralmente, le atmosfere si fanno rock ma con un taglio che strizza l’occhio continuamente agli antichi schiavi dei campi di cotone.
Sono le origini del rock che Plant sta cercando di riportare alla luce, barba lunga e capelli bianchi sembra quasi uno sciamano pellerossa alle prese con l’evocazione di spiriti ancestrali. Si prosegue con Out in The woods e Too far From you dove brilla particolarmente la voce di Suzi Dian. Si ritorna nella preistoria del rock, quando il genere ancora doveva essere inventato, quando le dita degli afroamericani gettavano le basi per la futura musica dei bianchi. Questa volta l’autore è Blind Joe Taggart e siamo tra gli anni ‘20 e ‘30 del Novecento, il pezzo è Satan Your Kingdom Must Come Down e l’interpretazione è assolutamente mistica. Cresce il pathos che esplode in Everybody’s song, cover dei Low per poi perdersi in It’s a beautiful day today dei Moby Grape. Quando il pubblico rumoreggia di eccitazione significa che le note dell’intro accendono qualche lampadina, è il caso della frase “It is the springtime” che introduce The Rain Song, tratta da Houses of the Holy. Ogni brano è una perla, si prosegue con As I roved, Chevrolet per poi approdare all’onirica Down to the sea e Four Sticks.
La serata è quasi agli sgoccioli ma ci sono altri assi da giocare. Il primo è Angel Dance, cover del brano dei Los Lobos e già registrata con la Band of Joy nel 2010. A seguire la zeppeliniana Gallows Pole tratta dal terzo album della storica band, altro pezzo altamente apprezzato dalla platea che si gode lo spettacolo ma esulta di gaudio ad ogni minimo accenno di Led Zeppelin. A questo punto il viaggio è però concluso e il gruppo saluta il pubblico con la ninna nanna gospel And We Bid You Goodnight, certificando che Plant è talmente venerato che può permettersi persino di chiudere un concerto non con il pezzo più esplosivo ma con una buonanotte.
Una serata sublime che ha saputo dischiudere i tesori di uno scrigno che continua a produrre ori nonostante i suoi 75 anni d’età. In questo caso il tesoro è fatto di ringraziamenti per quanti lo hanno preceduto. Un bel colpo firmato Sferisterio Live, condiviso con altre sei fortunate località d’Italia e capace di salutare un pubblico soddisfatto e rapito, così come appare all’uscita anche l’assessore Sacchi, felice sia perché fan della band ma anche per aver lasciato un ulteriore segno nell’estate maceratese. Ora, dopo i Deep Purple e il leader dei Led Zeppelin, i più ottimisti forse sogneranno anche i Black Sabbath che arriverebbero a sigillare la trinità intoccabile. Intanto già da domani si cambia genere e pubblico con Madame il cui live è già annunciato come tutto esaurito.
(Clicca per ascoltare le notizie di oggi in podcast)
Un “temporale” di emozioni Mr. Rain si rivela allo Sferisterio «La musica mi ha salvato» (Foto)
Il triplete rock allo Sferisterio «Macerata bussa alle porte del mondo»
La scossa elettrica dei Deep Purple travolge lo Sferisterio: è l’Olimpo del rock (Foto)
Sferisterio Maracanà della musica, la magia dei Simply Red nell’arena sold out (Foto)
Lo Sferisterio nell’iperspazio, tutti in piedi per The Lumineers «Dai cantiamo Macerata» (Foto)
Concerto stupendo
Carisma e classe come pochi.
Secondo me l'artista più eclettico che e stato allo sferisterio degli ultimi vent'anni... Top led Zeppelin inarrivabili
Top. Concerto divino!
Andrea Il Terribile Pietracci faceva pena
Tony Lucano infatti, inguardabile!
C'è qualche intenditore che mi dà ragione...io come musicista e fonico non l'ho proprio retto....mi sono anche addormentato ...le canzoni deprimenti troppo lente e lagnose ..non c'era brio nell'esecuzione...mentre invece cantavano molto bene in duo con voce armonizzata sincronizzata alla fondamentale....anche quando hanno fatto i corretti tutti insieme.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Musicalmente avete umiliato Civitanova alla grande, ma culturalmente non ci riuscirete mai, noi abbiamo Ciarapica, voi Cassetta. Sì, so che a molti di voi il suo nome non dirà niente, figuriamoci a quelli che vengono a Civitanova per divertirsi.