Omicidio Sarchié, al processo in cui è imputato per favoreggiamento, ricettazione e riciclaggio il catanese Santo Seminara sono stati sentiti i due figli del commerciante di pesce ucciso. Tra le domande quella se avessero riconosciuto come del padre oggetti che erano stati ritrovati nel capannone di Santo Seminara, a Castelraimondo e dove Giuseppe Farina, condannato all’ergastolo insieme al figlio Salvatore per il delitto, si sarebbe occupato di smontare il furgone di Sarchiè. Jennifer, sentita per prima al processo, che si sta svolgendo al tribunale di Macerata, ha confermato che «per prima cosa ho riconosciuto la foto di mia nonna». Quando le è stato chiesto di suo padre, ha detto «era un pilastro della mia famiglia». Tra le domande anche quella sul pesce che aveva la mattina in cui è stato ucciso (il 18 giugno 2014). Jennifer ha risposto che soprattutto lui aveva il palombo, «un pesce particolare che si acquista solo a Porto San Giorgio e che i Farina non potevano avere».
Da sinistra: Jennifer Sarchiè, la madre Ave Palestini e i loro legali, gli avvocati Orlando Ruggieri e Mauro Gionni
Al processo l’accusa è sostenuta dai pm Stefania Ciccioli e Claudio Rastrelli. Seminara è assistito dagli avvocati Maila Catani e Nicola Pandolfi. I familiari del commerciante di pesce sono parte civile, assistiti dagli avvocati Orlando Ruggieri e Mauro Gionni. Pietro Sarchiè, originario di San Benedetto, era stato ucciso a colpi di pistola dopo essere stato intercettato da Giuseppe e Salvatore Farina, nel comune di Pioraco. Portato in località Valle dei Grilli di San Severino avevano cercato di bruciare il cadavere e poi lo avevano seppellito. Per la procura di Macerata il movente era la concorrenza nel mondo del commercio ambulante di pesce.
(Gian. Gin.)
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